La repubblica del viagra e del valium
Sabato, 2 maggio 2009
Se una qualità indiscutibile possiede il Cavalier Berlusconi è quella di riuscire a sconcertare costantemente coloro che ne seguono le gesta.
Uomo del paradosso e, contemporaneamente, del lucido cinismo; imbonitore professionale, bugiardo accattivante, alfiere del linguaggio dell’antipolitica, aggressivo con gli avversari sino a rasentare l’arroganza più odiosa, ma capace di vendersi come vittima di persecuzioni apocalittiche di immaginari carnefici; piazzista provetto di illusioni, ma capace di suscitare nell’immaginario collettivo la sensazione di essere vicino ai problemi veri della gente. Come un novello Peron, intriso del populismo più esasperato, ecco il presidente operaio, aviatore, pompiere, manager, padre di famiglia e, nelle ultime ore, inguaribile tomber de femmes e improbabile macho, a dispetto dell’età avanzata.
Vien quasi da credere che quando negli ultimi giorni ha parlato di Resistenza, intervenendo tardivamente alle celebrazioni del 25 aprile, in realtà, non si riferisse alle tante eroiche vittime della resistenza partigiana, che hanno sacrificato la propria vita per la democrazia e la liberazione del Paese dal giogo nazi-fascista, ma alludesse alla magnificazione di certe sue insospettabili capacità.
D’altra parte se il personaggio avesse effettivamente avuto a cuore il senso della liberazione dell’Italia dall’oppressione della dittatura, non avrebbe certamente atteso oltre quattordici anni per partecipare ad un appuntamento con il quale anno dopo anno si intende mantenere viva la memoria sui misfatti di un ventennio autoritario e liberticida.
Invece il reprobo, negli improbabili panni del pentito, si rammenta dell’importanza della Resistenza solo in concomitanza con la tornata elettorale del prossimo mese di giugno e mentre tenta di infarcire le liste elettorali del partito di cui è padre-padrone di cortigiane, veline e prosperose ragazze-copertina, - “ciarpame” di infimo ordine, come ha definito la squallida accozzaglia la signora Veronica Lario, stanca probabilmente di quest’altrettanto squallido spettacolo di gallismo postsenile cui sembra abbandonarsi sistematicamente il marito Silvio.
Certo, anche l’occhio vuole la sua parte, recita un vecchio adagio. Ma la politica, la responsabilità di guidare un paese, riteniamo vada ben oltre le vacue apparenze e richiede piuttosto in chi lo rappresenta uno spessore di contenuti e competenze non surrogabili con il pizzo di uno slip o la procace curva di un gluteo ben scolpito. E nonostante com’era prevedibile il nostro valente Presidente del consiglio non abbia risparmiato le sue invettive da vecchio trombone contro la solita sinistra in malafede, capace di abbindolare persino la consorte Veronica, per smentire che nelle liste del PdL si stesse seriamente pensando di inserire un manipolo di ragazze-copertina, ha tenuto a precisare che letterine e veline comunque affolleranno i palchi dai quali arringherà i suoi elettori, che spera di motivare oltre che con le panzane anche stimolando in loro qualche recondito prudore inconfessabile.
E poi, di cosa ci si dovrebbe stupire? Non è forse l’Italia il paese dei latin lover, degli infaticabili amatori? E cosa c’è di meglio di un Presidente del consiglio, di un premier che incarna lo stereotipo che sempre abbiamo esportato nel mondo insieme con le scarpe, la moda, la pizza e nutella? Ecco allora con un nuovo colpo di teatro che il Cavalier Banana assume l’ennesima veste, quella del Presidente Macho, dell’infaticabile amatore che alla faccia dei suoi settant’anni suonati ama ancore tre ore per notte, dorme per altrettanto tempo e zompa come uno stambecco da una zona terremotata all’inaugurazione di un termovalorizzatore, da una piena del Po ad un G8 con la stessa energia di un bersagliere.
E’ l’immagine che paga, è l’immaginario che bisogna titillare, non valgono i contenuti né le cose che concretamente si fanno, ma l’accredito che ci si costruisce giorno dopo giorno con il bombardamento della propaganda, con uno status di testimonial costruitosi con il denaro e con l’impunità. E se ciò dovesse imporre magari il ricorso a qualche energizzante, una pastiglietta blu di tanto in tanto, non ci sarebbe niente di male. E cosa c’è di più appagante per chi del proprio ego ha fatto un simulacro di potersi fregiare da oggi in poi anche del titolo di Cavalier Viagra?
La verità vera è che il Cavaliere ha una strategia precisa, che sa per esperienza essere pagante, e che ha già abbondantemente rodato nei media che possiede: trasformare anche la politica in avanspettacolo, in una sorta di Grande Fratello continuativo nel quale i partecipanti mettono a nudo le loro pulsioni, si amano, si odiano si insultano, amoreggiano, con naturalezza e trasparenza, senza ritegno alcuno, al di fuori di ogni schema di bon ton e di regole del galateo.
Questo disimpegno, in realtà, non è però veicolo per creare i presupposti di una politica più vicina al senso comune della gente, poiché non punta su meccanismi di trasmissioni di valori in modo più immediato e con un linguaggio privo degli orpelli sovrastrutturali cui si è sempre rivolta ai cittadini molto spesso solo per mascherare ad arte le proprie manchevolezze, ma si rivela un subdolo strumento di distrazione dell’attenzione delle masse dai problemi veri della loro esistenza. E’ una sorta di anestetico con il quale si sopisce la coscienza; si dispensa valium a base di stupidaggini, pettegolezzi, prurigini e amenità con il quale si ottiene il duplice effetto di consolidare il legame con gli strati sociali ai margini della cultura e della capacità di autocoscienza e di aumentare il distacco dalla politica degli strati sociali sempre più delusi da una politica sostanzialmente incapace di rispondere alle vere esigenze di giustizia, equità, trasparenza delle opportunità, progresso e correttezza nell’amministrazione dell’interesse pubblico.
Ancorché il fenomeno sarebbe meritevole di approfondimento sociologico oltre che neuropsichiatrico, non v’è dubbio che il trasferimento dell’etica della spazzatura dal’'esercizio dei media alla prassi politica stia trasformando il Paese in una sorta di macelleria sociale nella quale tutto passa per un tritacarne, che annienta i valori ed i fondamenti della convivenza civile e democratica. E questo dovrebbe far riflettere quanti hanno a cuore le sorti delle nuove generazioni, alle quali così continuando non resterà che una misera eredità di vuota apparenza e di fetida cultura dell’ostentazione, nella quale si consumerà la disgregazione di ogni legame sociale e trionferà il nuovo autoritarismo di cui è portatore Berlusconi e la sua gente. E nulla in quest’Italietta di inizio millennio niente sembra più vero di quella profezia secondo la quale è il sonno delle coscienze che genera mostri.
Se una qualità indiscutibile possiede il Cavalier Berlusconi è quella di riuscire a sconcertare costantemente coloro che ne seguono le gesta.
Uomo del paradosso e, contemporaneamente, del lucido cinismo; imbonitore professionale, bugiardo accattivante, alfiere del linguaggio dell’antipolitica, aggressivo con gli avversari sino a rasentare l’arroganza più odiosa, ma capace di vendersi come vittima di persecuzioni apocalittiche di immaginari carnefici; piazzista provetto di illusioni, ma capace di suscitare nell’immaginario collettivo la sensazione di essere vicino ai problemi veri della gente. Come un novello Peron, intriso del populismo più esasperato, ecco il presidente operaio, aviatore, pompiere, manager, padre di famiglia e, nelle ultime ore, inguaribile tomber de femmes e improbabile macho, a dispetto dell’età avanzata.
Vien quasi da credere che quando negli ultimi giorni ha parlato di Resistenza, intervenendo tardivamente alle celebrazioni del 25 aprile, in realtà, non si riferisse alle tante eroiche vittime della resistenza partigiana, che hanno sacrificato la propria vita per la democrazia e la liberazione del Paese dal giogo nazi-fascista, ma alludesse alla magnificazione di certe sue insospettabili capacità.
D’altra parte se il personaggio avesse effettivamente avuto a cuore il senso della liberazione dell’Italia dall’oppressione della dittatura, non avrebbe certamente atteso oltre quattordici anni per partecipare ad un appuntamento con il quale anno dopo anno si intende mantenere viva la memoria sui misfatti di un ventennio autoritario e liberticida.
Invece il reprobo, negli improbabili panni del pentito, si rammenta dell’importanza della Resistenza solo in concomitanza con la tornata elettorale del prossimo mese di giugno e mentre tenta di infarcire le liste elettorali del partito di cui è padre-padrone di cortigiane, veline e prosperose ragazze-copertina, - “ciarpame” di infimo ordine, come ha definito la squallida accozzaglia la signora Veronica Lario, stanca probabilmente di quest’altrettanto squallido spettacolo di gallismo postsenile cui sembra abbandonarsi sistematicamente il marito Silvio.
Certo, anche l’occhio vuole la sua parte, recita un vecchio adagio. Ma la politica, la responsabilità di guidare un paese, riteniamo vada ben oltre le vacue apparenze e richiede piuttosto in chi lo rappresenta uno spessore di contenuti e competenze non surrogabili con il pizzo di uno slip o la procace curva di un gluteo ben scolpito. E nonostante com’era prevedibile il nostro valente Presidente del consiglio non abbia risparmiato le sue invettive da vecchio trombone contro la solita sinistra in malafede, capace di abbindolare persino la consorte Veronica, per smentire che nelle liste del PdL si stesse seriamente pensando di inserire un manipolo di ragazze-copertina, ha tenuto a precisare che letterine e veline comunque affolleranno i palchi dai quali arringherà i suoi elettori, che spera di motivare oltre che con le panzane anche stimolando in loro qualche recondito prudore inconfessabile.
E poi, di cosa ci si dovrebbe stupire? Non è forse l’Italia il paese dei latin lover, degli infaticabili amatori? E cosa c’è di meglio di un Presidente del consiglio, di un premier che incarna lo stereotipo che sempre abbiamo esportato nel mondo insieme con le scarpe, la moda, la pizza e nutella? Ecco allora con un nuovo colpo di teatro che il Cavalier Banana assume l’ennesima veste, quella del Presidente Macho, dell’infaticabile amatore che alla faccia dei suoi settant’anni suonati ama ancore tre ore per notte, dorme per altrettanto tempo e zompa come uno stambecco da una zona terremotata all’inaugurazione di un termovalorizzatore, da una piena del Po ad un G8 con la stessa energia di un bersagliere.
E’ l’immagine che paga, è l’immaginario che bisogna titillare, non valgono i contenuti né le cose che concretamente si fanno, ma l’accredito che ci si costruisce giorno dopo giorno con il bombardamento della propaganda, con uno status di testimonial costruitosi con il denaro e con l’impunità. E se ciò dovesse imporre magari il ricorso a qualche energizzante, una pastiglietta blu di tanto in tanto, non ci sarebbe niente di male. E cosa c’è di più appagante per chi del proprio ego ha fatto un simulacro di potersi fregiare da oggi in poi anche del titolo di Cavalier Viagra?
La verità vera è che il Cavaliere ha una strategia precisa, che sa per esperienza essere pagante, e che ha già abbondantemente rodato nei media che possiede: trasformare anche la politica in avanspettacolo, in una sorta di Grande Fratello continuativo nel quale i partecipanti mettono a nudo le loro pulsioni, si amano, si odiano si insultano, amoreggiano, con naturalezza e trasparenza, senza ritegno alcuno, al di fuori di ogni schema di bon ton e di regole del galateo.
Questo disimpegno, in realtà, non è però veicolo per creare i presupposti di una politica più vicina al senso comune della gente, poiché non punta su meccanismi di trasmissioni di valori in modo più immediato e con un linguaggio privo degli orpelli sovrastrutturali cui si è sempre rivolta ai cittadini molto spesso solo per mascherare ad arte le proprie manchevolezze, ma si rivela un subdolo strumento di distrazione dell’attenzione delle masse dai problemi veri della loro esistenza. E’ una sorta di anestetico con il quale si sopisce la coscienza; si dispensa valium a base di stupidaggini, pettegolezzi, prurigini e amenità con il quale si ottiene il duplice effetto di consolidare il legame con gli strati sociali ai margini della cultura e della capacità di autocoscienza e di aumentare il distacco dalla politica degli strati sociali sempre più delusi da una politica sostanzialmente incapace di rispondere alle vere esigenze di giustizia, equità, trasparenza delle opportunità, progresso e correttezza nell’amministrazione dell’interesse pubblico.
Ancorché il fenomeno sarebbe meritevole di approfondimento sociologico oltre che neuropsichiatrico, non v’è dubbio che il trasferimento dell’etica della spazzatura dal’'esercizio dei media alla prassi politica stia trasformando il Paese in una sorta di macelleria sociale nella quale tutto passa per un tritacarne, che annienta i valori ed i fondamenti della convivenza civile e democratica. E questo dovrebbe far riflettere quanti hanno a cuore le sorti delle nuove generazioni, alle quali così continuando non resterà che una misera eredità di vuota apparenza e di fetida cultura dell’ostentazione, nella quale si consumerà la disgregazione di ogni legame sociale e trionferà il nuovo autoritarismo di cui è portatore Berlusconi e la sua gente. E nulla in quest’Italietta di inizio millennio niente sembra più vero di quella profezia secondo la quale è il sonno delle coscienze che genera mostri.
(nella foto, Silvio Berlusconi intento a valutare i requisiti di Miriam Leoni)
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