martedì, febbraio 03, 2009

Lega e questione immigrazione

Martedì, 3 febbraio 2009
«Nessun buonismo né forme di remissione, con i clandestini occorre cattiveria» ha tuonato il ministro leghista Maroni, al quale in tutta evidenza sfugge il senso delle sue stesse dichiarazioni nel clima di odio che ormai serpeggia nel Paese nei confronti degli immigrati.
Né serve precisare che il pugno duro deve essere usato contro quei clandestini che giorno dopo giorno raggiungono le nostre frontiere e si introducono in Italia in cerca di quel miraggio di condizioni di vita migliore rispetto ai Paesi d’origine. Dopo i recenti fatti criminali di Guidonia e di Vittoria, - ma vivo è il ricordo dei tanti fatti di sangue e di violenza accaduti negli ultimi mesi, - parole come quelle del Ministro degli Interni non servono a creare lo spartiacque tra buoni e cattivi, tra colpevoli e innocenti, ma servono solo a stringere il laccio con il quale si tiene la fascina dell’immigrazione nel suo complesso, simbolo ormai di disordini, di perenne insicurezza per i cittadini, di violenze potenziali che minano i rapporti sociali e la vita di ogni giorno nelle grandi città come nei piccoli centri.
Che per la Lega la questione immigrazione rappresenti da sempre un problema sul quale puntare il dito e coltivare buona parte del consenso elettorale è cosa nota. D’altra parte il Nord d’Italia, quell’Italia creduta evoluta, opulenta e dal volto falsamente cosmopolita ha sempre malcelato una vena di radicato razzismo che ha concimato il radicamento di Bossi e della sua armata di rozzi xenofobi. Negli anni del dopoguerra il razzismo aveva colpito la migrazione meridionale verso i ricchi centri industriali di Piemonte e Lombardia. Oggi come allora quest’insofferenza, quest’odio sordo e anacronistico si è trasferito sui nuovi simboli di una povertà in cerca di riscatto, l’immigrazione dal Terzo Mondo e dalle aree povere d’Europa, sebbene come era stato per Calabresi, Siciliani, Pugliesi e Sardi, questo flusso rappresenti un fattore di forte stabilizzazione per l’economia dell’intero Settentrione.
Il tasso di scolarizzazione crescente del nostro Paese ha fortemente elevato le aspettative di attività lavorative impiegatizie e ad alta componente intellettuale, rendendo praticamente introvabile manodopera in grado di eseguire mestieri prevalentemente manuali. Naturalmente, nel normale gioco di domanda e offerta i lavori manuali hanno accresciuto il loro valore e l’immigrazione ha rappresentato il nuovo esercito industriale di riserva sul quale si sono sostenute le attività delle piccole e medie imprese, vero e proprio volano dell’economia nazionale.
Se da un lato, dunque, l’immigrazione è servita a colmare le falle di un mercato del lavoro in rapida “terziarizzazione” dell’offerta, da un altro versante è stata funzionale al mantenimento di salari contenuti, che hanno giocato sul profittamento dello stato di bisogno di braccia scarsamente qualificate, spesso accompagnati dal mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza sul lavoro, orari massacranti, condizioni assuntive di fatto prive di ogni forma legale di tutela.
Per riscontrare questa radicata realtà è sufficiente recarsi in un qualsiasi cantiere edile della Penisola e constatare quale sia la presenza di stranieri dell’Est europeo o del Nord Africa impiegati in lavori di bassa manovalanza; fare un giro nei tanti locali di grido per giovani nottambuli per prendere atto di quanto sia diffuso l’impiego di personale extracomunitario nel lavoro di servizio, o nelle tante imprese di trasporto o che eseguono lavori di carico e scarico.
Questa situazione, perfettamente nota anche e soprattutto a Bossi, Maroni, Calderoli, Borghezio ed alla falange di predicatori razzisti che pascolano nel Carroccio, dato che la Lombardia è tra le regioni che attrae una delle più grosse fette d’immigrazione, è del tutto evidente che debba presentare un rovescio di medaglia, che comunque non giustifica in alcun modo l’accanimento con il quale si infierisce con comportamenti verbali e di fatto ai confini dell’inciviltà. E’ tristemente noto e, per certi versi, normale che alle schiere dei poveri ma onesti, degli umili ma di buona volontà, si associno frange di poco di buono o di gente che con la legge ha da tempo chiuso ogni rapporto. Ma queste presenze non possono giustificare il prese di posizione populiste al limite dell’istigazione all’odio razziale. Se il nostro Paese non può essere certamente considerato a guisa di un porto di mare, non è per questo lecito fomentare la caccia ad ogni marinaio additandolo quale potenziale stupratore o spacciatore o delinquente. Metodi di questa natura costituiscono solo squallidi moventi per costringere, per bieco interesse di chi fa tale propaganda per sé o per conto di meschini interessi, nel ghetto gente che comunque è in grado di dare un contributo fattivo all’economia del Paese e, per queste ragioni, ha diritto non solo al rispetto umano ma anche ad un’accoglienza che ne faciliti l’integrazione, nel rispetto dell’identità.
L’incapacità di comprendere il valore aggiunto che può determinarsi dal processo d’immigrazione, - certamente più controllato e regolamentato, ma scevro da pregiudizi razziali, - è un indicatore gravissimo di una barbarie culturale e morale indegna di un paese evoluto, che nel caso italiano fa persino torto alla nostra storia ed alla memoria dei tanti episodi di discriminazione e sofferenza cui furono sottoposti i nostri avi quando, loro emigranti, andarono in cerca di fortuna per il mondo come oggi fanno Indiani, Cingalesi, Rumeni e Marocchini.Chi è incapace di cogliere questi aspetti non insorga poi se nella tanto sedicente civile Inghilterra un gruppo di operai italiani, andato là per lavorare, è costretto a vivere segregato per sottrarsi alla furia delle maestranze locali, che vedono in loro ciò che noi ci ostiniamo a vedere in un pullman di Polacchi.

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