giovedì, novembre 06, 2014

Pestaggi, repressione e demagogia: evviva la democrazia!



La polizia attacca gli operai dell’AST di Terni durante una manifestazione in difesa dei posti di lavoro – Dopo gli attacchi verbali al sindacato, il governo passa alle maniere forti per reprimere il dissenso – Un’inattesa escalation di violenza delle istituzioni contro i lavoratori


Giovedì, 6 novembre 2014
Scontri in centro durante il corteo degli operai delle Ast di Terni. I manifestanti erano diretti al ministero dello Sviluppo Economico, quando all'altezza di piazza Indipendenza sono stati bloccati dagli agenti della polizia in tenuta antisommossa. I manifestanti, che si stavano muovendo dal presidio autorizzato sotto all'ambasciata tedesca, hanno cercato di forzare il cordone, ma sono stati respinti delle forze dell'ordine. Nei tafferugli quattro manifestanti sono rimasti feriti. Contuso anche Gianni Venturi, coordinatore nazionale Fiom e Alessandro Unia della Rsu Fim Cisl. «Hanno caricato gli operai - ha detto il segretario della Fiom, Maurizio Landini. - Chiediamo un incontro con il ministro e il capo della polizia, devono spiegare quello che è successo. In questo Paese di ladri e corrotti si picchiano gli onesti, coloro che pacificamente manifestano per difendere il posto di lavoro».
Questa la sintesi di un’ennesima giornata di follia, una giornata in cui ancora una volta le istituzioni hanno dato prova non solo della profonda insensibilità verso i problemi reali della gente, ma del metodo che s’intende seguire per regolare la disperazione delle migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro o che sono in procinto di perderlo.
Così dalle sprezzanti dichiarazioni per bocca di Renzi e del suo entourage nei confronti dei sindacati, - bollati come ferri vecchi dediti alla conservazione e alla difesa dei privilegi con i quali non serve discutere, - il salto alla dimostrazione pratica di come s’intenda regolare i conti è stato brevissimo. Sappiano i milioni di diseredati che ammorbano dal sud al nord il Paese che il governo del segretario del più grande partito della sinistra europea, quel partito che da sempre ha rivendicato la propria forza sulla rappresentatività operaia, risponderà con i manganelli alle richieste di lavoro, ad ogni anelito di giustizia e di tutela dei diritti.
Già lo scontro ancora in corso sull’articolo 18 è stato il preludio della mutazione genetica in atto nella sinistra italiana, ma certamente nessuno si sarebbe spinto sino al punto da immaginare che Renzi avrebbe persino fatto ricorso ai peggiori metodi del famigerato governo Tambroni per schiacciare la protesta e confinare il dissenso nell’area della sovversione. Evidentemente le parole del finanziere Davide Serra alla Leopolda – l’amico di Matteo Renzi grande sponsor della kermesse fiorentina – a proposito della necessità di limitare il diritto di sciopero non erano che il prologo ai fatti romani. Sebbene l’ipocrisia sarà pronta a smentire anche le più logiche conseguenze di certe pericolose affermazioni, il sospetto  che la strategia del manganello rappresenti il segnale di un pericoloso new deal in tema di relazioni sindacali e politica di riequilibrio della crisi del mercato del lavoro prende sempre più corpo.
Né le piccate smentite di  Angelino Alfano, ministro degli Interni in carica e responsabile delle azioni degli apparati di pubblica sicurezza, rimuovono i dubbi. La politica non può fingere d’ignorare che le gravi responsabilità di chi guida le forze di polizia in piazza gli ricadono addosso con tutto il loro peso. Gli abusi sanguinari perpetrati dai corpi di polizia ai tempi del G8 di Genova saranno assai difficili da dimenticare, non solo da chi li ha subiti, e le responsabilità politiche che autorizzarono quei fatti ci furono certamente, anche se nessuno di quei responsabili è mai salito sul banco degli imputati.
Ciò che in ogni caso solleva inquietudine non è solo la svolta autoritaria di Matteo Renzi, sempre più sfrontatamente incline a svillaneggiare il dissenso interno al suo partito, quanto la perseveranza con la quale insiste nell’attaccare il sindacato, quel sindacato certamente responsabile nel tempo di una degenerazione del garantismo e di intese non sempre in difesa dei diritti, additandolo come il l’origine di ogni malessere sociale e di un odio classista anacronistico. Così facendo il segretario del PD getta definitivamente la maschera e rivela quell’indole velenosa e reazionaria emblema di un’ideologia padronale d’altri tempi, quell’ideologia revanscista che approfitta della profondità della crisi economica per regolare il conto e per cancellare oltre un secolo di battaglie per rendere umano il volto di un capitalismo onnivoro e spietato, negazionista e amorale, in cui l’obiettivo dell’avido arricchimento è il motore della propria etica.
Per quanto possa sembrare ardito il paragone, non va dimenticato che il fascismo è stato figlio di una deriva socialista basata proprio sulla pretesa di regolare la società ed i suoi conflitti con i manganelli e leggi corporative, nella tragica e folle convinzione che l’onnipotenza dello stato e dei suoi apparati fosse effettivamente in grado di smussare i secolari elementi di contrapposizione tra i pochi detentori della ricchezza ed i molti soggetti a svendere la propria forza fisica o le proprie capacità intellettive.
In questa prospettiva il signor Matteo Renzi, la cui ascesa al potere puzza di golpismo bianco, s’illude qualora pensi che sia sufficiente chiudere in un recinto criminale i senza lavoro, i cassintegrati, i precari, i senza casa, i percettori di pensioni da fame ed i loro rappresentanti per proclamare la vittoria propria e degli oscuri poteri che lo sponsorizzano. L’infezione democratica a cui i cittadini sono stati esposti per tanti lunghissimi anni è priva di vaccino e presto o tardi, grazie anche alla protervia con cui continua a calcare la mano, sfocerà in una ribellione che lo detronizzerà e restaurerà quel minimo di giustizia sociale che, Berlusconi prima e lui adesso, hanno gravemente minato nelle fondamenta. C’è solo da augurarsi che questo passaggio avvenga in modo da non generare ulteriori rovine, sulle quali sarebbe lungo e difficoltoso ricostruire buona parte di quanto ad oggi sembrerebbe irrimediabilmente perduto.
    


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