Governo - Nuova puntata de "La Piovra”
Martedì, 13 luglio 2010
E’ come i grani di un rosario. Non passa giorno che nella coalizione al governo non emerga un nuovo caso di malaffare, peraltro di gravità inaudita e che coinvolge personaggi non certo di secondo piano.
Adesso è la volta di Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del PdL, coinvolto in una misteriosa quanto squallida vicenda di corruzione e di associazione a delinquere segreta, che aveva l’obiettivo non solo di realizzare affari milionari con la produzione di energia eolica, ma anche di avvicinare magistrati con il fine di costruire falsi dossier contro avversari politici. Con lui due stinchi di santo del calibro di Flavio Carboni, che nonostante l’età avanzata non aveva perso il vizietto di tramare nell’ombra per mettere a segno qualche buon affare, e Marcello Dell’Utri, fresco di condanna per appurato fiancheggiamento alla mafia.
Italo Bocchino, primo del movimento che con Gianfranco Fini ha ormai da tempo preso le distanze da quel PdL che giorno dopo giorno somiglia sempre più ad una aggregazione di gaglioffi senza scrupoli, ha impietosamente richiesto che lo stesso Berlusconi assuma tutte le misure necessarie e urgenti affinché Verdini lasci la carica attualmente ricoperta, causa la plateale incompatibilità in un incarico fortemente appannato dalle vicende giudiziarie in corso e documentate dai rapporti degli inquirenti.
Ma ciò che più turba non è certamente il trailer sulla nuova puntata de La Piovra che viene rappresentato al Paese, quanto l’ennesima e sconcertante dichiarazione del capo del governo, che ha bollato l’affaire come «tutta una montatura, sulla quale come al solito i giornali fanno disinformazione». Di più, una «cosa assurda», perché dove è il reato, dove l’associazione a delinquere per costituire un’associazione segreta quando dalle carte emergono solo i movimenti scomposti di «due pensionati che millantavano credito, due ignoti personaggi che nessuno conosce, ma ci rendiamo conto?». E Flavio Carboni, poi: altro che pericolo pubblico. La verità, secondo il premier, è che «non si mette in galera uno che ha settantotto anni» e pure tre by-pass, come raccontano le cronache. Insomma, è furioso, Berlusconi, per l’ennesimo scandalo che getta «fango» a suon di «menzogne» e di «operazioni di disinformazione» proprio nel cuore del suo partito. Per questo la sua ira gelida è tutta contro chi ha cavalcato il caso, chi ha chiesto le dimissioni di Verdini adducendo motivi di opportunità ed esigenze di moralità, chi è arrivato a sostenere che altre indiscrezioni verranno alla luce, altre notizie imbarazzanti: Italo Bocchino, per intendersi. Ritenuto uomo di massima fiducia di Gianfranco Fini, quasi il suo braccio armato. Tanto da aver provocato nel Cavaliere - più che uno sfogo - l’annuncio che si stia per mettere una pietra tombale su ogni tentativo di ripresa di dialogo con il cofondatore: «Per me», - dice tranchant, - «Fini è fuori dal partito. Perché chi si fa rappresentare da uno come Bocchino, non può che essere fuori dal partito»
E tanto è bastato perché i soliti banditori del centro-destra, Bondi e Cicchitto, scendessero in campo per sperticarsi in strumentali difese d’ufficio del coordinatore sotto accusa e usassero le dichiarazioni di Bocchino quale ulteriore prova dell’impellente necessità di limitare il diritto d’informazione, che, a loro illuminato avviso, sarebbe sistematicamente invocato solo per poter diffamare impunemente la probità degli arcangeli che nel centro-destra lavorano per il benessere della nazione.
«L'On. Bocchino ha l'obbligo di riferire come sia giunto in possesso di tali verbali, in che modo e attraverso quali canali Questa vicenda dimostra a quale livello di degrado e di spregiudicatezza giungano alcuni esponenti politici. Inoltre rivela, se fosse confermata, l'intreccio perverso non solo tra una parte della magistratura e il mondo dell'informazione, ma anche tra ambienti giudiziari e esponenti politici, che utilizzano notizie coperte da segreto istruttorio come strumento di lotta politica», hanno dichiarato all'unisono.
La replica di Bocchino non ha tardato ad arrivare in una nota ufficiale: «Gli amici Bondi e Cicchitto possono star tranquilli che non c'è alcun complotto in giro, né misteri. Quando ho parlato di atti che a mio giudizio porranno un problema di opportunità politica a Berlusconi sul caso Verdini, mi riferivo semplicemente all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carboni e soci, documento in possesso di tutte le redazioni dei giornali», - con ciò smontando le assurde e pretestuose tesi complottiste subito avanzate dal Cavaliere e dai suoi due fedeli mastini.
Non una parola dal quartier generale del PdL, comunque, nei confronti di Dell’Utri e Cosentino, ufficialmente coinvolti nell’indagine in corso, che, visti i precedenti, non potevano essere spacciati per personaggi al di sopra d’ogni sospetto, coinvolti per puro caso in una vicenda che puzza d’imbroglio già lontano un miglio. S’è preferito giocare la carta Carboni, il povero vecchietto con i by-pass spendibile per mansueto pensionato: chi si ricorda ancora oggi il suo coinvolgimento nella P2 di Licio Gelli, il crack della Rizzoli e l’omicidio Calvi, vicende nelle quali il vecchietto in questione, - allora molto giovane, - ebbe un ruolo di primissimo piano? I giovani, che abbagliati e smidollati votano PdL, non hanno certamente memoria di fatti accaduti quando non erano neppure nati e i vecchi, quelli plagiati dall’illusionista Fede, in tanti casi sono ormai così rincoglioniti da non ricordare neanche ciò che hanno mangiato qualche minuto prima di sedersi davanti al piccolo schermo per sentire i deliri dell’imbonitore di turno.
A ben guardare nel PdL si stanno raggiungendo punte d’inquisiti veramente inimmaginabili, dato da insinuare il sospetto che uno dei requisiti necessari per essere inserito nelle liste del partito non sia tanto la capacità politica quanto la contiguità ad ambienti equivoci border line, grazie alla quale il consenso che non dovesse potersi acquisire con la distribuzione delle fette di salame da mettere sugli occhi e con le oscene panzane sparate a raffica dal Cavalier Viagra e i suoi megafoni, va pilotato con il ricorso a metodi di persuasione occulta e qualche iniziativa da malaffare.
Qualche mese fa in parecchi ambienti si ventilò l’ipotesi che l’astro del Cavaliere fosse avviato sull’inesorabile viale del tramonto e nel presagire ciò Massimo D’Alema dichiarò che sarebbe stato necessario elevare il livello d’attenzione per salvaguardare la democrazia dai pericoli cui sarebbe stata sottoposta dai prevedibili colpi di coda del caimano ferito. Ciò cui stiamo assistendo ne è conferma, ma deve preoccupar di più che probabilmente quanto è finora accaduto non è che l’anticipo di altri e ben assestati colpi alla solidità delle nostre istituzioni e alla nostra libertà.
(nella foto, il faccendiere inquisito Flavio Carboni)
(nella foto, il faccendiere inquisito Flavio Carboni)
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