domenica, gennaio 18, 2015

Da Kautsky a Renzi: storia di rinnegati



Il deludente bilancio dell’era Renzi alla guida del PD – Una segreteria segnata dal revisionismo e dal sostanziale tradimento delle attese dei lavoratori – La base del partito allo sbando – Cofferati, una delle anime fondanti del PD, lascia il partito dopo i brogli in Liguria – Il PD crolla al 35%

Domenica, 18 gennaio 2015
Alla vigilia del voto sul Jobs Act in senato, Raffaella Cascioli, dalle pagine di Europa, quotidiano di area del PD, in un articolo sul delicato argomento metteva in bocca a Renzi la frase «è la riforma più di sinistra mai fatta».
Senza escludere che il premier e segretario del PD così possa essersi espresso,  sorge il dubbio che la frase riporti effettivamente il senso reale del significato che assume il provvedimento in questione, non fosse per la presenza di una banale preposizione che, ad avviso di chi scrive, stravolge completamente il senso dell’affermazione in questione. Se infatti nella frase attribuita a Renzi «riforma più di sinistra» si rimuove quel «di» il giudizio del capo dell’esecutivo, almeno per una volta, finisce per combaciare con l’effettiva percezione della gente, di quella gente che in poco meno di ventiquattro mesi di governo a guida del PD s’è vista defraudata di una delle ultime certezze di difesa degli scarsi diritti che gli erano rimasti.
Nessuno, all’alba della svolta elettorale che aveva sradicato il ventennio berlusconiano, si sarebbe mai aspettato che il partito dei lavoratori – oramai, sedicente tale e che molto presto c’è da attendersi aprirà un nuovo fronte di polemiche interne per scrollarsi di dosso un’etichetta rimasta virtuale, ma ancora in qualche modo imbarazzante – sarebbe riuscito a realizzare ciò in cui erano falliti gli innumerevoli tentativi delle destre reazionarie alternatesi alla guida del Paese. E in questa operazione il posizionamento di Matteo Renzi nell’area di sinistra del pensiero politico, cioè in quell’area riformista da sempre attenta ai bisogni delle categorie deboli del mercato del lavoro e della società, costituisce un vero e proprio espianto culturale ed ideologico o, se si preferisce, il tentativo di innestare una visione neo-liberista a matrice palesemente reazionaria, che niente ha in comune con le radici del pensiero socialista.
«Kautsky, la massima autorità della II Internazionale, è l'esempio più tipico e più lampante del modo come il riconoscimento verbale del marxismo abbia in realtà portato alla sua trasformazione in “struvismo” o “brentanismo”, in una dottrina cioè borghese liberale, che riconosce la lotta di “classe” non rivoluzionaria del proletariato, dottrina esposta con particolare chiarezza dallo scrittore russo Struve e dall'economista tedesco Brentano», scriveva un secolo fa Lenin, commentando la svolta revisionista di Karl Kautsky. Queste affermazioni sembrano oggi di drammatica attualità se riferite ai cambiamenti di rotta impressi da Renzi al PD ed alla sua tradizione storico-politica.
«La classe operaia non può conseguire il suo obiettivo rivoluzionario, d'importanza mondiale, senza condurre una lotta implacabile contro questo spirito da rinnegati, questa mancanza di carattere, questo servilismo verso l'opportunismo, questo inaudito svilimento teorico del marxismo. Il kautskismo non è dovuto al caso, ma è il prodotto sociale delle contraddizioni della II Internazionale, della combinazione della fedeltà al marxismo a parole e della sottomissione all'opportunismo nei fatti», continua Lenin. Un Lenin che con ogni probabilità non sarebbe giunto a conclusione diverse per commentare l’opera di trasformazione profonda impressa dal renzismo alla prassi attuale del PD, in cui il ruolo rivoluzionario in senso più moderno della classe operaia sembra definitivamente morto e seppellito.
Questo recupero dei principi fondanti dell’ideologia marxista non va certamente inteso come il tentativo di recuperare una visione della società nella quale le contrapposizioni delle classi sociali hanno subito un secolo di trasformazioni determinanti. Oggigiorno parlare di classe operaia nel senso stretto non solo potrebbe risultare fuorviante, ma potrebbe costituire un appetitoso alibi per quanti volessero profittare per definire nostalgico un ragionamento che tendesse a porre al centro degli interessi politici la condizione di una categoria sociale fortemente trasformatasi nel corso del tempo e che fa riferimento ad una scala di bisogni profondamente diversa.
Purtuttavia, non v’è dubbio alcuno che al di là delle trasformazioni intervenute ancora oggi il maggior peso delle ristrutturazioni economiche continua a gravare sul lavoro dipendente, categoria di gran lunga più numerosa rispetto alle altre,  lasciando la rendita finanziaria  e speculativa, rappresentata dal capitale, sostanzialmente ai margini dei sacrifici. E se si osservano sotto questo profilo gli interventi di politica economica e sociale promossa da Renzi e dal suo governo, ci si rende conto che i ritagli operati sul cosiddetto stato sociale, gli interventi a sostegno dell’occupazione, la struttura dell’imposizione fiscale, le provvidenze a favore dei gruppi bancari, le agevolazioni alle imprese sono funzionali al consolidamento di uno stato in cui è netto lo spartiacque tra vessati e beneficiati, tra destinatari degli oneri e privilegiati.
Né manca la matrice servile delle misura varate dall’esecutivo Renzi, sostanzialmente funzionali alle imposizioni dettate dai gruppi transnazionali di potere, che, Germania intesta, condizionano le scelte dei Paesi aderenti all’Unione Europea ed all’area dell’euro.
E’ di queste ore l’annuncio che Sergio Cofferati, parlamentare europeo del PD, già sindaco di Bologna e da sempre rappresentante dell’anima genuina della sinistra comunista durante tutta la sua storica evoluzione, ha deciso di lasciare il partito, profondamente deluso e contrariato dagli esiti delle primarie per le amministrative in Liguria. Tali risultati, profondamente stravolti da brogli organizzati per favorire la candidatura di Raffaella Paita. «Esco perché di fronte a una situazione del genere, dove regole ed etica non hanno valore, io non posso più restare», ha dichiarato l’ex sindacalista e non v’è dubbio che quei termini, regole ed etica senza valore, rappresentano oggi il più azzeccato atto d’accusa per un partito che con l’avvento di Renzi ha rinnegato la propria identità ed ha tradito nel profondo le aspettative della gente che lavora.    

 

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