Alitalia: show down già previsto
Domenica, 2 novembre 2008
Dire che l’avevamo previsto, adesso può apparire fin troppo scontato. Tuttavia, le premesse con le quali era partita l’acquisizione di Alitalia da parte della CAI, non lasciavano intravvedere che ombre cupe solo agli sprovveduti o a coloro che poco conoscono il settore del traffico aereo e si sono fidati delle spocchiose dichiarazioni tranquillizzanti del drappello di imbonitori in evidente malafede, Berlusconi in testa.
In più, era già scontato che l’Unione Europea avrebbe sottoposto a radiografia un’operazione che nascondeva - ed ancora nasconde - vistose violazioni dei trattati comunitari sugli aiuti di stato alle aziende in crisi e, pertanto, avrebbe presentato il conto all’Italia per un’azione di salvataggio della ex compagnia di bandiera a dir poco maldestro.
Così i nodi son venuti al pettine. Le premesse di ricomposizione delle vistose contraddizioni evidenziatesi nel corso della trattativa tra organizzazioni sindacali, governo ed acquirenti sono venute meno e stanno riesplodendo in queste ore con una nuova frattura sul fronte sindacale delle sigle autonome e confederali e CAI.
Avevamo già avuto modo di sottolineare, - proprio perché la matematica non è manipolabile con metodi di parte, - che il livello degli esuberi veri dell’operazione si attestava in circa diecimila dipendenti tra Alitalia, AirOne ed altre aziende di gruppo e che il meccanismo di accompagnamento al trattamento pensionistico per coloro che non avrebbero potuto essere ricollocati nella nuova compagnia, attraverso l’indennità di mobilità settennale, appariva assai suggestivo per due ordini di ragioni. La prima perché era da ritenersi assai improbabile che le ex società confluite nell’operazione potessero avere ben diecimila dipendenti con età superiore a 54 anni (tanti ne occorrerebbero oggi per raggiungere la pensione nel 2015 dopo i sette anni di trattamento di mobilità), a meno di non parlare di un improbabile gerontologico. La seconda ragione è nella esiguità delle risorse pubbliche disponibili per finanziare un meccanismo così massiccio di cassa integrazione, che nelle ultime settimane è emerso come siano prossime ad esaurirsi nell’arco di tre mesi. A questi dubbi andava sommata l’incertezza delle decisioni comunitarie, che difficilmente avrebbero potuto avallare l’accollo al debito pubblico di oltre 2,5 miliardi di debiti delle due ex compagnie Alitalia ed AirOne e la trasformazione in regalia del finanziamento di 300 milioni di euro accordato da Prodi prima e da Berlusconi poi alla sanguisuga Alitalia già a giugno del corrente anno.
Davanti a questo caos di numeri e di danaro fantasma, i “benefattori” della CAI , - come ha tenuto a spacciarli con esemplare faccia di bronzo il nostro valente primo ministro, - hanno pensato bene di innescare l’ultimo minuetto, venendo meno agli impegni sui numeri concordati degli esuberi, sul contratto di lavoro definito in sede di accordo con governo e parti sociali per comandanti e piloti e sul trattamento di mobilità già garantito. Come ultima chicca, CAI ha dichiarato che non intende accollarsi l’onere della restituzione del prestito di 300 milioni censurato dall’Unione Europea, ponendo così un’ipoteca enorme sulla conclusione possibile del complesso negoziato.
Naturalmente la CAI ha addossato alle organizzazioni sindacali dissenzienti lo stallo ed il rischio di naufragio definitivo delle trattative, dovuto, a suo dire, a «pretese riguardanti i permessi/distacchi sindacali», a cui hanno risposto piccate Anpac, Anpav, Unione Piloto e SdL con una nota congiunta: «L'azienda non è mai entrata in una vera e concreta stesura tecnica ed ha sistematicamente stravolto tali impegni, producendo un risultato finale del tutto diverso dalle condizioni contrattuali che erano state concordate e sottoscritte».
La nota è peraltro un’indiretta risposta alle affermazioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ancora ieri aveva parlato di rinnovato senso di responsabilità di CGIL, CISL, UIL e UGL che avevano apposto la loro firma su un documento stilato di concerto con Gianni Letta, vice presidente del consiglio, intervenuto per mediare sui problemi insorti tra CAI e sindacati. « Non siamo d'accordo con chi dice che ieri abbia prevalso il senso di responsabilità: sono stati calpestati i diritti dei lavoratori», afferma la nota, rispedendo a Fini l’affermazione che «i piloti e il personale navigante, che rappresentano certamente una risorsa, si assumano al pari degli altri una responsabilità e consentano la nascita della nuova compagnia e il decollo di questa nuova fase del trasporto aereo».
Anche Bossi, al quale il naufragio della trattativa desta più di qualche preoccupazione per le prevedibili ripercussioni su Malpensa, - riserva di voti del “disinteressato” leader del Carroccio, - ha sollecitato un nuovo intervento dell’amico Berlusconi: «E' lui» - ha aggiunto - «che deve scendere in campo e penso che lo farà. La CAI secondo me non molla la partita» - ha aggiunto Bossi - «non si alza dal tavolo». Quanto ai sindacati, il ministro avverte «devono stare attenti a non esagerare. Se falliscono Alitalia e Malpensa sarebbe uno smacco enorme per il sindacato», stravolgendo il senso vero delle cose, dato che il fallimento della trattativa sarebbe uno smacco per il capo del governo e per la manica di spregiudicati affaristi che lo ha seguito nell’avventura, oltre che dei quattro tromboni padani che svenderebbero mamme e sorelle pur di potersi presentare al proprio elettorato con l’ennesima vittoria contro la “Roma ladrona” ed i suoi complici politici e sindacali.
Adesso tocca al premier, l’invasato che vede i comunisti anche nei ripostigli della sua villa di Arcore, che non perderà l’occasione per addossare alla sinistra gli inciampi di percorso di una trattativa nata sotto cattiva stella e viziata sin dalle premesse.
Alla luce di quest’ennesima debacle, verrebbe peraltro da chiedersi chi gli ha dato il sostegno elettorale, se studenti, genitori, docenti, personale del comparto aereo, pubblici dipendenti e quanti davanti alle palesi ed arroganti idiozie di un governo boccheggiante stanno sollevando la testa per esprimere un dissenso non più contenibile nella critica ma che giorno dopo giorno dilaga nelle piazze. Noi, che crediamo profondamente nella democrazia e ne accettiamo i verdetti, non saremo mai a chiedere un riconteggio dei voti come hanno fatto i paladini della democrazia self consuming che ci governano oggi e che non sanno ammettere la sconfitta, ma l’ondata di contestazione in atto, certo, qualche dubbio solleva. Infine, sappia il signor Berlusconi, che di pezze sulle natiche gli Italiani ne hanno a sufficienza per accettare senza batter ciglio di accollarsi i debiti dell’operazione Alitalia solo per fare un cortese omaggio agli amici suoi.
In più, era già scontato che l’Unione Europea avrebbe sottoposto a radiografia un’operazione che nascondeva - ed ancora nasconde - vistose violazioni dei trattati comunitari sugli aiuti di stato alle aziende in crisi e, pertanto, avrebbe presentato il conto all’Italia per un’azione di salvataggio della ex compagnia di bandiera a dir poco maldestro.
Così i nodi son venuti al pettine. Le premesse di ricomposizione delle vistose contraddizioni evidenziatesi nel corso della trattativa tra organizzazioni sindacali, governo ed acquirenti sono venute meno e stanno riesplodendo in queste ore con una nuova frattura sul fronte sindacale delle sigle autonome e confederali e CAI.
Avevamo già avuto modo di sottolineare, - proprio perché la matematica non è manipolabile con metodi di parte, - che il livello degli esuberi veri dell’operazione si attestava in circa diecimila dipendenti tra Alitalia, AirOne ed altre aziende di gruppo e che il meccanismo di accompagnamento al trattamento pensionistico per coloro che non avrebbero potuto essere ricollocati nella nuova compagnia, attraverso l’indennità di mobilità settennale, appariva assai suggestivo per due ordini di ragioni. La prima perché era da ritenersi assai improbabile che le ex società confluite nell’operazione potessero avere ben diecimila dipendenti con età superiore a 54 anni (tanti ne occorrerebbero oggi per raggiungere la pensione nel 2015 dopo i sette anni di trattamento di mobilità), a meno di non parlare di un improbabile gerontologico. La seconda ragione è nella esiguità delle risorse pubbliche disponibili per finanziare un meccanismo così massiccio di cassa integrazione, che nelle ultime settimane è emerso come siano prossime ad esaurirsi nell’arco di tre mesi. A questi dubbi andava sommata l’incertezza delle decisioni comunitarie, che difficilmente avrebbero potuto avallare l’accollo al debito pubblico di oltre 2,5 miliardi di debiti delle due ex compagnie Alitalia ed AirOne e la trasformazione in regalia del finanziamento di 300 milioni di euro accordato da Prodi prima e da Berlusconi poi alla sanguisuga Alitalia già a giugno del corrente anno.
Davanti a questo caos di numeri e di danaro fantasma, i “benefattori” della CAI , - come ha tenuto a spacciarli con esemplare faccia di bronzo il nostro valente primo ministro, - hanno pensato bene di innescare l’ultimo minuetto, venendo meno agli impegni sui numeri concordati degli esuberi, sul contratto di lavoro definito in sede di accordo con governo e parti sociali per comandanti e piloti e sul trattamento di mobilità già garantito. Come ultima chicca, CAI ha dichiarato che non intende accollarsi l’onere della restituzione del prestito di 300 milioni censurato dall’Unione Europea, ponendo così un’ipoteca enorme sulla conclusione possibile del complesso negoziato.
Naturalmente la CAI ha addossato alle organizzazioni sindacali dissenzienti lo stallo ed il rischio di naufragio definitivo delle trattative, dovuto, a suo dire, a «pretese riguardanti i permessi/distacchi sindacali», a cui hanno risposto piccate Anpac, Anpav, Unione Piloto e SdL con una nota congiunta: «L'azienda non è mai entrata in una vera e concreta stesura tecnica ed ha sistematicamente stravolto tali impegni, producendo un risultato finale del tutto diverso dalle condizioni contrattuali che erano state concordate e sottoscritte».
La nota è peraltro un’indiretta risposta alle affermazioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ancora ieri aveva parlato di rinnovato senso di responsabilità di CGIL, CISL, UIL e UGL che avevano apposto la loro firma su un documento stilato di concerto con Gianni Letta, vice presidente del consiglio, intervenuto per mediare sui problemi insorti tra CAI e sindacati. « Non siamo d'accordo con chi dice che ieri abbia prevalso il senso di responsabilità: sono stati calpestati i diritti dei lavoratori», afferma la nota, rispedendo a Fini l’affermazione che «i piloti e il personale navigante, che rappresentano certamente una risorsa, si assumano al pari degli altri una responsabilità e consentano la nascita della nuova compagnia e il decollo di questa nuova fase del trasporto aereo».
Anche Bossi, al quale il naufragio della trattativa desta più di qualche preoccupazione per le prevedibili ripercussioni su Malpensa, - riserva di voti del “disinteressato” leader del Carroccio, - ha sollecitato un nuovo intervento dell’amico Berlusconi: «E' lui» - ha aggiunto - «che deve scendere in campo e penso che lo farà. La CAI secondo me non molla la partita» - ha aggiunto Bossi - «non si alza dal tavolo». Quanto ai sindacati, il ministro avverte «devono stare attenti a non esagerare. Se falliscono Alitalia e Malpensa sarebbe uno smacco enorme per il sindacato», stravolgendo il senso vero delle cose, dato che il fallimento della trattativa sarebbe uno smacco per il capo del governo e per la manica di spregiudicati affaristi che lo ha seguito nell’avventura, oltre che dei quattro tromboni padani che svenderebbero mamme e sorelle pur di potersi presentare al proprio elettorato con l’ennesima vittoria contro la “Roma ladrona” ed i suoi complici politici e sindacali.
Adesso tocca al premier, l’invasato che vede i comunisti anche nei ripostigli della sua villa di Arcore, che non perderà l’occasione per addossare alla sinistra gli inciampi di percorso di una trattativa nata sotto cattiva stella e viziata sin dalle premesse.
Alla luce di quest’ennesima debacle, verrebbe peraltro da chiedersi chi gli ha dato il sostegno elettorale, se studenti, genitori, docenti, personale del comparto aereo, pubblici dipendenti e quanti davanti alle palesi ed arroganti idiozie di un governo boccheggiante stanno sollevando la testa per esprimere un dissenso non più contenibile nella critica ma che giorno dopo giorno dilaga nelle piazze. Noi, che crediamo profondamente nella democrazia e ne accettiamo i verdetti, non saremo mai a chiedere un riconteggio dei voti come hanno fatto i paladini della democrazia self consuming che ci governano oggi e che non sanno ammettere la sconfitta, ma l’ondata di contestazione in atto, certo, qualche dubbio solleva. Infine, sappia il signor Berlusconi, che di pezze sulle natiche gli Italiani ne hanno a sufficienza per accettare senza batter ciglio di accollarsi i debiti dell’operazione Alitalia solo per fare un cortese omaggio agli amici suoi.
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