Le nuove frontiere dell’etica
Venerdì, 28 settembre 2007
I tempi cambiano e la gente si adegua. Questo processo ineluttabile, che costituisce una componente dell’esistenza umana, a sua volta, è soggetto a cambiamenti, che rendono il modo di adeguarsi via via diverso. Sarà stata la caduta dell’ideologia, il sopravvento della cultura del quotidiano. Certo è che i tempi cambiano rapidamente e l’adeguamento segue con la velocità del fulmine, alienato dal bagaglio dei valori che non solo motiva la critica, ma suggerirebbe scelte comunque coerenti con principi di solidarietà, equità, giustizia sociale e chi più ne ha più ne metta, che da sempre costituiscono il retroterra culturale italiota.
Oggigiorno, quasi ignari del passato o al più con un atteggiamento ostentante una malcelata necessità di liberarsene, come costituisse un fastidioso fardello, il cambiamento rimane un dato di fatto immanente e l’adeguamento avviene senza condizionamenti, scevro da ogni riferimento ai valori sopra detti. In buona sostanza, nell’epoca attuale la nostra società sembra aver perso la continuità muovendosi, piuttosto, a strappi, a salti, a singhiozzo.
Un’indagine sulle origini di questo nuovo processo non è stata ancora condotta, per quanto non costituisca elemento di sostanziale rilievo ai nostri fini; né ci pare rilevante individuare quale sia il luogo in cui il processo medesimo trova il terreno di coltura. Ci basta constare quanto sia in essere per afferrare il senso di degrado morale nel quale stiamo vivendo e sempre più saremo costretti a vivere.
La politica, com’era prevedibile, è stata la prima a farsi interprete di questo processo, con l’attivazione di meccanismi comportamentali che ormai sovvertono costantemente ogni principio etico e morale. Così, in virtù di questo new deal, le sue scelte non hanno più alcuna corrispondenza ai bisogni emergenti o alle necessità della cosa pubblica, ma sembrano soddisfare le inconfessabili pulsioni dei suoi artefici, mossi da bramosia di protagonismo, nella conclamata incapacità di percepire il mondo circostante. E se la politica è veramente lo specchio del Paese allora siamo messi male, visto che particolarismi, difese corporative, malaffare, privilegio, spregiudicatezza e quanto di più meschino alligni nel recondito dell’animo umano sembra siano ormai stati assurti a sistema di vita generalizzato.
Qualche esempio può aiutare a chiarire meglio il concetto. Si parla di sistema di accesso alle pensioni iniquo e penalizzante introdotto dalla riforma Maroni. Bene, la risposta non è la cancellazione dello scalone, ma un sistema ancora più iniquo che introduce le cosiddette quote. Si parla allungamento della vita lavorativa, ma non si assume uno straccio di provvedimento che favorisca il reinserimento al lavoro di milioni di disoccupati o sottoccupati a causa dell’età anagrafica; - è opportuno chiarire in via definitiva che in questa repubblica dei carciofi, ché le banane stanno divenendo genere sempre più riservato a pochi eletti, aver superato i cinquant’anni è una sorta di “reato grave”, meritevole di qualche demagogica considerazione, ma nel concreto solo di ostracismo sociale.
E che dire del cancro dell’occupazione giovanile? Semplice. Il toccasana è in un provvedimento che per ridurre la precarietà paradossalmente la proroga da 18 a 36 mesi: chissà come mai non si è pensato di prorogare queste infami tipologie contrattuali di qualche mese in più, che so, sino a 480 mesi, che avrebbe permesso ad un qualunque precario sì di restare tale, ma di completare un percorso lavorativo pressoché “normale”!
Dal lato dell’adeguamento si registra un’incredibile capacità della gente comune di assorbire ogni cosa con rassegnazione, senza l’accenno alla minima protesta o qualche comprensibile conato di disgusto.
Allora viene bene a chi esercisce il potere scagliarsi, con una violenza verbale un tempo sconosciuta, contro i pochi e rari censori, che, in un rigurgito di critico buonsenso, osano mettere in discussione queste evidenti demenzialità di chi ci governa. Costoro passano per nichilisti, sovversivi, radicali nostalgici, conservatori nemici del progresso e così via; come se non fosse noto che il mezzo più usato da sempre per delegittimare l’opposizione è quello della denigrazione, la denigrazione apodittica, che al confronto preferisce la sbrigativa arma impropria dell’offesa.
E allora, i nostri politici sperperano iperboliche cifre di denaro pubblico per mantenere se stessi ed i loro privilegi? Che c’è di male? E’ nell’ordine delle cose, e chi critica ben che vada è solo un invidioso qualunquista, visto che la maggioranza del gregge non protesta. Il tal ministro abusa del pubblico denaro a fini personali? E’ cosa risaputa. Come diceva un noto politico di lungo corso, il potere logora chi non ce l’ha. Se il ministro Ferri qualche lustro fa imponeva i limiti di velocità a 130 chilometri e poi si faceva sorprendere a sfrecciare a 200 all’ora forte della sua proterva immunità, non stupisce che il signor Burlando ex ministro di questa buffa repubblica, sorpreso a guidare contromano, esibisca per evitare la multa una tessera di parlamentare alla quale non ha più diritto. C’è persino chi si finge in coma e sale su ambulanza per aggirare i blocchi della circolazione e fare shopping in santa pace e, sorpreso sul fatto, non si dimette né fa ammenda, perché sa che il popolo bue, a cui abusi ben più lievi son vietati, lo assolverà in forza ad un principio di franchigia dalle leggi comuni in cui vive il politico.
La gente aumenta il proprio distacco dalla politica? Cresce il partito degli astensionisti? Ieri sarebbe stato un problema. Oggi, nei fatti, questo tacciato qualunquismo è solo un’opportunità per una casta politica fatta di mandarini, che può contare sulla rielezione anche con la partecipazione al voto di poca gente, quella gente che guarda caso magari costituisce lo zoccolo duro della sua clientela, alla quale dispenserà poi qualche briciola per garantirsene la fedeltà. Quelli che invece si rifugiano nell’antipolitica, per non rischiare di restare contaminati da questo guano che ci ammorba, in realtà, non reagendo, fanno il gioco del “nemico”, che continua spavaldo ed arrogante a spadroneggiare, forte della patologica assuefazione, che ormai infetta la coscienze.
In questo quadro di sconfortante miseria dell’etica, dove non v’è più differenza tra Prodi e Berlusconi, tra Fassino e Casini, tra Mastella e Rutelli, dove persino il giullare Beppe Grillo passa da acerrimo black-block a povero qualunquista nostalgico dei fasci, mentre i Giordano e i Diliberto sembrano guitti da cabaret, si consuma ciò che chiamano progresso dei valori del Paese, senza che nessuno prenda veramente a cuore il futuro dei nostri figli e ciò che rimane del senso del nostro vivere civile.I tempi cambiano e la gente si adegua e i corsari giorno dopo giorno fanno sempre più incetta e scempio delle cosa pubblica, convinti che il gregge mai alzerà la testa. Ma la storia dell’uomo è fatta anche di incidenti a questa regola e non basta credere di governare la tensione della la corda tesa per prevenirli.
Oggigiorno, quasi ignari del passato o al più con un atteggiamento ostentante una malcelata necessità di liberarsene, come costituisse un fastidioso fardello, il cambiamento rimane un dato di fatto immanente e l’adeguamento avviene senza condizionamenti, scevro da ogni riferimento ai valori sopra detti. In buona sostanza, nell’epoca attuale la nostra società sembra aver perso la continuità muovendosi, piuttosto, a strappi, a salti, a singhiozzo.
Un’indagine sulle origini di questo nuovo processo non è stata ancora condotta, per quanto non costituisca elemento di sostanziale rilievo ai nostri fini; né ci pare rilevante individuare quale sia il luogo in cui il processo medesimo trova il terreno di coltura. Ci basta constare quanto sia in essere per afferrare il senso di degrado morale nel quale stiamo vivendo e sempre più saremo costretti a vivere.
La politica, com’era prevedibile, è stata la prima a farsi interprete di questo processo, con l’attivazione di meccanismi comportamentali che ormai sovvertono costantemente ogni principio etico e morale. Così, in virtù di questo new deal, le sue scelte non hanno più alcuna corrispondenza ai bisogni emergenti o alle necessità della cosa pubblica, ma sembrano soddisfare le inconfessabili pulsioni dei suoi artefici, mossi da bramosia di protagonismo, nella conclamata incapacità di percepire il mondo circostante. E se la politica è veramente lo specchio del Paese allora siamo messi male, visto che particolarismi, difese corporative, malaffare, privilegio, spregiudicatezza e quanto di più meschino alligni nel recondito dell’animo umano sembra siano ormai stati assurti a sistema di vita generalizzato.
Qualche esempio può aiutare a chiarire meglio il concetto. Si parla di sistema di accesso alle pensioni iniquo e penalizzante introdotto dalla riforma Maroni. Bene, la risposta non è la cancellazione dello scalone, ma un sistema ancora più iniquo che introduce le cosiddette quote. Si parla allungamento della vita lavorativa, ma non si assume uno straccio di provvedimento che favorisca il reinserimento al lavoro di milioni di disoccupati o sottoccupati a causa dell’età anagrafica; - è opportuno chiarire in via definitiva che in questa repubblica dei carciofi, ché le banane stanno divenendo genere sempre più riservato a pochi eletti, aver superato i cinquant’anni è una sorta di “reato grave”, meritevole di qualche demagogica considerazione, ma nel concreto solo di ostracismo sociale.
E che dire del cancro dell’occupazione giovanile? Semplice. Il toccasana è in un provvedimento che per ridurre la precarietà paradossalmente la proroga da 18 a 36 mesi: chissà come mai non si è pensato di prorogare queste infami tipologie contrattuali di qualche mese in più, che so, sino a 480 mesi, che avrebbe permesso ad un qualunque precario sì di restare tale, ma di completare un percorso lavorativo pressoché “normale”!
Dal lato dell’adeguamento si registra un’incredibile capacità della gente comune di assorbire ogni cosa con rassegnazione, senza l’accenno alla minima protesta o qualche comprensibile conato di disgusto.
Allora viene bene a chi esercisce il potere scagliarsi, con una violenza verbale un tempo sconosciuta, contro i pochi e rari censori, che, in un rigurgito di critico buonsenso, osano mettere in discussione queste evidenti demenzialità di chi ci governa. Costoro passano per nichilisti, sovversivi, radicali nostalgici, conservatori nemici del progresso e così via; come se non fosse noto che il mezzo più usato da sempre per delegittimare l’opposizione è quello della denigrazione, la denigrazione apodittica, che al confronto preferisce la sbrigativa arma impropria dell’offesa.
E allora, i nostri politici sperperano iperboliche cifre di denaro pubblico per mantenere se stessi ed i loro privilegi? Che c’è di male? E’ nell’ordine delle cose, e chi critica ben che vada è solo un invidioso qualunquista, visto che la maggioranza del gregge non protesta. Il tal ministro abusa del pubblico denaro a fini personali? E’ cosa risaputa. Come diceva un noto politico di lungo corso, il potere logora chi non ce l’ha. Se il ministro Ferri qualche lustro fa imponeva i limiti di velocità a 130 chilometri e poi si faceva sorprendere a sfrecciare a 200 all’ora forte della sua proterva immunità, non stupisce che il signor Burlando ex ministro di questa buffa repubblica, sorpreso a guidare contromano, esibisca per evitare la multa una tessera di parlamentare alla quale non ha più diritto. C’è persino chi si finge in coma e sale su ambulanza per aggirare i blocchi della circolazione e fare shopping in santa pace e, sorpreso sul fatto, non si dimette né fa ammenda, perché sa che il popolo bue, a cui abusi ben più lievi son vietati, lo assolverà in forza ad un principio di franchigia dalle leggi comuni in cui vive il politico.
La gente aumenta il proprio distacco dalla politica? Cresce il partito degli astensionisti? Ieri sarebbe stato un problema. Oggi, nei fatti, questo tacciato qualunquismo è solo un’opportunità per una casta politica fatta di mandarini, che può contare sulla rielezione anche con la partecipazione al voto di poca gente, quella gente che guarda caso magari costituisce lo zoccolo duro della sua clientela, alla quale dispenserà poi qualche briciola per garantirsene la fedeltà. Quelli che invece si rifugiano nell’antipolitica, per non rischiare di restare contaminati da questo guano che ci ammorba, in realtà, non reagendo, fanno il gioco del “nemico”, che continua spavaldo ed arrogante a spadroneggiare, forte della patologica assuefazione, che ormai infetta la coscienze.
In questo quadro di sconfortante miseria dell’etica, dove non v’è più differenza tra Prodi e Berlusconi, tra Fassino e Casini, tra Mastella e Rutelli, dove persino il giullare Beppe Grillo passa da acerrimo black-block a povero qualunquista nostalgico dei fasci, mentre i Giordano e i Diliberto sembrano guitti da cabaret, si consuma ciò che chiamano progresso dei valori del Paese, senza che nessuno prenda veramente a cuore il futuro dei nostri figli e ciò che rimane del senso del nostro vivere civile.I tempi cambiano e la gente si adegua e i corsari giorno dopo giorno fanno sempre più incetta e scempio delle cosa pubblica, convinti che il gregge mai alzerà la testa. Ma la storia dell’uomo è fatta anche di incidenti a questa regola e non basta credere di governare la tensione della la corda tesa per prevenirli.
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