Eroi, patrioti, furbetti e miserabili: lo zoo del Belpaese
Giovedì, 29 gennaio 2009
A ben guardare le notizie che affollano la stampa nostrana si scopre facilmente come l’informazione non ha mai brillato per obiettività nel nostro Paese. I criteri con i quali la cronaca riporta gli accadimenti rispondono molto spesso ad una sorta di attualità preconfezionata, decisa nelle redazioni dei giornali non in base alla notizia in se stessa quanto sulla scorta di valutazioni che hanno a che vedere con la stima del potenziale gradimento dei lettori, che potrebbero esser stufi di sentir parlare di una certa cosa e vanno piuttosto a caccia di qualche novità che li appassioni. Così i giornali diventano una sorta di vetrina nella quale esibire notizie di tendenza, come si trattasse di negozianti condannati ad esporre capi d’abbigliamento sempre nuovi per attirar l’attenzione dei passanti.
Questo criterio, che costituisce vera e propria manipolazione per non dire di peggio, è sempre stato applicato e ad esso non sfugge alcuna testata né fatto della vita quotidiana. E’ a suo tempo accaduto con tangentopoli, quando si era percepito che la natura degli eventi aveva sostanzialmente fatto calare l’interesse dei lettori per una vicenda che, quantunque appassionante, non sembrava mai giungere alla fine, ed è accaduto di recente anche per Alitalia, - solo per citare degli esempi macroscopici, - con l’aggravante che questo metodo finisce sovente per ribaltare anche la percezione e per trasformare in antipatici, colpevoli, persecutori, i beniamini iniziali e, viceversa, in eroi gli originari cattivi.
Così di Alitalia e degli oltre diecimila disgraziati che hanno perso il posto non si parla più, se non per rimbrottare quasi con bonomia su qualche comprensibile disservizio legato all’avvio della nuova gestione degli "eroi-patrioti" che hanno acquisito la vecchia Compagnia di bandiera o per stigmatizzare i comportamenti di qualche gruppetto di irriducibili che, con qualche fastidiosa manifestazione di protesta, genera disservizi all’utenza e pretenderebbe di mandare indietro l’orologio della storia.
Che poi oltre seimila dei disgraziati messi anzitempo a riposo e beneficiati da una “ricchissima” indennità di cassa integrazione non percepiscano un centesimo, a causa della mancata comunicazione all'Inps dei nominativi degli aventi diritto e degli importi loro destinati, è fatto del tutto irrilevante e di cui non vale la pena parlare, tanto si tratta di frattaglie di carne da macello, di criminali che negli anni hanno determinato lo stato fallimentare di Alitalia e che, nell’immaginario collettivo, costruito ad arte dalla stampa “obiettiva e indipendente”, non stanno che pagando tardivamente il fio delle loro responsabilità .
Di fronte al dramma di famiglie che non sanno più come campare in assenza di un reddito, al di là delle responsabilità vere o presente dei rimasti senza lavoro, come definire un fatto del genere? Indegno? Vergognoso? Intollerabile? Cominciamo con il dire che un simile "intoppo" - che si ripercuote impietosamente sulla vita delle persone, - è innanzitutto grottesco. E la vicenda, in tutta evidenza, getta un'ombra pesantissima di discredito sul governo, su chi dovrebbe garantire il godimento di elementari tutele, su chi s’è riempito la bocca di promesse al solo scopo di far passare l’operazione CAI come una meritoria impresa di novelli cavalieri della Tavola Rotonda.
Resta poi un fatto incontrovertibile, e qui torniamo alla questione politico-finanziaria: dopo il danno della svendita della compagnia (i cui effetti sono ancora là da venire) per avviarne una nuova di incertissimo futuro, si registra la beffa della mancata erogazione di un diritto. Una beffa che sembra rappresentare la degna conclusione di una trattativa che calzava a pennello per una "cordata patriottica" nata per rimettere in piedi la compagnia con i soldi dei contribuenti, dopo aver addebitato i costi della perdurante malagestione sulle spalle dei lavoratori. Il tutto condito da una sapiente campagna di stampa denigratoria nei confronti di "privilegiati" e "fannulloni".
Nessuno ha mai detto, invece, che la vecchia Alitalia, che al 31 dicembre del 2006 aveva 18.589 dipendenti, 186 aerei e trasportava oltre 24 milioni di passeggeri, aveva un indice di produttività tra i più elevati in Europa. Infatti lavoratori dedicati a ciascun aeromobile erano 99 e servivano 1.295 viaggiatori. Numeri che se comparati all’indice di produttività di altre compagnie, come Air France (76mila dipendenti e 282 aerei, 49 milioni di passeggeri trasportati, pari a 263 dipendenti per aereo e 662 passeggeri serviti), Lufthansa (94.510 dipendenti e 407 aerei, 51 milioni di passeggeri trasportati, pari a 232 persone per aeromobile e 541 passeggeri serviti), - giusto per restare nell’ambito dei pretendenti più accreditati ad una partenship con la nuova Alitalia, - ci si rende conto che le origini dei gravi problemi della ex compagnia di bandiera andavano ricercati in ben altre non meno gravi motivazioni che la produttività del personale o la fannulloneria accampata a pretesto da chi intendeva realizzare ben altri disegni screditando le maestranze Alitalia .
Insomma, la produttività dei lavoratori Alitalia risultava doppia rispetto a quella dei concorrenti più grandi. Sarebbe dunque risultato complicato, riletta la "storia" in questi termini, legare il pesante passivo di bilancio al numero dei dipendenti ed al loro impiego. Il costo del lavoro in Alitalia, infatti, costituiva solamente il 16,7% del bilancio, mentre per Lufthansa rappresenta il 24,5%, Air France il 29,1% e British Airways il 24,7%.
Viene spontaneo chiedersi, di conseguenza: la famosa "cordata patriottica" avrebbe incontrato nel Paese lo stesso consenso se ai cittadini fosse stata raccontata la verità? Domanda oziosa, arrivati a questo punto. I giochi sono stati fatti e lo sciovinismo smisurato di un presidente del consiglio, riuscito a concludere l’operazione di svendita del vettore nazionale con l’aiuto di una stampa servile e addossando ai cittadini i mostruosi oneri per debiti di Alitalia, è stato appagato. I disoccupati forzosi in seguito all’operazione, previsti originariamente con il piano silurato da più parti in 2.800, sono oggi oltre 10.000? Il sussidio di cassa integrazione previsto non arriva o è in ritardo? Ma cosa volete che importi, si tratta di figli di un dio minore che scontano oggi le colpe dei tanti disagi inferti all’utenza in anni ed anni di scioperi, contestazioni e disservizi vari. E se questo non bastasse, la maggior parte di loro è pure il frutto di assunzioni clientelari, consumate dalla politica al di sotto della linea del Po.
A ben guardare le notizie che affollano la stampa nostrana si scopre facilmente come l’informazione non ha mai brillato per obiettività nel nostro Paese. I criteri con i quali la cronaca riporta gli accadimenti rispondono molto spesso ad una sorta di attualità preconfezionata, decisa nelle redazioni dei giornali non in base alla notizia in se stessa quanto sulla scorta di valutazioni che hanno a che vedere con la stima del potenziale gradimento dei lettori, che potrebbero esser stufi di sentir parlare di una certa cosa e vanno piuttosto a caccia di qualche novità che li appassioni. Così i giornali diventano una sorta di vetrina nella quale esibire notizie di tendenza, come si trattasse di negozianti condannati ad esporre capi d’abbigliamento sempre nuovi per attirar l’attenzione dei passanti.
Questo criterio, che costituisce vera e propria manipolazione per non dire di peggio, è sempre stato applicato e ad esso non sfugge alcuna testata né fatto della vita quotidiana. E’ a suo tempo accaduto con tangentopoli, quando si era percepito che la natura degli eventi aveva sostanzialmente fatto calare l’interesse dei lettori per una vicenda che, quantunque appassionante, non sembrava mai giungere alla fine, ed è accaduto di recente anche per Alitalia, - solo per citare degli esempi macroscopici, - con l’aggravante che questo metodo finisce sovente per ribaltare anche la percezione e per trasformare in antipatici, colpevoli, persecutori, i beniamini iniziali e, viceversa, in eroi gli originari cattivi.
Così di Alitalia e degli oltre diecimila disgraziati che hanno perso il posto non si parla più, se non per rimbrottare quasi con bonomia su qualche comprensibile disservizio legato all’avvio della nuova gestione degli "eroi-patrioti" che hanno acquisito la vecchia Compagnia di bandiera o per stigmatizzare i comportamenti di qualche gruppetto di irriducibili che, con qualche fastidiosa manifestazione di protesta, genera disservizi all’utenza e pretenderebbe di mandare indietro l’orologio della storia.
Che poi oltre seimila dei disgraziati messi anzitempo a riposo e beneficiati da una “ricchissima” indennità di cassa integrazione non percepiscano un centesimo, a causa della mancata comunicazione all'Inps dei nominativi degli aventi diritto e degli importi loro destinati, è fatto del tutto irrilevante e di cui non vale la pena parlare, tanto si tratta di frattaglie di carne da macello, di criminali che negli anni hanno determinato lo stato fallimentare di Alitalia e che, nell’immaginario collettivo, costruito ad arte dalla stampa “obiettiva e indipendente”, non stanno che pagando tardivamente il fio delle loro responsabilità .
Di fronte al dramma di famiglie che non sanno più come campare in assenza di un reddito, al di là delle responsabilità vere o presente dei rimasti senza lavoro, come definire un fatto del genere? Indegno? Vergognoso? Intollerabile? Cominciamo con il dire che un simile "intoppo" - che si ripercuote impietosamente sulla vita delle persone, - è innanzitutto grottesco. E la vicenda, in tutta evidenza, getta un'ombra pesantissima di discredito sul governo, su chi dovrebbe garantire il godimento di elementari tutele, su chi s’è riempito la bocca di promesse al solo scopo di far passare l’operazione CAI come una meritoria impresa di novelli cavalieri della Tavola Rotonda.
Resta poi un fatto incontrovertibile, e qui torniamo alla questione politico-finanziaria: dopo il danno della svendita della compagnia (i cui effetti sono ancora là da venire) per avviarne una nuova di incertissimo futuro, si registra la beffa della mancata erogazione di un diritto. Una beffa che sembra rappresentare la degna conclusione di una trattativa che calzava a pennello per una "cordata patriottica" nata per rimettere in piedi la compagnia con i soldi dei contribuenti, dopo aver addebitato i costi della perdurante malagestione sulle spalle dei lavoratori. Il tutto condito da una sapiente campagna di stampa denigratoria nei confronti di "privilegiati" e "fannulloni".
Nessuno ha mai detto, invece, che la vecchia Alitalia, che al 31 dicembre del 2006 aveva 18.589 dipendenti, 186 aerei e trasportava oltre 24 milioni di passeggeri, aveva un indice di produttività tra i più elevati in Europa. Infatti lavoratori dedicati a ciascun aeromobile erano 99 e servivano 1.295 viaggiatori. Numeri che se comparati all’indice di produttività di altre compagnie, come Air France (76mila dipendenti e 282 aerei, 49 milioni di passeggeri trasportati, pari a 263 dipendenti per aereo e 662 passeggeri serviti), Lufthansa (94.510 dipendenti e 407 aerei, 51 milioni di passeggeri trasportati, pari a 232 persone per aeromobile e 541 passeggeri serviti), - giusto per restare nell’ambito dei pretendenti più accreditati ad una partenship con la nuova Alitalia, - ci si rende conto che le origini dei gravi problemi della ex compagnia di bandiera andavano ricercati in ben altre non meno gravi motivazioni che la produttività del personale o la fannulloneria accampata a pretesto da chi intendeva realizzare ben altri disegni screditando le maestranze Alitalia .
Insomma, la produttività dei lavoratori Alitalia risultava doppia rispetto a quella dei concorrenti più grandi. Sarebbe dunque risultato complicato, riletta la "storia" in questi termini, legare il pesante passivo di bilancio al numero dei dipendenti ed al loro impiego. Il costo del lavoro in Alitalia, infatti, costituiva solamente il 16,7% del bilancio, mentre per Lufthansa rappresenta il 24,5%, Air France il 29,1% e British Airways il 24,7%.
Viene spontaneo chiedersi, di conseguenza: la famosa "cordata patriottica" avrebbe incontrato nel Paese lo stesso consenso se ai cittadini fosse stata raccontata la verità? Domanda oziosa, arrivati a questo punto. I giochi sono stati fatti e lo sciovinismo smisurato di un presidente del consiglio, riuscito a concludere l’operazione di svendita del vettore nazionale con l’aiuto di una stampa servile e addossando ai cittadini i mostruosi oneri per debiti di Alitalia, è stato appagato. I disoccupati forzosi in seguito all’operazione, previsti originariamente con il piano silurato da più parti in 2.800, sono oggi oltre 10.000? Il sussidio di cassa integrazione previsto non arriva o è in ritardo? Ma cosa volete che importi, si tratta di figli di un dio minore che scontano oggi le colpe dei tanti disagi inferti all’utenza in anni ed anni di scioperi, contestazioni e disservizi vari. E se questo non bastasse, la maggior parte di loro è pure il frutto di assunzioni clientelari, consumate dalla politica al di sotto della linea del Po.
Oggi è più di moda e più attuale parlare di Malpensa, nicchia di voti della Lega alleata del Cavaliere Berlusconi, alla quale occorrerà dare presto o tardi risposte soddisfacenti se non si vorrà arrivare al punto di rottura. Ognuno ha le sue clientele da difendere e tutelare. Fa parte della storia del Paese degli eroi, dei patrioti, di furbetti del quartierino e dei tanti miserabili, non solo dal lato economico, ma soprattutto dal lato intellettuale.
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