La legge fai da te. Cronache demenziali
Sabato, 11 ottobre 2008
Non passa ormai giorno che dalle cronache dei quotidiani nazionali non giungano notizie a dir poco strane, qualcuna divertente, qualcuna un po’ meno, qualcuna tragica, comunque tutte segno inconfutabile di come questo Paese un tempo culla del diritto oltre che del sole, della pizza e degli spaghetti, stia precipitando nel caos nel quale l’unica certezza è la vessazione arrogante di un sistema in cui un poliziotto, un questore, un cassiere di banca, un impiegato dell’anagrafe o un semplice cittadino qualunque, si improvvisa sceriffo e, facendo appello ad una normativa immaginaria, si insinua nei vuoti delle mille norme contraddittorie che confondono lo scenario e impone che una certa cosa s’ha da fare come dice lui, quantunque non abbia autorità alcuna.
Ecco allora che in una nota banca nazionale, - Banca di Lodi, sede di Avola, giusto per non passare per reticenti, - presentandosi con un assegno peraltro emesso da quella filiale su cui sta scritto a caratteri cubitali “pagate a vista”, ci si sente rispondere che non sussiste alcun obbligo di legge ad effettuare il pagamento, sebbene l’assegno sia regolare e l’esibente mostri ogni valido documento possibile per dimostrare che il beneficiario sia lui. L’incasso, secondo il novello sceriffo, può avvenire o tramite negoziazione bancaria o con accredito su conto corrente della medesima banca, da aprire seduta stante (sic!).
Alla stessa maniera accade in quel di Parma che un giovanotto di pelle scura venga pestato per futili motivi da due valenti tutori comunali della legge, - assurti al rango di Polizia Locale, come nella più demenziale delle satire americane descritta nel serial televisivo Hazard, - e poi si inventino squallide giustificazioni per un comportamento inqualificabile e di evidente stampo razzista. Quel comportamento ormai serpeggiante per la Penisola smentito a gran voce persino dal ministro Maroni, notoria figura di punta della razzista formazione politica che risponde al nome di Lega Padana. Dopo l’accaduto, comunque, è vivamente consigliato a chiunque abbia fatto indigestione di tintarella o una dizione zoppicante della lingua italiana, di aggirarsi con fare al di sopra d’ogni sospetto per le vie di certe città del Paese, giusto per evitare il rischio di incorrere nelle ire di qualche tutore della (sua) legge, al quale i media hanno inculcato il pregiudizio che scuro è sinonimo di criminale e che una ripassatina preventiva non guasta di certo.
Non passa ormai giorno che dalle cronache dei quotidiani nazionali non giungano notizie a dir poco strane, qualcuna divertente, qualcuna un po’ meno, qualcuna tragica, comunque tutte segno inconfutabile di come questo Paese un tempo culla del diritto oltre che del sole, della pizza e degli spaghetti, stia precipitando nel caos nel quale l’unica certezza è la vessazione arrogante di un sistema in cui un poliziotto, un questore, un cassiere di banca, un impiegato dell’anagrafe o un semplice cittadino qualunque, si improvvisa sceriffo e, facendo appello ad una normativa immaginaria, si insinua nei vuoti delle mille norme contraddittorie che confondono lo scenario e impone che una certa cosa s’ha da fare come dice lui, quantunque non abbia autorità alcuna.
Ecco allora che in una nota banca nazionale, - Banca di Lodi, sede di Avola, giusto per non passare per reticenti, - presentandosi con un assegno peraltro emesso da quella filiale su cui sta scritto a caratteri cubitali “pagate a vista”, ci si sente rispondere che non sussiste alcun obbligo di legge ad effettuare il pagamento, sebbene l’assegno sia regolare e l’esibente mostri ogni valido documento possibile per dimostrare che il beneficiario sia lui. L’incasso, secondo il novello sceriffo, può avvenire o tramite negoziazione bancaria o con accredito su conto corrente della medesima banca, da aprire seduta stante (sic!).
Alla stessa maniera accade in quel di Parma che un giovanotto di pelle scura venga pestato per futili motivi da due valenti tutori comunali della legge, - assurti al rango di Polizia Locale, come nella più demenziale delle satire americane descritta nel serial televisivo Hazard, - e poi si inventino squallide giustificazioni per un comportamento inqualificabile e di evidente stampo razzista. Quel comportamento ormai serpeggiante per la Penisola smentito a gran voce persino dal ministro Maroni, notoria figura di punta della razzista formazione politica che risponde al nome di Lega Padana. Dopo l’accaduto, comunque, è vivamente consigliato a chiunque abbia fatto indigestione di tintarella o una dizione zoppicante della lingua italiana, di aggirarsi con fare al di sopra d’ogni sospetto per le vie di certe città del Paese, giusto per evitare il rischio di incorrere nelle ire di qualche tutore della (sua) legge, al quale i media hanno inculcato il pregiudizio che scuro è sinonimo di criminale e che una ripassatina preventiva non guasta di certo.
A Milano, pochi giorni or sono, un giovane ci ha rimesso la vita a causa del colore della sua pelle, ed anche in questo caso perché un negoziante ha ritenuto di potersi fare giustizia da solo a fronte di un presunto reato commesso dal poveretto, forse nel presupposto che trattandosi d'un nero poichi avrebbero messo in discussione si trattasse d'un farabutto certo.
E in questo clima di giustizia fai da te, singolare, poi, il provvedimento del questore di Catania, Michele Capomacchia, - cui si deve registrare la solidale copertura del prefetto, Giovanni Finazzo, - che ha disposto la chiusura per quindici giorni di un bar della città etnea, risultato ad un controllo affollato di pregiudicati intenti a sorseggiare un caffè o sgranocchiare una brioche. A poco sono valse le proteste dell’esercente, che ha fatto notare come non sia tenuto a chiedere l’esibizione del certificato di buona condotta agli avventori del suo locale, né che gli stessi fossero intenti a consumare reati di sorta all’irruzione delle forze dell’ordine. Il locale resterà chiuso tra le proteste della Confcommercio, prontamente intervenuta, e la frustrazione del proprietario costretto a subire l’arrogante atto di imperio dei due rappresentanti delle istituzioni. Non è dato sapere ancora se prefetto e questore intenderanno motivare con argomenti più convincenti il provvedimento assunto, visto che non appare né sufficiente né convincente che il provvedimento possa sostenersi per la semplice ragione che il locale in questione è sito in una delle zone più degradate della città.
Analogamente, non sembra plausibile immaginare che un pregiudicato, magari uno che ha già saldato ogni debito con la società, non abbia il diritto di bere un caffè in un pubblico locale o di leggere il giornale comodamente seduto al tavolino d’un bistrot e che, oltre tutto, le conseguenze della sua (sgradita) presenza ricadano sull’ignaro esercente. In ogni caso, dato che il principio che la legge vale per tutti dovrebbe rimanere salvo, - sebbene queste improvvisazioni lascino ben preludere cosa succederà dal giorno dopo in cui avrà trovato attuazione il tanto decantato federalismo, con annessa delega alle amministtrazioni locali di legiferare in materia d'ordine pubblico, - saremmo proprio curiosi di vedere quali provvedimenti sarebbero assunti dopo un’irruzione nella bouvette di Montecitorio, dove ci risulta che di pregiudicati ed amici di certa "gente di rispetto" ce ne siano tanti.
E in questo clima di giustizia fai da te, singolare, poi, il provvedimento del questore di Catania, Michele Capomacchia, - cui si deve registrare la solidale copertura del prefetto, Giovanni Finazzo, - che ha disposto la chiusura per quindici giorni di un bar della città etnea, risultato ad un controllo affollato di pregiudicati intenti a sorseggiare un caffè o sgranocchiare una brioche. A poco sono valse le proteste dell’esercente, che ha fatto notare come non sia tenuto a chiedere l’esibizione del certificato di buona condotta agli avventori del suo locale, né che gli stessi fossero intenti a consumare reati di sorta all’irruzione delle forze dell’ordine. Il locale resterà chiuso tra le proteste della Confcommercio, prontamente intervenuta, e la frustrazione del proprietario costretto a subire l’arrogante atto di imperio dei due rappresentanti delle istituzioni. Non è dato sapere ancora se prefetto e questore intenderanno motivare con argomenti più convincenti il provvedimento assunto, visto che non appare né sufficiente né convincente che il provvedimento possa sostenersi per la semplice ragione che il locale in questione è sito in una delle zone più degradate della città.
Analogamente, non sembra plausibile immaginare che un pregiudicato, magari uno che ha già saldato ogni debito con la società, non abbia il diritto di bere un caffè in un pubblico locale o di leggere il giornale comodamente seduto al tavolino d’un bistrot e che, oltre tutto, le conseguenze della sua (sgradita) presenza ricadano sull’ignaro esercente. In ogni caso, dato che il principio che la legge vale per tutti dovrebbe rimanere salvo, - sebbene queste improvvisazioni lascino ben preludere cosa succederà dal giorno dopo in cui avrà trovato attuazione il tanto decantato federalismo, con annessa delega alle amministtrazioni locali di legiferare in materia d'ordine pubblico, - saremmo proprio curiosi di vedere quali provvedimenti sarebbero assunti dopo un’irruzione nella bouvette di Montecitorio, dove ci risulta che di pregiudicati ed amici di certa "gente di rispetto" ce ne siano tanti.
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