L’elogio della follia riveduto e corretto
Martedì, 25 maggio 2009
Chi si desse briga di consultare un dizionario e leggere la definizione di schizofrenia apprenderebbe che si tratta di “una patologia psichiatrica caratterizzata da sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e delle emozioni, tali da limitare la normale attività della persona”. Il termine non indica un’entità patologica unitaria, ma una classe di disturbi, tutti caratterizzati da un comune denominatore grave che riconduce alla compromissione del cosiddetto “esame di realtà”.
Secondo la tradizione clinica, i sintomi caratterizzanti la patologia sono “positivi” e “negativi”; i primi costituiti da elementi aggiuntivi rispetto all’esperienza del paziente (deliri, allucinazioni, idee fisse, disordine del pensiero, psicosi) ed i secondi da un’evidente diminuzione o declino di capacità o scomparsa del pregresso esperienziale normale. Alcuni modelli, infine, includono nella sintomatologia della malattia una classe ulteriore di elementi caratterizzanti, riferibili ad un deficit organizzativo (“sindrome disorganizzativa”) segnalato da un forte disordine del pensiero e da deficit neuro cognitivi, quali l’indebolimento di funzioni di base come la memoria, l'attenzione, la pacità di risolvere problemi e farvi fronte (capacità esecutiva) e la cognizione sociale.
Da questa rapida lettura del quadro definitorio della patologia, ben si comprende come lo stato del dibattito politico in corso nel Paese sia contraddistinto ormai da tempo da un’affezione sempre più riferita al quadro clinico riassunto. La presenza di una classe dirigente avvezza a proferire dichiarazioni a ruota libera, avulse da un effettivo contesto di riferimento e basate sulla una sostanziale percezione profondamente distorta della realtà, incline a smentire prontamente quelle dichiarazioni, assumendole come di terzi persecutori, nemici irriducibili e denigratori dell’altrui immagine, non possono considerarsi solo l’illecito ricorso a metodi di propaganda simulatoria di un’aggressione, che serve poi a giustificare un attacco. La sistematicità di questa pratica è tale e reiterata da far crollare qualsiasi benevola ipotesi di fine strategia, tesa alla classica manipolazione del consenso; sebbene la presenza di gruppi organizzati di ripetitori, megafonisti e banditori potrebbe far sorgere qualche dubbio. Anzi, è proprio la presenza di questa schiera di semiologi dell'ultim'ora, impegnati costantemente a spiegare, chiarire e rinforzare le esternazioni, affinché le stesse acquisiscano la necessaria credibilità e rinvigoriscano l’accredito del dichiarante, che radica la certezza di trovarsi di fronte ad uno scenario nel quale l’immaginario patologico ha ormai preso il sopravvento sulla realtà effettiva delle cose.
Va altresì detto che, quantunque la patologia non abbia natura virale, la sua diffusione è aumentata in modo esponenziale nell’ultimo quindicennio, determinando una propensione crescente alla sua acquisizione sia a destra che a sinistra, - ammesso che di identità ideologiche di questo tipo si possa ancora parlare nel caso italiano. In ogni caso,venuta stranamente alla ribalta con l’avvento di Berlusconi e i suoi forzisti, sembra aver contaminato l’intero arco parlamentare, con qualche rara eccezione, che fa fatica a conservare la necessaria lucidità per contribuire ad un serio governo del paese, pur se dai banchi dall’opposizione.
In ordine di tempo, l’ultimo episodio di quella che è ormai divenuta una vera e propria “piaga politica”, palesemente ispirata alla filosofia di Tommaso Moro, è rappresentato dal dibattito sull’utilità/inutilità del Parlamento, non come istituzione, - che alla fine resterebbe solo tale se avesse seguito il progetto in corso, - quanto sul ruolo dei suoi componenti, sempre più accostato alla goliardica figura di una banda di crapuloni, dediti al convivio più che all’attenzione dei problemi per i quali hanno ricevuto un mandato popolare. Costoro, in parte rappresentanti anche di un dissenso confinato in una sorta di "criminalità istituzionale", nella visione dell’attuale compagine di governo, Berlusconi in testa, sarebbero elemento di forte rallentamento dell’attuazione di quelle riforme d’ammodernamento del sistema e di sviluppo socio-economico dell’Italia, - vuoi per la lentezza con la quale decidono vuoi per l’interdizione, sotto ogni forma, che frappongono alle iniziative di progresso proposte da chi è stato designato alla guida del paese. Da qui la necessità di “abolire” un’istituzione di scarso senso per la democrazia (sic!) o, quantomeno, di ridurne significativamente le prerogative oltre al numero dei componenti. Con un magnifico de profundis alle istanze di verifica e controllo delle attività dell’esecutivo previste dalla Carta costituzionale.
Com’era prevedibile, ciò che sembra essere più che una minaccia, - che definire proposta una sciocchezza così motivata equivarrebbe a conferire ingiustificata dignità a ciò che appare solo una boutade, - ha sollevato un vespaio di critiche e persino di prese di distanza anche nella fazione che sostiene il governo in carica. Lo stesso Gianfranco Fini, le cui simpatie per la democrazia non possono considerarsi cementate, ha avvertito la necessita di precisare che: «E' mio vivo auspicio che il Parlamento di questa legislatura possa portare a termine il percorso di modifica della seconda parte della Costituzione per garantire un più armonico equilibrio tra i diversi livelli della cosa pubblica. Mi auguro che il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, la riduzione conseguente del numero dei parlamentari, la ridefinizione equilibrata dei rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo non siano bandiera dell'uno o dell'altro schieramento politico, ma siano piuttosto riforme condivise, la cui realizzazione contribuirebbe ad accrescerà la fiducia dei cittadini».
Com’è suo costume il nostro premier, - solito dire e poi ritrattare davanti ai polveroni che si sollevano dalle sue le sortite, - prontamente è intervenuto per smentire di aver mai proferito un giudizio di sostanziale inutilità dell’attuale Parlamento. Anzi, - ed anche questo rientra nel tragico rituale, - ha immediatamente accusato l’opposizione di mettergli in bocca falsità inusitate.
«La Finocchiaro e D’Alema si sono comportati in modo indegno, ignobile e spudorato attribuendomi parole che non ho mai pronunciato e cioè che il Parlamento sarebbe inutile e dannoso». Poi cita a propria discolpa il resoconto stenografico del discorso da lui tenuto nella sede di Confindustria: «Il Parlamento è pletorico: ci sono infatti 630 deputati, quando ne basterebbero cento. Chiaro che per arrivare a questo dovremmo arrivare ad un disegno d’iniziativa popolare, perché non si può chiedere ai capponi o ai tacchini di anticipare il Natale! Credo che questo dovrebbe essere chiaro a tutti. Evidentemente», – ha concluso Berlusconi, - «l’antico vizio stalinista di una certa sinistra di capovolgere la realtà non è mai venuto meno». Anche a chi scrive sembrerebbe che il senso del discorso dell’equivocato premier vada nella direzione denunciata dagli esponenti del PD, - pur non avendo mai nutrito simpatie staliniste,. D’altra parte, non avendo alcuna predilezione per i giochi di parole e per le funambolerie lessicali del buon Silvio, ci parrebbe che la necessità di revisionare il numero dei componenti dell’organo legislativo del paese derivi proprio da quel pletorico da lui sottolineato. E quando qualcosa è pletorica non v’è dubbio sia inutile orpello. Nel caso in esame poi non potremmo trascurare di trovarci davanti a fancazzisti cronici o, al più e quando decidono di lavorare, a dei rompicoglioni, che pensano solo a frenare la santa opera di governo anziché agevolarla.
La stessa affermazione sulla necessità di un disegno di legge di iniziativa popolare reclamata da Berlusconi era già stata oggetto di contraddittorio da parte di Fini, che nel corso di un intervento sul tema aveva precisato in proposito: «Una proposta di legge di iniziativa popolare non sostituisce il Parlamento. E' una delle modalità previste dai costituenti per l'avvio dell'iter legislativo. Chi può dare il via a una legge? I cittadini, i parlamentari o il governo. Ma è sempre il Parlamento che decide», come dire che si può anche blaterare a vanvera, tanto è dal parlamento che bisogna passare.
La risposta dell’opposizione non s’è fatta comunque attendere ed è giunta per bocca di una di quelle eccezioni, rispetto allo sbandamento generale, che confermano la regola della sussistenza di uno stato confusionale pressoché irreversibile, Antonio Di Pietro, che ha tagliato corto e con l'usuale lucidità ha dichiarato: «Berlusconi non ha le qualità morali e politiche per guidare il nostro Paese; per questo motivo domani presenteremo una mozione di sfiducia e chiederemo ai parlamentari dell'opposizione di sottoscriverla», con l'evidente finalità, - aggiungeremmo, - di rispedire una volta per tutte a casa un personaggio con annessa cortigianeria capace solo di rilevare il deficit d'altrui pudore.
Naturalmente, c'è da temere che non si tratta che dell’ultima puntata di una storia moderna d'ordinaria follia, nella quale tutto si dice e tutto si contraddice, ed in cui persino gli ex fascisti indossano i panni dei difensori della democrazia, mentre le voci del dissenso o della domanda di legalità assumono un sapore d’eversione destabilizzante e neo rivoluzionaria, - quantunque tra l’indifferenza generale.
Chissà se e quando, magari in un rigurgito di umana pietà, questo Parlamento di capponi e tacchini deciderà di varare una legge che ci liberi di chi, per governare, crede sia sufficiente abbandonarsi solo agli slogan ed al populismo d’effetto.
Naturalmente, c'è da temere che non si tratta che dell’ultima puntata di una storia moderna d'ordinaria follia, nella quale tutto si dice e tutto si contraddice, ed in cui persino gli ex fascisti indossano i panni dei difensori della democrazia, mentre le voci del dissenso o della domanda di legalità assumono un sapore d’eversione destabilizzante e neo rivoluzionaria, - quantunque tra l’indifferenza generale.
Chissà se e quando, magari in un rigurgito di umana pietà, questo Parlamento di capponi e tacchini deciderà di varare una legge che ci liberi di chi, per governare, crede sia sufficiente abbandonarsi solo agli slogan ed al populismo d’effetto.
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