Contratti – Una nuova stagione di conflitti?
Venerdì, 3 ottobre 2008
La vita continua. E chiusa per il momento la questione Alitalia il dibattito sindacale si è spostato su di un altro tavolo, quello di Confindustria, nel quale com’era stato già abbondantemente preannunciato si è aperto il confronto tra sindacati e rappresentanza dei datori di lavoro.
Com’era facile supporre, sul negoziato pesa il macigno dell’appena conclusa trattativa sulle sorti del vettore aereo nazionale, che, anche per la presenza di una Marcegaglia non più socio della cordata CAI, ma presidente di Confindustria, ha fin da subito fatto affiorare le divergenze con quella CGIL rimasta ormai unico elemento di contrapposizione vera alle non più celate ambizione di “normalizzazione” del gotha datoriale.
L’acquiescenza dimostrata dalla CISL di Bonanni e dalla UIL di Angeletti mal si conciliano con la visione di un Epifani che vede nel ruolo del sindacato centrale il garante del mantenimento e del governo delle leve salariali delle diverse categorie del lavoro, consapevole che il tentativo di trasferire alla contrattazione decentrata (quella aziendale, che avviene nel biennio precedente la scadenza dei contratti nazionali sugli specifici temi ammessi dal contratto nazionale medesimo) mal si concilia con la necessità di garantire un recupero generalizzato della forte inflazione reale registrata dal sistema economico complessivo. Inoltre, la debolezza dei sindacati aziendali e territoriali su argomenti di questa natura è tale da rendere del tutto vana una norma dei contratti nazionali che istituisse questo percorso.
Un secondo aspetto considerato irricevibile dalla CGIL è la richiesta avanzata dalla Confindustria di una tregua sindacale di sette mesi durante le fasi negoziali, da sanzionare nell’eventualità di violazione, che nei fatti garantirebbe una pace sociale senza alcuna contropartita e ad esclusivo beneficio dei datori di lavoro.
Epifani ha bocciato il documento proposto dalle imprese, definendolo «non coerente» rispetto alla piattaforma sindacale unitaria precedentemente presentata e, quindi, «inadeguato» in quanto «non allarga né innova la contrattazione di secondo livello, ma sovraccarica di regole e norme il contratto nazionale».
A queste conclusioni di Epifani, seguite dall’abbandono del tavolo da parte della CGIL, ha immediatamente replicato la Marcegaglia, che in perfetto stile in linea con i tempi ha dichiarato: «Non ci lasceremo condizionare dall’interdizione di un soggetto negoziale. Andremo avanti con determinazione e sigleremo un accordo con coloro che ci stanno», che equivale ad anticipare come le trattative ormai non potranno che ripercorrere il new deal inauguratosi con il caso Alitalia.
La situazione, ancorché disegnare scenari incerti di rinnovato scontro sociale che rischiano di caratterizzare l’autunno ormai in corso, comunque è sintomatica di un andamento che giorno dopo giorno tende ad espiantare i capisaldi di una democrazia fondata sul rispetto dell’avversario e sul suo riconoscimento di soggetto portatore di valori ed istanze di collettività significative. Tale prassi, che può anche produrre risultati interessanti per chi si assuma l’onere di renderla operativa, non ha radice nel nostro sistema dove, invece, rischia di divenire un meccanismo di turbolenza sociale senza precedenti, dove è possibile possano confluire le frange di una sinistra confinata all’emarginazione parlamentare ed in attesa della più favorevole delle occasioni per riconquistare il terreno perso.
In buona sostanza, si ha l’impressione che la piega perorata dagli atteggiamenti d’intransigenza manifestati da Marcegaglia rischi di condurre in un vicolo cieco da cui risulterà difficilmente uscire senza vincitori e vinti.
E’ certo che un sindacato costretto all’angolo, come qualunque altro soggetto, non potrà non tentare di assestare all’avversario una zampata di reazione. Un sindacato che mostra ancora aperte le ferite provocate dalla sofferta intesa sul welfare e pensioni e dall’accordo sul salvataggio Alitalia e che è peraltro in piena ebollizione interna per il ricambio della Segreteria, non è pensabile possa subire minacce e ricatti che quelle ferite farebbero risanguinare. Né un eventuale candidato alla Segreteria in sostituzione di Epifani potrebbe mai correre il rischio di vedere appannata la propria immagine ancor prima di essere riuscito ad insediarsi alla guida della CGIL, accettando compromessi di sorta.
C’è dunque un errore tattico nella strategia di Confindustria che persevera nel voler rompere il fronte sindacale, infierendo sulla componente confederale che in questo momento appare più debole a causa dei travagli interni. E si spera che di errore si tratti, poiché se d’altro si dovesse trattare, di un fiancheggiamento alle politiche autoritarie del governo o di un tentativo di colpo di mano per sbarazzarsi definitivamente di interlocutori scomodi e che si crede allo sbando, allora la sconfitta di questo disegno protrarrebbe nel tempo le sue conseguenze ed una nuova stagione di lunga instabilità si aprirebbe per il Paese.
La vita continua. E chiusa per il momento la questione Alitalia il dibattito sindacale si è spostato su di un altro tavolo, quello di Confindustria, nel quale com’era stato già abbondantemente preannunciato si è aperto il confronto tra sindacati e rappresentanza dei datori di lavoro.
Com’era facile supporre, sul negoziato pesa il macigno dell’appena conclusa trattativa sulle sorti del vettore aereo nazionale, che, anche per la presenza di una Marcegaglia non più socio della cordata CAI, ma presidente di Confindustria, ha fin da subito fatto affiorare le divergenze con quella CGIL rimasta ormai unico elemento di contrapposizione vera alle non più celate ambizione di “normalizzazione” del gotha datoriale.
L’acquiescenza dimostrata dalla CISL di Bonanni e dalla UIL di Angeletti mal si conciliano con la visione di un Epifani che vede nel ruolo del sindacato centrale il garante del mantenimento e del governo delle leve salariali delle diverse categorie del lavoro, consapevole che il tentativo di trasferire alla contrattazione decentrata (quella aziendale, che avviene nel biennio precedente la scadenza dei contratti nazionali sugli specifici temi ammessi dal contratto nazionale medesimo) mal si concilia con la necessità di garantire un recupero generalizzato della forte inflazione reale registrata dal sistema economico complessivo. Inoltre, la debolezza dei sindacati aziendali e territoriali su argomenti di questa natura è tale da rendere del tutto vana una norma dei contratti nazionali che istituisse questo percorso.
Un secondo aspetto considerato irricevibile dalla CGIL è la richiesta avanzata dalla Confindustria di una tregua sindacale di sette mesi durante le fasi negoziali, da sanzionare nell’eventualità di violazione, che nei fatti garantirebbe una pace sociale senza alcuna contropartita e ad esclusivo beneficio dei datori di lavoro.
Epifani ha bocciato il documento proposto dalle imprese, definendolo «non coerente» rispetto alla piattaforma sindacale unitaria precedentemente presentata e, quindi, «inadeguato» in quanto «non allarga né innova la contrattazione di secondo livello, ma sovraccarica di regole e norme il contratto nazionale».
A queste conclusioni di Epifani, seguite dall’abbandono del tavolo da parte della CGIL, ha immediatamente replicato la Marcegaglia, che in perfetto stile in linea con i tempi ha dichiarato: «Non ci lasceremo condizionare dall’interdizione di un soggetto negoziale. Andremo avanti con determinazione e sigleremo un accordo con coloro che ci stanno», che equivale ad anticipare come le trattative ormai non potranno che ripercorrere il new deal inauguratosi con il caso Alitalia.
La situazione, ancorché disegnare scenari incerti di rinnovato scontro sociale che rischiano di caratterizzare l’autunno ormai in corso, comunque è sintomatica di un andamento che giorno dopo giorno tende ad espiantare i capisaldi di una democrazia fondata sul rispetto dell’avversario e sul suo riconoscimento di soggetto portatore di valori ed istanze di collettività significative. Tale prassi, che può anche produrre risultati interessanti per chi si assuma l’onere di renderla operativa, non ha radice nel nostro sistema dove, invece, rischia di divenire un meccanismo di turbolenza sociale senza precedenti, dove è possibile possano confluire le frange di una sinistra confinata all’emarginazione parlamentare ed in attesa della più favorevole delle occasioni per riconquistare il terreno perso.
In buona sostanza, si ha l’impressione che la piega perorata dagli atteggiamenti d’intransigenza manifestati da Marcegaglia rischi di condurre in un vicolo cieco da cui risulterà difficilmente uscire senza vincitori e vinti.
E’ certo che un sindacato costretto all’angolo, come qualunque altro soggetto, non potrà non tentare di assestare all’avversario una zampata di reazione. Un sindacato che mostra ancora aperte le ferite provocate dalla sofferta intesa sul welfare e pensioni e dall’accordo sul salvataggio Alitalia e che è peraltro in piena ebollizione interna per il ricambio della Segreteria, non è pensabile possa subire minacce e ricatti che quelle ferite farebbero risanguinare. Né un eventuale candidato alla Segreteria in sostituzione di Epifani potrebbe mai correre il rischio di vedere appannata la propria immagine ancor prima di essere riuscito ad insediarsi alla guida della CGIL, accettando compromessi di sorta.
C’è dunque un errore tattico nella strategia di Confindustria che persevera nel voler rompere il fronte sindacale, infierendo sulla componente confederale che in questo momento appare più debole a causa dei travagli interni. E si spera che di errore si tratti, poiché se d’altro si dovesse trattare, di un fiancheggiamento alle politiche autoritarie del governo o di un tentativo di colpo di mano per sbarazzarsi definitivamente di interlocutori scomodi e che si crede allo sbando, allora la sconfitta di questo disegno protrarrebbe nel tempo le sue conseguenze ed una nuova stagione di lunga instabilità si aprirebbe per il Paese.
(nella foto, un fortunato poster CGIL di denuncia del sistema di precariato nel nostro Paese)
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