mercoledì, novembre 18, 2009

La disfatta della salute


Mercoledì, 18 novembre 2009
Ore 7:30 di un giorno qualunque di novembre. Il tempo è bello, nonostante sia autunno inoltrato, e il sole che illumina il parcheggio dell’ospedale di Avola lascia presagire una giornata calda, calda in tutti i sensi.
Il parcheggio è stracolmo di auto, nonostante l’ora mattiniera, e tutto lascia intuire che la coda agli sportelli di prenotazione di visite specialistiche ed analisi di laboratorio debba essere consistente.
Infatti, - roba da non credere ai propri occhi, - alle prenotazioni la folla è immensa, resa più numerosa di quanto non sia in realtà dalle ridotte dimensioni di quest’ospedale di provincia, già per altro nell’occhio del ciclone a causa dei tagli decisi dall’amministrazione regionale di Raffaele Lombardo, indebitata sino al collo per la spesa sanitaria.
Dopo una ventina di minuti di coda, tra spintoni e impazienti assistiti, è finalmente il nostro turno per il pagamento del ticket. Da qui passiamo ad una saletta di quindici metri quadri scarsi con due fori in una parete, su cui sta rispettivamente scritto “accettazione” e “ritiro esiti”, dai quali, tra un ondeggiare di teste e di braccia, non si vede anima viva. Nella saletta siamo circa una sessantina di persone, accalcate, pigiate come pesci in scatola, già sudaticce a causa del tempo clemente e della temperatura tropicale del condizionamento a manetta, tutte in attesa di farci registrare e poi poter accedere al laboratorio di analisi. Fuori dalla stanzetta, un drappello di ultimi arrivati spinge e sbraita nel tentativo di un impossibile accesso, forse convinto che così facendo l’angusto vano lieviti e riesca ad accogliere anche loro. In un angolo della stanzetta una macchinetta distributrice di bigliettini, sulla quale tutti tentano di avventarsi, con il risultato che chi è riuscito a conquistare il trofeo non riesce più a liberarsi dalla stretta della gente che assedia l’apparecchio e rimane imprigionato sventolando il bigliettino marca-turno come un inutile gagliardetto.
In un angolo, un vecchietto che piange sommessamente e che si lamenta, lui affetto da cancro e che a stento si regge in piedi, di doversi sottoporre a quest’umiliazione una volta al mese, ogni volta che deve effettuare gli esami di routine.
Alla fine della giornata si conteranno oltre 170 persone presentatesi al laboratorio d’analisi, con attesa media di circa due ore complessive per la trafila burocratica, il turno e circa tre minuti per il prelievo di sangue.
Di fronte a questi spettacoli, che non richiedono commento alcuno, c’è da chiedersi perché i laboratori e gli studi medici della struttura pubblica si siano ridotti in questa maniera.
La risposta è tragicamente agevole. La Regione Sicilia, che non brilla certa per efficienza e cristallina gestione, ha esaurito i fondi per i rimborsi ai centri convenzionati e il cittadino, se vuole evitare di pagare o usufruire della prestazione alle calende greche, deve ricorrere direttamente alla struttura ospedaliera, che, in tutta evidenza, è assolutamente impreparata per accogliere un flusso di assistiti così massiccio e improvviso.
Naturalmente questa situazione non è un caso isolato nel nostro paese, ma disgraziatamente è una regola oramai consolidata, che riguarda tutte le realtà e che discende da decenni di politica sanitaria pazzesca e clientelare, grazie alla quale, anziché potenziare i servizi pubblici, si è preferito incentivare le strutture private in regime di convenzione. Ciò ha determinato un enorme flusso di denaro verso i privati, sotto forma di rimborso prezzi crescenti delle prestazioni erogate, trascurando l’effetto calmierante sul prontuario prestazionale che sarebbe derivato dall’esecuzione in economia delle prestazioni medesime.
Oggi la spesa sanitaria ha raggiunto livelli di spesa insostenibile, con il risultato che le strutture convenzionate, in fortissimo ritardo di incassi dei rimborsi, o di fronte all’esaurimento dei budget di spesa regionali, attuano una sorta di sciopero bianco, consistente nella richiesta di pagamento all’utenza del corrispettivo per l’effettuazione di prestazioni immediate o il posticipo a tempi biblici della prestazione in regime convenzionale.
Come al solito a farne le spese è il cittadino, quello meno abbiente, che vede mortificato il diritto ad un’assistenza sanitaria efficiente e tempestiva, con buona pace per il tanto decantato diritto primario alla tutela della salute, e con l’obbligo a sottomettersi a pratiche prestazionali e burocratiche da terzo mondo.
Non c’è che dire. Nel pieno esordio del terzo millennio l’Italia conquista un altro sciagurato primato nella hit parade della vergogna, mentre come accade solitamente coloro che possono guardano con distacco alla problematica, tanto raramente avevano usufruito del servizio pubblico o della sanità convenzionata e questo degrado sicuramente non produrrà alcun effetto.
(nella foto, il complesso ospedaliero del G. De Maria di Avola)

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