Minaccia e dispetto dipendente perfetto
Mercoledì, 5 novembre 2008
«In altre circostanze un ministro che si fosse reso autore di pressioni così forti sarebbe stato deferito al tribunale dei ministri e condannato al carcere per estorsione aggravata».
Così Antonio Di Pietro ha commentato su Sky TV l’intervento di Altero Mattioli, ministro delle Infrastrutture, in merito alla mancata firma da parte di piloti ed assistenti di volo delle cinque sigle sindacali ex Alitalia che non hanno firmato gli accordi con la CAI. Il ministro, seguito a ruota dal collega Maurizio Sacconi del dicastero del Lavoro, ha minacciato di escludere dal trattamento di CIG il personale che rifiuterà l’assunzione nella nuova compagnia aerea, senza entrare nel merito del fallimento della trattativa, ma lanciando un inqualificabile messaggio ricattatorio agli aderenti alle sigle sindacali recalcitranti.
E per quanto il messaggio sia in perfetta coerenza con o stile prevaricatore ed arrogante inaugurato dal recente governo Berlusconi, stupisce il tono sprezzante di un rappresentante delle istituzioni il cui dovere dovrebbe essere quello di porsi al di sopra delle parti e mediare nella ricerca di un’intesa che tenga conto delle priorità complessive e degli interessi del lavoro. Peraltro, non va dimenticato che le sigle in questione rappresentano oltre il 79% dei dipendenti dell’ex compagnia di bandiera e dunque una minaccia così proterva mal si addice a chi, per legge dei grandi numeri, dovrebbe istituzionalmente avere a cuore la tutela dei principi di democraticità e non invece gli interessi di un manipolo di affaristi pronti a perpetrare ogni vessazione facendosi usbergo dello stato comatoso di una società di trasporto aereo gloriosa ma ormai fallita.
E’ evidente che per il ministro Mattioli così come per il suo collega Sacconi l’ebbrezza del potere è tale da offuscare la percezione e l’esercizio delle regole della democrazia sindacale, convinti che i quasi 25000 dipendenti delle compagnie aeree coinvolte nell’affaire di ristrutturazione del comparto aereo nazionale, senza tener conto dei dipendenti dell’indotto, siano burattini da manipolare e intimidire a proprio piacimento e non anche elettori, che al momento opportuno sapranno ricompensare con analoga moneta il rispetto e l’attenzione che hanno ricevuto da questo governo sedicente popolare.
Poi si può anche fingere, oltre che ingannare il mondo sulla scorta di questa finzione, che la vecchia triplice sindacale con l’adesione anche dell’UGL, - compagine dai numeri di rappresentatività ridicoli ma assurta al ruolo di importante interlocutore grazie alle cameratesche sollecitazioni di qualche componente della coalizione, - sia rappresentativa dell’universo ex Alitalia, ma nel fare ciò si sottovaluta il peso della protesta di piazza, che in più occasioni ha dimostrato di non obbedire ad alcun ordine di Bonanni, Angeletti, Epifani o Polverini e di conoscere i metodi con i quali pretendere la tutela dei propri interessi.
Lo stesso Colaninno, rappresentante al tavolo dei negoziati con tutte le sigle sindacali interessate, probabilmente forte dell’esperienza della privatizzazione della Telecom, riteneva che le mille specificità del trasporto aereo potessero trovare composizione con gli imbonimenti o con promesse rivedibili in sede di trattativa aziendale. Evidentemente così non è stato ed alla prima marcia indietro innescata rispetto agli impegni assunti in sede di mediazione governativa, s’è ritrovato in mano una patata scottante della quale ha pensato di potersi liberare sfoderando l’analoga supponente arroganza dei suoi mandanti ed allora è andato giù d’avvertimenti e minacce ad un popolo di lavoratori che, in tutta onestà, si è formato nella bambagia di un’Alitalia nella quale sino a qualche tempo fa le maglie regolamentari e dei privilegi erano assai lasche. Pretendere di raddrizzare le gambe al cane, che notoriamente le ha storte dalla nascita, non può che condurre a pericolosissimi bracci di ferro il cui esito vedrà immancabilmente tutti perdenti. Mentre sarebbe più oculato mostrare maggiore accondiscendenza, magari ammorbidendo certe posizioni di chiusura e fissando scadenze precise entro le quali far decadere le eventuali concessioni. La soluzione alternativa è l’abbandono del tavolo negoziale ed il ritiro dell’offerta, che lasci l’Alitalia al suo destino o all’interesse di altri potenziali acquisitori, che in ogni caso non potranno presentarsi in modo meno improvvisato e sprovveduto di quanto non abbiano fatto i pretendenti attuali, pur se incoraggiati dal loro sponsor Berlusconi.A prender spunto da questa vicenda c’è comunque una morale: quanti hanno immaginato dopo l’ultima tornata elettorale di poter governare la politica, l’economia e la società con minacce e manganelli non sono non avranno vita facile ed è probabile che, perseverando nel disprezzo degli interlocutori e degli interessi di intere categorie di cittadini, l’abbiano anche breve.
Così Antonio Di Pietro ha commentato su Sky TV l’intervento di Altero Mattioli, ministro delle Infrastrutture, in merito alla mancata firma da parte di piloti ed assistenti di volo delle cinque sigle sindacali ex Alitalia che non hanno firmato gli accordi con la CAI. Il ministro, seguito a ruota dal collega Maurizio Sacconi del dicastero del Lavoro, ha minacciato di escludere dal trattamento di CIG il personale che rifiuterà l’assunzione nella nuova compagnia aerea, senza entrare nel merito del fallimento della trattativa, ma lanciando un inqualificabile messaggio ricattatorio agli aderenti alle sigle sindacali recalcitranti.
E per quanto il messaggio sia in perfetta coerenza con o stile prevaricatore ed arrogante inaugurato dal recente governo Berlusconi, stupisce il tono sprezzante di un rappresentante delle istituzioni il cui dovere dovrebbe essere quello di porsi al di sopra delle parti e mediare nella ricerca di un’intesa che tenga conto delle priorità complessive e degli interessi del lavoro. Peraltro, non va dimenticato che le sigle in questione rappresentano oltre il 79% dei dipendenti dell’ex compagnia di bandiera e dunque una minaccia così proterva mal si addice a chi, per legge dei grandi numeri, dovrebbe istituzionalmente avere a cuore la tutela dei principi di democraticità e non invece gli interessi di un manipolo di affaristi pronti a perpetrare ogni vessazione facendosi usbergo dello stato comatoso di una società di trasporto aereo gloriosa ma ormai fallita.
E’ evidente che per il ministro Mattioli così come per il suo collega Sacconi l’ebbrezza del potere è tale da offuscare la percezione e l’esercizio delle regole della democrazia sindacale, convinti che i quasi 25000 dipendenti delle compagnie aeree coinvolte nell’affaire di ristrutturazione del comparto aereo nazionale, senza tener conto dei dipendenti dell’indotto, siano burattini da manipolare e intimidire a proprio piacimento e non anche elettori, che al momento opportuno sapranno ricompensare con analoga moneta il rispetto e l’attenzione che hanno ricevuto da questo governo sedicente popolare.
Poi si può anche fingere, oltre che ingannare il mondo sulla scorta di questa finzione, che la vecchia triplice sindacale con l’adesione anche dell’UGL, - compagine dai numeri di rappresentatività ridicoli ma assurta al ruolo di importante interlocutore grazie alle cameratesche sollecitazioni di qualche componente della coalizione, - sia rappresentativa dell’universo ex Alitalia, ma nel fare ciò si sottovaluta il peso della protesta di piazza, che in più occasioni ha dimostrato di non obbedire ad alcun ordine di Bonanni, Angeletti, Epifani o Polverini e di conoscere i metodi con i quali pretendere la tutela dei propri interessi.
Lo stesso Colaninno, rappresentante al tavolo dei negoziati con tutte le sigle sindacali interessate, probabilmente forte dell’esperienza della privatizzazione della Telecom, riteneva che le mille specificità del trasporto aereo potessero trovare composizione con gli imbonimenti o con promesse rivedibili in sede di trattativa aziendale. Evidentemente così non è stato ed alla prima marcia indietro innescata rispetto agli impegni assunti in sede di mediazione governativa, s’è ritrovato in mano una patata scottante della quale ha pensato di potersi liberare sfoderando l’analoga supponente arroganza dei suoi mandanti ed allora è andato giù d’avvertimenti e minacce ad un popolo di lavoratori che, in tutta onestà, si è formato nella bambagia di un’Alitalia nella quale sino a qualche tempo fa le maglie regolamentari e dei privilegi erano assai lasche. Pretendere di raddrizzare le gambe al cane, che notoriamente le ha storte dalla nascita, non può che condurre a pericolosissimi bracci di ferro il cui esito vedrà immancabilmente tutti perdenti. Mentre sarebbe più oculato mostrare maggiore accondiscendenza, magari ammorbidendo certe posizioni di chiusura e fissando scadenze precise entro le quali far decadere le eventuali concessioni. La soluzione alternativa è l’abbandono del tavolo negoziale ed il ritiro dell’offerta, che lasci l’Alitalia al suo destino o all’interesse di altri potenziali acquisitori, che in ogni caso non potranno presentarsi in modo meno improvvisato e sprovveduto di quanto non abbiano fatto i pretendenti attuali, pur se incoraggiati dal loro sponsor Berlusconi.A prender spunto da questa vicenda c’è comunque una morale: quanti hanno immaginato dopo l’ultima tornata elettorale di poter governare la politica, l’economia e la società con minacce e manganelli non sono non avranno vita facile ed è probabile che, perseverando nel disprezzo degli interlocutori e degli interessi di intere categorie di cittadini, l’abbiano anche breve.
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