Legge e giustizia. Paradossi a confronto
Martedì, 9 ottobre 2007
Scott Masters, un quarantunenne di Farmington nel Missouri rischia sino a trent’anni di carcere per aver rubato una ciambella in un supermarket. Ne dà notizia l’ANSA stamani, senza commento alcuno, quantunque qualsiasi lettore a leggere una notizia del genere di commenti possa farne tanti, che spazino dalla demenzialità al rigore del sistema giudiziario americano, dal buonismo di casa nostra agli eccessi degli altri Paesi.
Certamente se l’incredibile notizia non fosse di per sé tragica, visto che per una stupida ciambella c’è qualcuno che rischia di vedere il sole a scacchi per parecchi anni, non potrebbe che sollevare ilarità, specialmente se confrontata con le cose italiane dove una pena del genere difficilmente viene irrogata persino ad un omicida. Poi, con tutti i ladri che abbiamo impuniti in giro, e non quelli di automobili o di piccoli beni materiali similari, ma di pubblico denaro – evasori, tangentisti, distrattori di fondi comunitari e così via – senza contare i falsificatori di bilanci, gli agiotatori, gli spacciatori di assegni a vuoto, che magari operano con gestione di denaro privato, ma comunque ingannano fraudolentemente il prossimo, c’è da credere che le dotazioni per la costruzione di nuove carceri dovrebbe assorbire una buona percentuale del bilancio dello stato, che in fatto di edilizia residenziale per mascalzoni e affini registra una cronica insufficienza.
Fatto è che in seguito alle disavventure del signor Masters, parecchi Americani, stanchi di questa giustizia esagerata, che sebbene sia abbastanza vero che in quel grande Paese non guarda in faccia a nessuno, ma che non può pretendere di applicare lo stesso metro nel punire uno spacciatore o un ladro di diamanti ed un occasionale ladro di merendine, – lo sfortunato cleptomane sembra essere incensurato, - hanno deciso che forse è il caso di prendere in seria considerazione l’eventualità di emigrare da quella che da sempre è stata decantata come la Terra delle opportunità e dei grandi sogni verso paesi forse un po’ più approssimativi, ma decisamente più equi e tolleranti.
Nelle prossime ore il nostro presidente del Consiglio, - padre Barnum-Prodi, - sarà ospite di Bush per una serie di colloqui. C’è da credere il buon Romano, mosso da condivisibile compassione per il caso del signor Masters, offrirà la disponibilità delle nostre Amate Sponde ad accogliere una buona dose del flusso migratorio che dagli USA sembra prepararsi, dato che siamo talmente abituati a furfanterie di ben altro livello che, casi come quello in questione, non troverebbero risalto persino nella cronaca locale dell’ultimo giornaletto di provincia. Il nostro è un Paese nel quale gli artefici di Tangentopoli, le vicende di qualche costruttore senza scrupoli, gli intrighi dei cosiddetti “furbi del quartierino”, le oscure manovre di banchieri ed assicuratori per il controllo della BNL, il calcio truccato, la svendita a prezzi più che ridicoli di case di proprietà di enti pubblici a politici e sodali, le intercettazioni telefoniche con finalità ricattatorie di migliai di cittadini ignari e quanto altro possa tornare alla memoria, sono passate per birichinate o al più bravate goliardiche, visto che la gran parte dei suoi autori è in totale libertà e, come si suole dire, se la gode alla grande. Questa disponibilità italiana, d’altra parte, non potrebbe che contraccambiare quella che il suolo americano riserbò agli inizi del secolo scorso a tanti nostri connazionali, che lì si recarono a far fortuna. Connazionali onesti e desiderosi di costruirsi una vita operosamente. Ma non va taciuto che nel pacco c’era anche qualche Capone, Costello, Bonanno, Di Maggio, Luciano che non si comportarono certo da stinchi di santo, - certo, sempre secondo l’eccessiva legislazione americana, dato che in Italia tanti loro nipotini continuano le discolerie con un occhio a metà tra l’indifferente e il tollerante.
Certamente se l’incredibile notizia non fosse di per sé tragica, visto che per una stupida ciambella c’è qualcuno che rischia di vedere il sole a scacchi per parecchi anni, non potrebbe che sollevare ilarità, specialmente se confrontata con le cose italiane dove una pena del genere difficilmente viene irrogata persino ad un omicida. Poi, con tutti i ladri che abbiamo impuniti in giro, e non quelli di automobili o di piccoli beni materiali similari, ma di pubblico denaro – evasori, tangentisti, distrattori di fondi comunitari e così via – senza contare i falsificatori di bilanci, gli agiotatori, gli spacciatori di assegni a vuoto, che magari operano con gestione di denaro privato, ma comunque ingannano fraudolentemente il prossimo, c’è da credere che le dotazioni per la costruzione di nuove carceri dovrebbe assorbire una buona percentuale del bilancio dello stato, che in fatto di edilizia residenziale per mascalzoni e affini registra una cronica insufficienza.
Fatto è che in seguito alle disavventure del signor Masters, parecchi Americani, stanchi di questa giustizia esagerata, che sebbene sia abbastanza vero che in quel grande Paese non guarda in faccia a nessuno, ma che non può pretendere di applicare lo stesso metro nel punire uno spacciatore o un ladro di diamanti ed un occasionale ladro di merendine, – lo sfortunato cleptomane sembra essere incensurato, - hanno deciso che forse è il caso di prendere in seria considerazione l’eventualità di emigrare da quella che da sempre è stata decantata come la Terra delle opportunità e dei grandi sogni verso paesi forse un po’ più approssimativi, ma decisamente più equi e tolleranti.
Nelle prossime ore il nostro presidente del Consiglio, - padre Barnum-Prodi, - sarà ospite di Bush per una serie di colloqui. C’è da credere il buon Romano, mosso da condivisibile compassione per il caso del signor Masters, offrirà la disponibilità delle nostre Amate Sponde ad accogliere una buona dose del flusso migratorio che dagli USA sembra prepararsi, dato che siamo talmente abituati a furfanterie di ben altro livello che, casi come quello in questione, non troverebbero risalto persino nella cronaca locale dell’ultimo giornaletto di provincia. Il nostro è un Paese nel quale gli artefici di Tangentopoli, le vicende di qualche costruttore senza scrupoli, gli intrighi dei cosiddetti “furbi del quartierino”, le oscure manovre di banchieri ed assicuratori per il controllo della BNL, il calcio truccato, la svendita a prezzi più che ridicoli di case di proprietà di enti pubblici a politici e sodali, le intercettazioni telefoniche con finalità ricattatorie di migliai di cittadini ignari e quanto altro possa tornare alla memoria, sono passate per birichinate o al più bravate goliardiche, visto che la gran parte dei suoi autori è in totale libertà e, come si suole dire, se la gode alla grande. Questa disponibilità italiana, d’altra parte, non potrebbe che contraccambiare quella che il suolo americano riserbò agli inizi del secolo scorso a tanti nostri connazionali, che lì si recarono a far fortuna. Connazionali onesti e desiderosi di costruirsi una vita operosamente. Ma non va taciuto che nel pacco c’era anche qualche Capone, Costello, Bonanno, Di Maggio, Luciano che non si comportarono certo da stinchi di santo, - certo, sempre secondo l’eccessiva legislazione americana, dato che in Italia tanti loro nipotini continuano le discolerie con un occhio a metà tra l’indifferente e il tollerante.
La cultura dominante ci ha trasmesso dell’America l’immagine di un Paese libero, prospero, ma, allo stesso tempo, un po’ bizzarro e sovente eccessivo; in ogni caso, un Paese in cui le regole e le conseguenze delle loro infrazioni hanno un maggiore grado di certezza, sebbene – ed è qui il caso dirlo - le ciambelle non vengano sempre con il buco. L’Italia, invece, sedicente culla del diritto e nel quale di buco non se ne fallisce uno, brilla nel dare esempio di una legge e una giustizia che difficilmente ammettono di conoscersi nonostante consti siano parenti stretti. E così il principio la legge è uguale per tutti è solo uno slogan a futura memoria, come ebbe a dire un insigne giurista, visto che il signor Tutti non s’è mai visto nell’aula di un tribunale.
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