martedì, ottobre 09, 2007

Il suk della politica, tra pentiti e dissociati


Martedì, 9 ottobre 2007
Se l’avesse saputo prima, Grillo avrebbe rimandato sicuramente il suo Vaffanculo Day, almeno avrebbe recuperato un altro esponente della coerenza alla sua lunga lista di notabili meritevoli di menzione. Già, perché solo stamani, secondo un’ANSA pervenuta alcuni minuti or sono, il buon Marco Pannella, decano della politica italiana e padre di mille battaglie di progresso, alcune buone ed alcune meno, qualcuna fortunata e qualcun'altra di sorte avversa, avrebbe appena dichiarato che con la caduta del governo Prodi, finalmente, gli Italiani si riprenderebbero la libertà.
Ora, se non avesse fatto il nome di Prodi, sarebbe rimasto il dubbio che poteva riferirsi ad un governo qualsiasi, anche se avere un governo non significhi automaticamente dover risultare privi di libertà. Né è pensabile si riferisse al primo governo Prodi, alla cui caduta seguì quello di Baffino-D’Alema, che non diede agli Italiani più libertà di quanto ne avessero goduto sotto l’egida del Professore di Bologna.
Allora la boutade non può che riferirsi al governo corrente, che, chissà per quale ragione, allo storico leader radicale deve stare stretto e dargli la personale certezza che in qualche modo lo abbia privato della libertà. E’ altrettanto assodato che non è chiaro sapere a quale libertà si riferisca, dato che a parlare, parla, a scioperare, se ritiene di individuare qualche nobile proposito da rivendicare, sciopera, e in più vanta un Ministro nell’assise governativa, l’onnipresente signora Bonino, che dovrebbe offrirgli qualche garanzia di controllo diretto della democraticità dell’esecutivo e del sistema, garanzia che nel primo governo Prodi non godeva, dato che stava con la parrocchia opposta. Se poi alludesse alla libertà di farsi i fattacci suoi, non crediamo possa avere nulla da recriminare, dato che la sua compagna d’avventura, dallo scranno del governo e lui dalla piazza, non hanno mai nascosto l’avversione dei radicali per il rispetto di alcuni passaggi del programma elettorale, che pure avevano firmato in sede di costituzione della coalizione, come il capitolo scalone pensionistico, anche se rimane il dubbio che nessuno abbia spiegato con sufficiente chiarezza ai due personaggi politici che l’abbattimento di questa barriera architettonica virtuale non avrebbe compromesso la pensione alla quale hanno ormai pieno diritto, vista la rispettiva età anagrafica. Semmai, incidentalmente, li avrebbe fatti apparire un po’ meno tromboni ed antipatici a quelli che, grazie anche alla loro incomprensibile ostinazione, hanno dovuto subire la beffa di scalini e quote dalla promessa riforma-farsa della Maroni.
Dunque, mistero. Nello stesso tempo il governo, che ben poco ha fatto di meritevole al di là dei lamenti di Pannella, si consuma in una interminabile agonia di scontri fratricidi, colpi di mano di singoli ministri, dichiarazioni contraddittorie, dissensi privati e pubbliche ritrattazioni e così via, mentre il volto paffuto di padre Barnum-Prodi ci dispensa soporiferi messaggi di concordia e rinnovata armonia.
In attesa di capire quale sia la libertà alla quale agogni il pluridecorato habituè di scioperi di fame e sete, gli Italiani si dibattono sempre più sconcertati e affranti in questa Repubblica gerontocratica, nella quale lo schioppato Padoa Schioppa, con onor del nome, si dichiara innamorato delle tasse o insulta coloro che non riescono ad affrancarsi dalle famiglie d’origine definendoli bamboccio; Dini, che con appannaggio pensionistico da sultano del Brunei, grazie alla carriera nel porto franco della Banca d’Italia, tuona contro le incivili pensioni di operai e impiegati; il Cavalier Banana, che sogna una Paperopoli, con tanto di Bassotti e commissario Basettoni e nel frattempo ha assunto a proprio servizio anche Amelia la fattucchiera che ammalia; il senatur Bossi, che con grande rispetto e riconoscenza per lo Stato che dà mangiare a lui e famiglia, ad una signora che durante un suo comizio a Venezia aveva esposto il tricolore, si rivolse invitandola a “metterlo nel cesso!”; Cossiga, benemerito Presidente della Repubblica, che dalla TV di stato definì Gava, ministro di un suo governo, “Boss, figlio di boss!”: Fini, che pur se più giovane dei precedenti sembra avviato, anche a detta dei suoi colonnelli, sul viale di una nota patologia senile quando nei panni del mitico Luigi XIV all’acme del delirio afferma “l’ètat c’est moi,” e quindi che non voterà mai una legge elettorale che ripristini la preferenza, - come dire, che il giudizio del popolo non conta un accidente; - Veltroni, che in pieno understament usa un nome d’arte, dato che fa De Amicis di famiglia, che sembra uscito dalle pagine del libro Cuore ed invischia in un improbabile e melenso buonismo a cui non credono neanche i bimbi della materna di Passirano Marmorito e reclama nella liste del PD niente meno che quella signora Lario, consorte di Berlusconi.
L’elenco potrebbe continuare, con il rischio di annoiare chi legge o di tenergli eccessivamente vivo il ricordo di cose che sicuramente preferirebbe dimenticare, quantunque e per non fare il gioco di chi poi ti dà poi del qualunquista, sol perché dichiari di non poterne più di questa replica della piazza di Marrakesh, con tanto di incantatori di serpenti, venditori di cianfrusaglia, lestofanti, sbirri travestiti da accattoni ed accattoni travestiti da sbirri, sciamani e giocolieri, sia bene dare contezza di ricordare molto bene la putrida palude nella quale ci muoviamo a fatica ogni giorno. E se poi con un tocco di fantasia tipicamente italica in questo suk di casa nostra siamo riusciti ad aggiungere ai classici figuranti marocchini anche pentiti e dissidenti lo zoo non potrà che guadagnarne merito.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,” recitava il Divino Poeta, “nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di province ma bordello!”.

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