La truffa Euro
Giovedì, 28 gennaio 2010
Correva l’1 gennaio 2002 quando l’euro faceva il suo ingresso ufficiale nelle tasche degli Italiani per sostituire, gradualmente, la lira mandata in pensione.
A otto anni di distanza, quella data rimane nella memoria di tanti, poiché ha determinato una svolta epocale nello stile di vita, nelle abitudini e, - è il caso proprio di sottolinearlo, - nell’individuazione dello spartiacque tra povertà e minimo di sopravvivenza.
Sì, perché all’indomani dell’introduzione della nuova moneta la struttura dei prezzi di tutti i beni, da quelli voluttuari a quelli di prima necessità, ha subito un’incredibile impennata non compensata affatto dall’adeguamento periodico di stipendi e salari, con i risultati che tante famiglie, ritenute per reddito e stile di vita medio-borghesi, sono rapidamente e inesorabilmente precipitate nella fascia di povertà, quella più disperata, quella incapace di superare con le poche risorse economiche a disposizione le due prime settimane di ogni mese.
Non è andata per tutti alla stessa maniera, comunque, in quanto intere categorie economiche sono riuscite a moltiplicare i proventi, grazie ad una selvaggia politica di tariffazione dei servizi, - lasciata completamente fuori controllo dalle autorità. Ciò non è avvenuto senza aggiustamenti, poiché la politica di incremento selvaggio delle tariffe di professionisti, servizi pubblici, movimentazione merci, trasporti e produzione industriale, ha causato una lenta e inesorabile contrazione del mercato, stretto nella morsa della riduzione della propensione al consumo e dell’inflazione, con gravissimi rischi d’implosione per il sistema di cui le prime avvisaglie erano già percepibile nel 2005 con la crisi dei prezzi petroliferi, la guerra in Iraq, la SARS egli attentati dell’11 settembre, che, com’è conseguente in una economia globale, non potevano non produrre ripercussioni all’interno del nostro già fragile sistema economico.
Facendo una retrospettiva della situazione generale vigente al momento dell’avvento dell’euro non possono non evidenziarsi almeno due errori macroscopici per il governo dell’epoca, - comunque perpetuati di governi successivi, - consistenti nella fissazione di un tasso di concambio lira/euro cervellotico, per non dire demenziale, e nella mancata instaurazione di un’autorità di vigilanza, peraltro con forte potere persecutorio e sanzionatorio di ogni abuso, sul sistema prezzi. Aver fissato 1937,26 lire per un euro, peraltro, si è rivelato un errore esiziale in quanto l’automatico raddoppio dei prezzi nel cambio lira/euro ha comportato un adeguamento ingiustificato di quasi 63 lire per ogni euro: una sorta di inflazione nascosta del 3% fisso, a tutto vantaggio dei venditori e a discapito degli acquirenti.
Se si guardano i dati statistici sulla cancellazione di vecchie imprese e l’iscrizione delle nuove nel quadriennio 2005-2009 si può vedere che il saldo è fortemente negativo, pur tenendo conto della valanga di fallimenti registrati tra il 2008 e il 2009 dovuti alla micidiale crisi mondiale dovuta al crack finanziario planetario. Ciò significa che dopo un periodo di vacche grasse, durante il quale le aziende hanno registrato utili straordinari derivati dai proventi di cambio, parecchie imprese hanno dovuto chiudere i battenti a causa di una mortale contrazione del mercato interno, prima, e di quello internazionale in seguito.
Sul fronte dei redditi, la forbice tra quelli da lavoro dipendente e quelli da lavoro autonomo e d’impresa ha subito una divaricazione straordinaria, con un crollo effettivo superiore al 30% per il lavoro dipendente.
Ad aggravare questa situazione è intervenuto un ulteriore fattore di notevole disturbo degli equilibri di marcato, rappresentato dalla spesa per il finanziamento della guerra in Iraq da parte degli USA, che apparentemente non ha visto l’impegno diretto della maggior parte dei paesi occidentali, ma ha ricevuto il loro fortissimo sostegno tramite il deprezzamento delle ragioni di cambio dollaro/euro. La quotazione del dollaro, artificiosamente bassa, ha permesso un forte incremento delle esportazioni USA e, dunque, il finanziamento indiretto dell’ingente spesa militare sostenuta da quel paese.
In questa prospettiva l’economia italiana del post euro, - peraltro tradizionalmente dipendente dalle fluttuazioni internazionali dal lato energetico e dell’approvvigionamento di materie prime, - si è rapidamente collassata, inaugurando una lunga stagione di crisi occupazionale, produttiva e sociale con le conseguenze tristemente note a tutti.
Se si guarda all’azione di governo richiesta per mitigare gli effetti di questo disastro non può non prendersi atto dell’approssimativo varo di provvedimenti inconsistenti o placebo nella maggior parte dei casi, la cui connotazione principale è stata la salvaguardia degli interessi di chi stava meglio rispetto alla maggioranza di quanti inesorabilmente superavano la soglia della povertà. Questa politica suicida per il paese ha coinvolto indifferentemente governi di centro-sinistra e di destra e sono esempio di quelle scellerate scelte la riforma del sistema pensionistico, la cancellazione del welfare, i mancati provvedimenti di regolamentazione del mercato del lavoro, l’assenza di una legislazione di adeguamento degli strumenti di sostegno al reddito per disoccupati vecchi e nuovi, la mai realizzata riforma della cassa integrazione e così via sino ad arrivare all’ignobile scudo fiscale di recente attuazione, con il quale si è consentito il lavaggio di denaro di illecita provenienza con il pagamento di un’irrisoria tangente alle casse dello stato.
La stessa mancata riforma del sistema di determinazione dei prezzi petroliferi al consumo, che permette alla casta dei petrolieri di adeguare immediatamente i prezzi ad ogni variazione d’incremento di costo all’ingrosso, ma non li obbliga ad adeguarsi al ribasso con analoga tempestività, è la prova provata di una politica economica strategicamente basata sul privilegio delle élite a scapito della massa dei cittadini.
Sulla scorta di queste rilevanze il giudizio complessivo sull’avvento dell’euro non può che essere fortemente negativo, nonostante la vanità di Prodi, presidente del consiglio dell’epoca, abbia prevalso sul buon senso e lo abbia sistematicamente condotto a difendere quell’improvvida scelta. Se il nostro paese avesse mantenuto la propria divisa, come ha fatto la Gran Bretagna o la Svezia, piuttosto che illudersi che l’adesione alla moneta unica gli avrebbe permesso di esportare le inefficienze del sistema e ottenere un contributo dall’Europa per la loro correzione, oggi la crisi sarebbe parimenti grave, ma con ogni probabilità non avrebbe trascinato nel vortice della miseria oltre 7 milioni di famiglie, - ché a tanto ammonta il consuntivo del disastro sociale causato dall’ebbrezza euro.
Per contro, modulare in maniera più oculata una riforma delle pensioni impostaci dall’Europa, avrebbe permesso di attingere in misura inferiore alle risorse pubbliche per permettere a tanti disgraziati di campare dignitosamente e, contestualmente, avrebbe consentito quel contributo al rilancio dei consumi così auspicato oggigiorno. Infine, riformare il mercato del lavoro con una legislazione che troncasse lo sfruttamento terzomondista di un esercito di giovani disperati e senza futuro, anziché abbarbicarsi in difesa di improponibili strumenti di flessibilità, avrebbe permesso al paese di traguardare il proprio futuro con la speranza e l’entusiasmo di quelle nuove generazioni, pilastro di ogni paese, che oggi vivono assuefatti e vinti nella mancanza di speranza.
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