mercoledì, giugno 20, 2007

Pensioni – Montezemolo e il coro delle vergini


Mercoledì, 20 giugno 2007

Nelle scorse ore si è aperto a Roma il tavolo della trattativa finale sulle pensioni tra governo e parti sociali, nel tentativo di trovare un’intesa che scongiuri l’introduzione del famigerato scalone a partire dal primo gennaio del prossimo anno.
Ovviamente non tutti gli invitati al tavolo remano nella stessa direzione, dato che Confindustria, con in testa il suo presidente Montezemolo, preme perché il confronto non solo confermi lo scalone ma addirittura partorisca un ulteriore giro di vite sul sistema pensionistico. Anzi, lo stesso Montezemolo nel corso di un intervento ad un convegno a Napoli ha rammentato che “ questo Paese rischia di essere tra qualche anno molto più vecchio, il Paese più vecchio d'Europa. In nessun Paese la pensione sta sotto i 60 anni, tutti vanno verso i 65».
Naturalmente, nel sostenere la sua tesi Montezemolo, esemplare membro di una razza padrona vorace e senza scrupoli, ha in mente i risparmi generati da un meccanismo pensionistico che innalzi la soglia età di accesso alla quiescenza: minori costi a carico degli enti previdenziali e, dunque, maggiore disponibilità di spesa per finanziarie il sistema delle imprese eternamente a caccia di stampelle pubbliche, sotto forma sostegni e provvidenze varie. E che questa sia la vera preoccupazione della congrega confindustriale lo dimostra il pervicace attaccamento al mantenimento del micidiale meccanismo per cui assistenza e previdenza sguazzano da sempre in un unico calderone. E’ grazie al permanere di questa commistione contabile che i bilanci dell’INPS registrano una rubiccia colorazione, dato che il peso dell’assistenza è fortemente deficitario rispetto a quello della previdenza.
Se poi si pensa che è sempre l’INPS a provvedere all’erogazione del salario di cassa integrazione, ben si comprende come lo stato maggiore di viale dell’Astronomia sia disposto ad alzare barricate, pur di conservare la sicurezza che, al momento opportuno, ci sarà sempre un sussidio con il quale preservare i profitti scaricando sulla collettività il frutto degli insuccessi nella gestione d’impresa.
Ma il coro delle vergini non si ferma certo in Confindustria. A questi si aggiungono falsi moralisti, magari figli della stessa razza padrona, che non hanno lavorato un solo giorno nella loro vita e che godono di patrimoni ereditati o di rendite finanziarie cospicue, che non esitano a sbeffeggiare i lavoratori veri, quelli da 1000 o 1500 miserabili euro mensili, che agognano il meritato riposo dopo una vita di duro lavoro. Costoro hanno l’ardire di citarsi quali esempi viventi di uno stacanovismo esemplare, che li vuole ancora in piena attività a settanta e più anni. Poco importa a questi personaggi che tra i loro proventi ed il salario del lavoratore preso di mira non solo corrano differenze inimmaginabili di qualità del lavoro, ma anche rabbrividenti differenze retributive.
Certo, sarebbe bello immaginare un Paese abitato solo da Agnelli, Montezemolo, Fazio, Tronchetti Provera, Pesenti, Berlusconi e così via, giusto per citare qualche nome di predicatore. Sfortuna per loro vuole invece che questo Paese sia abitato da tanti Colombo e Rossi, spesso con stipendi da fame, che magari si fanno il mazzo per continuare ad arricchire i citati prima e, sul traguardo della meritata pensione, debbono non solo vedere in pericolo un loro diritto, ma si debbono persino sciroppare il sermone di chi, mentre loro sudavano in fabbrica, possibilmente scorazzava per oceani impegnato in faticose regate o prendeva il sole alle Bahamas in compagnia di compiacenti signorine.
Non va infine dimenticato che costoro sono anche quelli che, se da un lato predicano la necessità di restare a lavoro più a lungo, ti privano del lavoro non appena superi i cinquant’anni, con la scusa che costi troppo o che ormai, come un cavallo bolso, non tiri più la carretta per la quantità di biada che ti si dà.
E se l’affermazione appare ardita, si vada a Mirafiori, dove ormai da tempo è in atto il pensionamento anticipato di migliaia di lavoratori con l’ausilio del trattamento della cosiddetta mobilità lunga. E allora, il buon Montezemolo, che oltre alla presidenza di Confindustria copre analoga responsabilità alla FIAT, abbia il pudore e la decenza di tacere.
Ma si sa, la coerenza non è mai stato il forte di chi pur difendere i propri biechi interessi non ha timore di usare argomenti contraddittori o, peggio, di cadere nel ridicolo.
Se non avessimo inutilmente vissuto, sconcerterebbe altresì anche l’atteggiamento di certi sindacalisti su questo tema. Sindacalisti che anziché esigere il ripristino della legalità violata con lo scippo Maroni, in nome di un’incomprensibile ragionevolezza, siedono ai tavoli di trattativa, pronti a portare a casa un qualche straccio di compromesso da contrabbandare, poi, come il meglio possibile per la classe lavorativa.
A questi sedicenti rappresentanti di chi effettivamente ogni giorno si sporca le mani desideriamo dire basta, basta con questa farsa degli accomodamenti davanti a provvedimenti ingiusti e punitivi. Chi a ha lavorato per ben 35 anni, versando fior di milioni alle casse dello Stato per garantirsi un viatico di vecchiaia, difficilmente vivrà abbastanza per riprendersi quanto ha già pagato. Allungargli l’età per la pensione è un ulteriore perverso meccanismo per ridurgli l’ammontare di questo denaro già sborsato e per avvilirgli l’esistenza. Dunque, se ripristinare la legalità significa mandare a casa chi nonostante gli impegni assunti in campagna elettorale non vuol sentirne, perché, come al solito, per tirare a campare occorre dare il classico colpo ora al cerchio ora alla botte, beh, non si indugi, perché i lavoratori si sentiranno effettivamente rappresentatati nell’aver fatto giustizia di un interlocutore che ha tradito le attese e gli impegni. Rimane infine la classe politica, anzi la casta dei mandarini, che incurante del privilegio del proprio scandaloso trattamento pensionistico, continua con un balletto indecente a sfornare soluzioni e alternative su una questione che non richiede se non un atto di coerente chiarezza e non certo ridicole e fantasiose varianti sul tema, come scalini o gradini al posto dello scalone. Né sulla questione è sostenibile non avere avuto cognizione del suo costo prima di andare al governo del Paese. Come ha affermato il prode Maroni, autore del tragico provvedimento ma allo stesso tempo serio sostenitore della coerenza, chi ha assunto degli impegni inequivoci con gli elettori ha il dovere di andare sino in fondo, poiché le incoerenze di questa natura in politica scontano prezzi altissimi: la condanna a non rimettere piede nei palazzi del governo per lungo tempo. Aggiungiamo noi che ad un sedicente governo amico che tradisce la fiducia dei suoi elettori è da preferire un governo ostile, dal quale sai cosa ti puoi attendere: come dice un vecchio adagio, dai nemici mi guardo io, ma dagli amici mi guardi Dio.

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