Considerazioni annuali della Banca d’Italia: il governo che non c’è
Venerdì, 29 maggio 2009
Fine maggio e solito appuntamento con le Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia sullo stato dell’economia del paese e sulle prospettive per i prossimi dodici mesi. Considerazioni particolarmente attese in ordine alle linee di tendenza di un’economia attanagliata da una crisi mondiale di proporzioni storiche e che vedrà il PIL italiano flettersi nel corso del 2009 di oltre il 5%. Ma allo stesso tempo analisi di una crisi che, nel caso nazionale, ha semplicemente aggravato un quadro già compromesso dalla debolezza di fattori interni, condizionati dalle scelte di politica economica, industriale e sociale perseguite dai governi Prodi prima e Berlusconi in seguito.
Una relazione che suona come una forte critica alle misure assunte, - sebbene sarebbe meglio dire non assunte, - in difesa del nostro sistema produttivo e delle politiche di sostanziale latitanza in difesa dell’occupazione e del rilancio dei consumi. «La fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile», ha detto Draghi, riassumendo così il sentimento di forte delusione di un paese verso una politica fatta di dichiarazioni più che di contenuti, di inviti all’ottimismo più che di misure d’accompagnamento concrete, tali da generare il circolo virtuoso necessario per imboccare il cammino di una ripresa effettiva. E nel fare queste considerazioni il presidente di BankItalia non si è limitato a lanciare proclami, ma ha concretamente indicato quali siano state le aree deficitarie della politica del governo e quali dovrebbero essere le iniziative da assumere a sostegno di un rilancio del sistema Italia: «Il completamento degli ammortizzatori sociali, la ripresa degli investimenti pubblici, le azioni di sostegno della domanda e del credito che sono state oggi delineate avranno gli effetti sperati se coniugati con riforme strutturali: non solo per dire ai mercati che il disavanzo è sotto controllo, ma perché queste riforme costituiscono la piattaforma della crescita futuro».
Un particolare richiamo è andato alla banche, che nella crisi in atto e benché abbiano dimostrato di non soffrire delle analoghe esposizioni degli istituti esteri, non hanno fornito il necessario flusso di credito alle imprese. E' vero che «non si può chiedere alle banche di allentare la prudenza nell'erogare il credito; non è nell'interesse della nostra economia un sistema bancario che metta a rischio l'integrità dei bilanci e la fiducia di coloro che gli affidano i propri risparmi». Ma si può invece chiedere loro di essere "lungimiranti": «Valutino il merito di credito dei loro clienti;» - suggerisce il governatore della Banca d'Italia - «prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta». Insomma, secondo Draghi, «occorre saper fare i banchieri anche quando le cose vanno male».
Per quanto riguarda le imprese, il giudizio non è positivo, particolarmente sul fronte della tutela della professionalità, sacrificata sull’altare della riduzione dei costi. «Occorre», - sostiene Draghi, - «continuare l'opera di razionalizzazione iniziata da anni», ma anche proteggere «le professionalità accumulate dai lavoratori, che torneranno preziose in un futuro speriamo non lontano. La crisi non durerà infatti in eterno», mentre le imprese hanno falcidiato generazioni di professionisti, ritenendo il costo del lavoro, - decisamente più elevato a carico delle professionalità più consolidate, - una sorta di facile scorciatoia per far quadrare i conti.
Le manovre sul costo del lavoro e la stretta occupazionale sono state inoltre una sorta di cane che si è morso la coda. «I lavoratori in Cassa Integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già oggi intorno all'8,5 per cento della forza lavoro, una quota che potrebbe salire oltre il 10» se l’emorragia non si arrestasse e senza che il governo assuma le iniziative, - ancora oggi, - più promesse che attuate, in difesa dell’occupazione. Quest’andamento «farebbe proseguire nella decurtazione del reddito disponibile delle famiglie e dei loro consumi, nonostante la forte riduzione dell'inflazione,» generando una stagnazione di lungo periodo ed un impoverimento della nazione.
Analoghi provvedimenti di sostegno si rendono necessari per riformare in maniera strutturale gli aiuti a chi, occupato in modo precario, perde il lavoro o a coloro che sono in cerca di prima occupazione. «Si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento», ha ammonito Draghi. Urge allora un «buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro». Un sistema che parta dagli strumenti attuali, per migliorarli: «La crisi ha reso più evidenti le manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale, che rimane frammentato». Urge allora una «riforma organica e rigorosa,» che non deve «rivoluzionare il sistema attuale, ma che si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della cassa integrazione e dell'indennità di disoccupazione ordinaria, opportunamente adeguati e calibrati».
Da qui un’esortazione all’attuale governo di «elevare la qualità e quantità del capitale umano e delle infrastrutture fisiche». Il primo riferimento è a scuola e università; il secondo alle «infrastrutture materiali, fattore cruciale per la competitività». Da avviare con criteri di efficienza, diversi dalle dispersioni del passato: in Italia, ricorda Draghi, «un chilometro di autostrada può costare più del doppio che in Francia o in Spagna».
Ultimo riferimento all’età pensionabile, considerata dal Governatore ancora troppo bassa nel nostro paese. «Un più alto tasso di attività nella fascia da 55 a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile delle famiglie sia il potenziale produttivo dell'economia», rammenta Draghi, pur se omette di sollecitare quei provvedimenti di blocco dell’espulsione sconsiderata di quelle risorse dal sistema produttivo alle quali ricorrono con sistematicità le imprese, come in un micidiale processo di pulizia etnica, e di facilitazione del reimpiego di coloro che perdono il lavoro a causa dell’età e che vanno ad ingrossare il fardello dei disperati di un sistema sociale appestato dalla disoccupazione e dal precariato perpetuo.
La relazione annuale di Draghi si conclude con un appello alla fiducia, che va ricostruita in fretta e con atti concreti e credibili. «Occorre sanare la ferita che la crisi ha aperto nella fiducia collettiva: fiducia nei mercati, nei loro protagonisti, nel futuro di milioni di persone, nel contratto sociale che ci lega. Uscire dalla crisi significa ricostruire questa fiducia. Non con artifici, ma con la paziente, faticosa comprensione dell'accaduto e dei possibili scenari futuri con l'azione conseguente», azione che, - vale aggiungere, - non può limitarsi a ridicoli maquillage o proclami d’ottimismo non seguiti da fatti tangibili, da provvedimenti correttivi strutturali che facciano uscire il paese dall’inganno di un miraggio di benessere diffuso, ma che, nei fatti, è appannaggio solo di pochi privilegiati.
Fine maggio e solito appuntamento con le Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia sullo stato dell’economia del paese e sulle prospettive per i prossimi dodici mesi. Considerazioni particolarmente attese in ordine alle linee di tendenza di un’economia attanagliata da una crisi mondiale di proporzioni storiche e che vedrà il PIL italiano flettersi nel corso del 2009 di oltre il 5%. Ma allo stesso tempo analisi di una crisi che, nel caso nazionale, ha semplicemente aggravato un quadro già compromesso dalla debolezza di fattori interni, condizionati dalle scelte di politica economica, industriale e sociale perseguite dai governi Prodi prima e Berlusconi in seguito.
Una relazione che suona come una forte critica alle misure assunte, - sebbene sarebbe meglio dire non assunte, - in difesa del nostro sistema produttivo e delle politiche di sostanziale latitanza in difesa dell’occupazione e del rilancio dei consumi. «La fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile», ha detto Draghi, riassumendo così il sentimento di forte delusione di un paese verso una politica fatta di dichiarazioni più che di contenuti, di inviti all’ottimismo più che di misure d’accompagnamento concrete, tali da generare il circolo virtuoso necessario per imboccare il cammino di una ripresa effettiva. E nel fare queste considerazioni il presidente di BankItalia non si è limitato a lanciare proclami, ma ha concretamente indicato quali siano state le aree deficitarie della politica del governo e quali dovrebbero essere le iniziative da assumere a sostegno di un rilancio del sistema Italia: «Il completamento degli ammortizzatori sociali, la ripresa degli investimenti pubblici, le azioni di sostegno della domanda e del credito che sono state oggi delineate avranno gli effetti sperati se coniugati con riforme strutturali: non solo per dire ai mercati che il disavanzo è sotto controllo, ma perché queste riforme costituiscono la piattaforma della crescita futuro».
Un particolare richiamo è andato alla banche, che nella crisi in atto e benché abbiano dimostrato di non soffrire delle analoghe esposizioni degli istituti esteri, non hanno fornito il necessario flusso di credito alle imprese. E' vero che «non si può chiedere alle banche di allentare la prudenza nell'erogare il credito; non è nell'interesse della nostra economia un sistema bancario che metta a rischio l'integrità dei bilanci e la fiducia di coloro che gli affidano i propri risparmi». Ma si può invece chiedere loro di essere "lungimiranti": «Valutino il merito di credito dei loro clienti;» - suggerisce il governatore della Banca d'Italia - «prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta». Insomma, secondo Draghi, «occorre saper fare i banchieri anche quando le cose vanno male».
Per quanto riguarda le imprese, il giudizio non è positivo, particolarmente sul fronte della tutela della professionalità, sacrificata sull’altare della riduzione dei costi. «Occorre», - sostiene Draghi, - «continuare l'opera di razionalizzazione iniziata da anni», ma anche proteggere «le professionalità accumulate dai lavoratori, che torneranno preziose in un futuro speriamo non lontano. La crisi non durerà infatti in eterno», mentre le imprese hanno falcidiato generazioni di professionisti, ritenendo il costo del lavoro, - decisamente più elevato a carico delle professionalità più consolidate, - una sorta di facile scorciatoia per far quadrare i conti.
Le manovre sul costo del lavoro e la stretta occupazionale sono state inoltre una sorta di cane che si è morso la coda. «I lavoratori in Cassa Integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già oggi intorno all'8,5 per cento della forza lavoro, una quota che potrebbe salire oltre il 10» se l’emorragia non si arrestasse e senza che il governo assuma le iniziative, - ancora oggi, - più promesse che attuate, in difesa dell’occupazione. Quest’andamento «farebbe proseguire nella decurtazione del reddito disponibile delle famiglie e dei loro consumi, nonostante la forte riduzione dell'inflazione,» generando una stagnazione di lungo periodo ed un impoverimento della nazione.
Analoghi provvedimenti di sostegno si rendono necessari per riformare in maniera strutturale gli aiuti a chi, occupato in modo precario, perde il lavoro o a coloro che sono in cerca di prima occupazione. «Si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento», ha ammonito Draghi. Urge allora un «buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro». Un sistema che parta dagli strumenti attuali, per migliorarli: «La crisi ha reso più evidenti le manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale, che rimane frammentato». Urge allora una «riforma organica e rigorosa,» che non deve «rivoluzionare il sistema attuale, ma che si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della cassa integrazione e dell'indennità di disoccupazione ordinaria, opportunamente adeguati e calibrati».
Da qui un’esortazione all’attuale governo di «elevare la qualità e quantità del capitale umano e delle infrastrutture fisiche». Il primo riferimento è a scuola e università; il secondo alle «infrastrutture materiali, fattore cruciale per la competitività». Da avviare con criteri di efficienza, diversi dalle dispersioni del passato: in Italia, ricorda Draghi, «un chilometro di autostrada può costare più del doppio che in Francia o in Spagna».
Ultimo riferimento all’età pensionabile, considerata dal Governatore ancora troppo bassa nel nostro paese. «Un più alto tasso di attività nella fascia da 55 a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile delle famiglie sia il potenziale produttivo dell'economia», rammenta Draghi, pur se omette di sollecitare quei provvedimenti di blocco dell’espulsione sconsiderata di quelle risorse dal sistema produttivo alle quali ricorrono con sistematicità le imprese, come in un micidiale processo di pulizia etnica, e di facilitazione del reimpiego di coloro che perdono il lavoro a causa dell’età e che vanno ad ingrossare il fardello dei disperati di un sistema sociale appestato dalla disoccupazione e dal precariato perpetuo.
La relazione annuale di Draghi si conclude con un appello alla fiducia, che va ricostruita in fretta e con atti concreti e credibili. «Occorre sanare la ferita che la crisi ha aperto nella fiducia collettiva: fiducia nei mercati, nei loro protagonisti, nel futuro di milioni di persone, nel contratto sociale che ci lega. Uscire dalla crisi significa ricostruire questa fiducia. Non con artifici, ma con la paziente, faticosa comprensione dell'accaduto e dei possibili scenari futuri con l'azione conseguente», azione che, - vale aggiungere, - non può limitarsi a ridicoli maquillage o proclami d’ottimismo non seguiti da fatti tangibili, da provvedimenti correttivi strutturali che facciano uscire il paese dall’inganno di un miraggio di benessere diffuso, ma che, nei fatti, è appannaggio solo di pochi privilegiati.
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