Da Kautsky a Renzi: storia di rinnegati
Il deludente
bilancio dell’era Renzi alla guida del PD – Una segreteria segnata dal
revisionismo e dal sostanziale tradimento delle attese dei lavoratori – La base
del partito allo sbando – Cofferati, una delle anime fondanti del PD, lascia il
partito dopo i brogli in Liguria – Il PD crolla al 35%
Domenica, 18 gennaio 2015
Alla vigilia
del voto sul Jobs Act in senato, Raffaella Cascioli, dalle pagine di Europa, quotidiano di area del PD, in un
articolo sul delicato argomento metteva in bocca a Renzi la frase «è la riforma più di sinistra mai fatta».
Senza
escludere che il premier e segretario del PD così possa essersi espresso, sorge il dubbio che la frase riporti effettivamente
il senso reale del significato che assume il provvedimento in questione, non
fosse per la presenza di una banale preposizione che, ad avviso di chi scrive,
stravolge completamente il senso dell’affermazione in questione. Se infatti
nella frase attribuita a Renzi «riforma
più di sinistra» si rimuove quel «di»
il giudizio del capo dell’esecutivo, almeno per una volta, finisce per
combaciare con l’effettiva percezione della gente, di quella gente che in poco
meno di ventiquattro mesi di governo a guida del PD s’è vista defraudata di una
delle ultime certezze di difesa degli scarsi diritti che gli erano rimasti.
Nessuno,
all’alba della svolta elettorale che aveva sradicato il ventennio berlusconiano,
si sarebbe mai aspettato che il partito dei lavoratori – oramai, sedicente tale
e che molto presto c’è da attendersi aprirà un nuovo fronte di polemiche
interne per scrollarsi di dosso un’etichetta rimasta virtuale, ma ancora in
qualche modo imbarazzante – sarebbe riuscito a realizzare ciò in cui erano
falliti gli innumerevoli tentativi delle destre reazionarie alternatesi alla
guida del Paese. E in questa operazione il posizionamento di Matteo Renzi
nell’area di sinistra del pensiero politico, cioè in quell’area riformista da
sempre attenta ai bisogni delle categorie deboli del mercato del lavoro e della
società, costituisce un vero e proprio espianto culturale ed ideologico o, se
si preferisce, il tentativo di innestare una visione neo-liberista a matrice palesemente reazionaria, che niente ha in comune
con le radici del pensiero socialista.
«Kautsky, la massima autorità della II
Internazionale, è l'esempio più tipico e più lampante del modo come il
riconoscimento verbale del marxismo abbia in realtà portato alla sua
trasformazione in “struvismo” o “brentanismo”, in una dottrina cioè borghese liberale,
che riconosce la lotta di “classe” non rivoluzionaria del proletariato,
dottrina esposta con particolare chiarezza dallo scrittore russo Struve
e dall'economista tedesco Brentano»,
scriveva un secolo fa Lenin, commentando la svolta revisionista di Karl
Kautsky. Queste affermazioni sembrano oggi di drammatica attualità se riferite
ai cambiamenti di rotta impressi da Renzi al PD ed alla sua tradizione
storico-politica.
«La classe operaia non può conseguire il suo
obiettivo rivoluzionario, d'importanza mondiale, senza condurre una lotta
implacabile contro questo spirito da rinnegati, questa mancanza di carattere,
questo servilismo verso l'opportunismo, questo inaudito svilimento teorico del
marxismo. Il kautskismo non è dovuto al caso, ma è il prodotto sociale delle
contraddizioni della II Internazionale, della combinazione della fedeltà al
marxismo a parole e della sottomissione all'opportunismo nei fatti»,
continua Lenin. Un Lenin che con ogni probabilità non sarebbe giunto a
conclusione diverse per commentare l’opera di trasformazione profonda impressa
dal renzismo alla prassi attuale del
PD, in cui il ruolo rivoluzionario in senso più moderno della classe operaia
sembra definitivamente morto e seppellito.
Questo
recupero dei principi fondanti dell’ideologia marxista non va certamente inteso
come il tentativo di recuperare una visione della società nella quale le
contrapposizioni delle classi sociali hanno subito un secolo di trasformazioni
determinanti. Oggigiorno parlare di classe operaia nel senso stretto non solo
potrebbe risultare fuorviante, ma potrebbe costituire un appetitoso alibi per
quanti volessero profittare per definire nostalgico un ragionamento che
tendesse a porre al centro degli interessi politici la condizione di una
categoria sociale fortemente trasformatasi nel corso del tempo e che fa
riferimento ad una scala di bisogni profondamente diversa.
Purtuttavia,
non v’è dubbio alcuno che al di là delle trasformazioni intervenute ancora oggi
il maggior peso delle ristrutturazioni economiche continua a gravare sul lavoro
dipendente, categoria di gran lunga più numerosa rispetto alle altre, lasciando la rendita finanziaria e speculativa, rappresentata dal capitale, sostanzialmente
ai margini dei sacrifici. E se si osservano sotto questo profilo gli interventi
di politica economica e sociale promossa da Renzi e dal suo governo, ci si
rende conto che i ritagli operati sul cosiddetto stato sociale, gli interventi
a sostegno dell’occupazione, la struttura dell’imposizione fiscale, le
provvidenze a favore dei gruppi bancari, le agevolazioni alle imprese sono
funzionali al consolidamento di uno stato in cui è netto lo spartiacque tra
vessati e beneficiati, tra destinatari degli oneri e privilegiati.
Né manca la
matrice servile delle misura varate dall’esecutivo Renzi, sostanzialmente
funzionali alle imposizioni dettate dai gruppi transnazionali di potere, che,
Germania intesta, condizionano le scelte dei Paesi aderenti all’Unione Europea
ed all’area dell’euro.
E’ di queste
ore l’annuncio che Sergio Cofferati, parlamentare europeo del PD, già sindaco
di Bologna e da sempre rappresentante dell’anima genuina della sinistra comunista
durante tutta la sua storica evoluzione, ha deciso di lasciare il partito,
profondamente deluso e contrariato dagli esiti delle primarie per le
amministrative in Liguria. Tali risultati, profondamente stravolti da brogli
organizzati per favorire la candidatura di Raffaella Paita. «Esco perché di fronte a una situazione del
genere, dove regole ed etica non hanno
valore, io non posso più restare», ha dichiarato l’ex sindacalista e
non v’è dubbio che quei termini, regole ed etica senza valore, rappresentano
oggi il più azzeccato atto d’accusa per un partito che con l’avvento di Renzi ha
rinnegato la propria identità ed ha tradito nel profondo le aspettative della
gente che lavora.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page