Immigrazione – Pugno duro del regime
Sabato, 9 maggio 2009
L’8 maggio 2009 resterà nella memoria degli Italiani come il giorno in cui si è consumato uno degli atti più vili della nostra storia repubblicana. Un atto di vergognoso razzismo come non se ne vedevano dal triste ventennio, che ha riportato indietro l’orologio del progresso e della civile convivenza.
Un carico umano di disperati provenienti dalla Libia e diretti nel nostro Paese, alla ricerca di un rifugio dagli orrori dei campi profughi disseminati nel deserto e che accolgono quanti cercano scampo dalle violenze delle persecuzioni razziali e delle faide tribali in corso nell’Africa sub-sahariana, è stato rispedito sulle spiagge dalle quali si era imbarcato e riconsegnato ai suoi feroci custodi libici.
Fortunatamente non c’era questa volta uno squallido carro bestiame ad alloggiarli durante il viaggio verso l’inferno che si illudevano di aver lasciato per sempre, ma una moderna unità della nostra Marina Militare, che certamente non ha conferito dignità maggiore ad un’operazione che ha rievocato la triste deportazione alla quale furono sottoposti ebrei e dissidenti durante la dittatura fascista.
Ovviamente l’operazione non è avvenuta in assenza di vivaci polemiche da parte non solo dell’opposizione a questo Governo, che sempre più mette a nudo la nostalgia per un becero ed anacronistico autoritarismo e si qualifica come regime intollerante verso i più elementari doveri di accoglienza e carità umana, ma persino l’ONU e la Santa Sede ha elevato una vibrata protesta per un comportamento del nostro Esecutivo, che ha manifestato il profondo disprezzo per il diritto internazionale e gli universali principi di solidarietà.
Il presidente Fini, - al quale va riconosciuta una tardiva, ma non per questo negativa, conversione ai valori della democrazia e della legalità, - non ha potuto esimersi dal condannare l’improvvida iniziativa del ministro Maroni, definendola lesiva dei principi costituzionali ed avulsa da qualsiasi rispondenza alle regole del diritto internazionale sui doveri d’asilo politico garantiti a chiunque sia qualificabile come profugo da Paesi nei quali vigono sistemi che non garantiscono l’esercizio delle libertà democratiche o che mortifichino il rispetto della persona e del diritto.
A queste dichiarazioni ha fatto eco l’ONU, che non ha esitato a censurare il comportamento delle autorità italiane, dato che le norme internazionali prevedono che i migranti debbano essere considerati “rifugiati presunti”, ed il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, monsignor Agostino Marchetto, che ha bollato la decisione di Maroni, avallata dal Governo, come disumana «perché dare aiuto a chi si trova in condizioni gravi è una priorità e, l’Italia con la sua decisione, ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati». Monsignor Marchetto ha poi concluso affermando che la legislazione italiana in materia migratoria è macchiata da un «peccato originale», rappresentato dalla volontà di «criminalizzare gli emigranti irregolari», una realtà di fronte alla quale «i cittadini sono posti e devono giudicare».
Nonostante la vasta condanna, la Lega, il movimento nazi-nordista cui appartiene Maroni, non ha nascosto la propria soddisfazione, considerando l’episodio di rimpatrio forzoso un precedente rilevante nella cieca guerra razziale che ha da tempo ingaggiato contro ogni forma di immigrazione nel territorio della Repubblica.
A queste soddisfatte valutazioni non è mancato l’appoggio di Cicchitto, portavoce del Pdl, che ha dichiarato che l’atto decisionista dell’Esecutivo dovrebbe mettere a tacere «le opposizioni», che non perdono occasione per schierarsi dalla parte di chi viola le leggi dello stato, - che nella sua formulazione non consente di distinguere se debbano intendersi incluse le posizioni espresse dall’ONU e dalla Chiesa.
Qualunque possa essere, comunque, la valutazione di un atto senza precedenti, ci parrebbe che il governo Berlusconi abbia ormai imboccato la via dell’escalation nell’isolarsi dal contesto europeo ed internazionale, con l’attuazione di procedure di regime che nulla hanno a che vedere con le regole del diritto ed i principi fondamentali della solidarietà.
La violenta campagna xenofoba scatenata dalla Lega Nord già da parecchi anni e per lungo tempo rimasta una minaccia propagandistica più che una vera linea di tendenza della sua prassi politica, acquista giorno dopo giorno una fisionomia precisa, permeata da intolleranza e richiamo alla persecuzione anche immotivata ancorché violenta degli stranieri presenti nel nostro territorio, che riscuote sempre più consensi tra gli alleati di governo. Certo, in qualche caso questo consenso ha lavorato su un terreno abbastanza dissodato, trovando la disponibilità delle frange più ideologizzate di quell’AN, che affonda le sue radici nelle nostalgie del ventennio, e nelle debolezze del composito popolo del PdL, costantemente sotto il ricatto di una possibile crisi di coalizione che rispedirebbe il parlamento davanti agli elettori.
L’8 maggio 2009 resterà nella memoria degli Italiani come il giorno in cui si è consumato uno degli atti più vili della nostra storia repubblicana. Un atto di vergognoso razzismo come non se ne vedevano dal triste ventennio, che ha riportato indietro l’orologio del progresso e della civile convivenza.
Un carico umano di disperati provenienti dalla Libia e diretti nel nostro Paese, alla ricerca di un rifugio dagli orrori dei campi profughi disseminati nel deserto e che accolgono quanti cercano scampo dalle violenze delle persecuzioni razziali e delle faide tribali in corso nell’Africa sub-sahariana, è stato rispedito sulle spiagge dalle quali si era imbarcato e riconsegnato ai suoi feroci custodi libici.
Fortunatamente non c’era questa volta uno squallido carro bestiame ad alloggiarli durante il viaggio verso l’inferno che si illudevano di aver lasciato per sempre, ma una moderna unità della nostra Marina Militare, che certamente non ha conferito dignità maggiore ad un’operazione che ha rievocato la triste deportazione alla quale furono sottoposti ebrei e dissidenti durante la dittatura fascista.
Ovviamente l’operazione non è avvenuta in assenza di vivaci polemiche da parte non solo dell’opposizione a questo Governo, che sempre più mette a nudo la nostalgia per un becero ed anacronistico autoritarismo e si qualifica come regime intollerante verso i più elementari doveri di accoglienza e carità umana, ma persino l’ONU e la Santa Sede ha elevato una vibrata protesta per un comportamento del nostro Esecutivo, che ha manifestato il profondo disprezzo per il diritto internazionale e gli universali principi di solidarietà.
Il presidente Fini, - al quale va riconosciuta una tardiva, ma non per questo negativa, conversione ai valori della democrazia e della legalità, - non ha potuto esimersi dal condannare l’improvvida iniziativa del ministro Maroni, definendola lesiva dei principi costituzionali ed avulsa da qualsiasi rispondenza alle regole del diritto internazionale sui doveri d’asilo politico garantiti a chiunque sia qualificabile come profugo da Paesi nei quali vigono sistemi che non garantiscono l’esercizio delle libertà democratiche o che mortifichino il rispetto della persona e del diritto.
A queste dichiarazioni ha fatto eco l’ONU, che non ha esitato a censurare il comportamento delle autorità italiane, dato che le norme internazionali prevedono che i migranti debbano essere considerati “rifugiati presunti”, ed il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, monsignor Agostino Marchetto, che ha bollato la decisione di Maroni, avallata dal Governo, come disumana «perché dare aiuto a chi si trova in condizioni gravi è una priorità e, l’Italia con la sua decisione, ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati». Monsignor Marchetto ha poi concluso affermando che la legislazione italiana in materia migratoria è macchiata da un «peccato originale», rappresentato dalla volontà di «criminalizzare gli emigranti irregolari», una realtà di fronte alla quale «i cittadini sono posti e devono giudicare».
Nonostante la vasta condanna, la Lega, il movimento nazi-nordista cui appartiene Maroni, non ha nascosto la propria soddisfazione, considerando l’episodio di rimpatrio forzoso un precedente rilevante nella cieca guerra razziale che ha da tempo ingaggiato contro ogni forma di immigrazione nel territorio della Repubblica.
A queste soddisfatte valutazioni non è mancato l’appoggio di Cicchitto, portavoce del Pdl, che ha dichiarato che l’atto decisionista dell’Esecutivo dovrebbe mettere a tacere «le opposizioni», che non perdono occasione per schierarsi dalla parte di chi viola le leggi dello stato, - che nella sua formulazione non consente di distinguere se debbano intendersi incluse le posizioni espresse dall’ONU e dalla Chiesa.
Qualunque possa essere, comunque, la valutazione di un atto senza precedenti, ci parrebbe che il governo Berlusconi abbia ormai imboccato la via dell’escalation nell’isolarsi dal contesto europeo ed internazionale, con l’attuazione di procedure di regime che nulla hanno a che vedere con le regole del diritto ed i principi fondamentali della solidarietà.
La violenta campagna xenofoba scatenata dalla Lega Nord già da parecchi anni e per lungo tempo rimasta una minaccia propagandistica più che una vera linea di tendenza della sua prassi politica, acquista giorno dopo giorno una fisionomia precisa, permeata da intolleranza e richiamo alla persecuzione anche immotivata ancorché violenta degli stranieri presenti nel nostro territorio, che riscuote sempre più consensi tra gli alleati di governo. Certo, in qualche caso questo consenso ha lavorato su un terreno abbastanza dissodato, trovando la disponibilità delle frange più ideologizzate di quell’AN, che affonda le sue radici nelle nostalgie del ventennio, e nelle debolezze del composito popolo del PdL, costantemente sotto il ricatto di una possibile crisi di coalizione che rispedirebbe il parlamento davanti agli elettori.
In tutto questo si tratteggia la figura di un Paese sempre più in bilico tra l’abulia verso una politica nella quale non trova più elementi di identità e continuità ed un distorto sentimento di rivalsa nei confronti di un’immigrazione gestita sino ad oggi con strumenti deficitari, ma che, grazie alla propaganda reazionaria, diviene un elemento privilegiato per scaricare le mille frustrazioni della grigia vita quotidiana cui il regime condanna l’esistenza.
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