mercoledì, luglio 14, 2010

La qualità virtuale

Mercoledì, 14 luglio 2010
Correvano gli anni ’80 quando dal lontano Giappone si diffondeva nel mondo intero una cultura nuova e innovativa, che negli anni a seguire avrebbe dovuto rivoluzionare la cultura industriale e la modalità di produrre. Erano gli anni dei circoli della qualità, delle assisi informali costituite dalle maestranze che si adoperavano per la realizzazione di prodotti a difettosità decrescente, se non addirittura zero, e che avevano costituito il fattore d’eccellenza dell’industria giapponese a livello mondiale.
Importate immediatamente in tutte le aziende del globo, - chi non ricorda ile cassette delle idee e dei suggerimenti, piuttosto che le innovazioni organizzative come le isole di produzione, - avrebbero dovuto consentire lo sviluppo di una nuova mentalità del produrre, basata sulla capacità di realizzare prodotti finiti in grado di durare nel tempo, ad efficienza garantita e capaci di contribuire significativamente non soltanto all’accreditamento del marchio aziendale ma anche a ridurre i costi del post-vendita e quelli necessari per il mantenimento di un apparato di assistenza tecnica alla clientela.
La razionalizzazione di tale filosofia produttiva portò successivamente a veri e propri sistemi di certificazione della qualità, con tanto di istituti certificatori e ingenti costi per le aziende per ottenere le tanto ambite ISO, cioè le attestazioni che i processi di produzione rispondevano a precise e codificate procedure controllate e verificate in ogni fase di realizzazione del prodotto finale.
Eppure, a dispetto dei buoni propositi, mai come da quegli anni il mondo ha assistito ad un degrado progressivo della qualità dei prodotti immessi sul mercato. Anzi v’è legittimo il sospetto che la qualità virtuale dei prodotti finiti posti in vendita abbia scatenato un business del tutto nuovo basato sulla speculazione legata alla ricambistica ed all’assistenza post-vendita.
A ben guardare il mercato dei beni c’è infatti da registrare una significativa caduta dei prezzi dei prodotti finiti, - particolarmente più sostanziosa se si effettua un calcolo destagionalizzato dei prezzi, come direbbero gli economisti addetti ai lavori, - al punto tale che in moltissimi casi è venuta meno la convenienza alla riparazione dei prodotti che dovessero guastarsi causa il crescente costo dei ricambi e delle tariffe d’assistenza tecnica. Addirittura è del tutto evidente come tante aziende puntino alla realizzazione di prodotti a ciclo di vita estremamente ridotto, magari in grado di reggere il cosiddetto periodo di garanzia, per rimpinguare i propri bilanci con i proventi della ricambistica e delle riparazioni fuori garanzia.
Questo fenomeno è particolarmente più evidente in alcuni settori piuttosto che altri, ma costituisce un approccio sempre più diffuso di una cultura industriale che tende sempre più, spinta anche da una concorrenzialità sempre più serrata e aggressiva, a trasformare anche i beni durevoli in prodotti di consumo usa e getta.
L’elettronica è un settore che costituisce l’esempio lampante di questo processo che potremmo definire di degrado della cultura industriale: cellulari, elettrodomestici, televisori, computer, utensileria in genere sono costantemente sotto l’assalto dell’innovazione tecnologica, che ne riduce il costo e ne amplia le prestazioni, ma, nello stesso tempo, di un processo scientificamente teso a ridurne la durata e, dunque, la performance qualitativa. In altri termini, un processo che ha ridotto sensibilmente il ciclo di vita dei prodotti.
Il fenomeno ha costretto le autorità di governo degli stati ad intervenire, al punto che ovunque sono state introdotte leggi per la tutela dei diritti dei consumatori e normative di garanzia durante i quali le aziende produttrici sono costrette ad interventi di riparazione gratuiti. In Europa già dal 2002 è vietata l’immissione sul mercato di prodotti che non siano coperti da una garanzia biennale, proprio in considerazione del fenomeno di riduzione del ciclo di vita dei prodotti in commercio.
Ma a ben guardare le cause di un fenomeno che ha reso la nostra esistenza sempre più proiettata verso un consumismo distruttivo senza precedenti, vi sono anche ragioni di ordine economico. L’ingresso dirompente nei mercati internazionali di Cina, Corea, Taiwan e di aree del mondo fino a pochi anni or sono ai margini dell’economia mondiale è stato l’inizio e l’acceleratore del processo di degrado in atto, causa la capacità di questi contesti emergenti di produrre a bassissimo costo e con straordinarie capacità di clonazione di prodotti similari provenienti da contesti con maggiore tradizione tecnica. Internet, poi, ha dato il colpo di grazia, dato che attraverso la rete è ormai possibile acquistare di tutto, peraltro con la possibilità di fare confronti immediati tra prodotti della stessa natura, ma senza contezza alcuna della qualità della componentistica di ciò che si acquista. Infine, va rilevato come il degrado qualitativo abbia influito anche sugli aspetti legati alla sicurezza dei prodotti.
Così, scrive la Repubblica «un esercito di pericolosi killer è entrato alla chetichella nelle case. Si sono nascosti nella stanza dei bimbi, nei frigo, in bagno o in garage. Innocui all'apparenza, micidiali quando entrano in azione: Barbie velenose, auto che non frenano, passeggini-ghigliottina, fasce anti-cellulite che bruciano la pelle al posto del grasso. Le avanguardie più stravaganti e "pop" del nuovo incubo domestico del globo: i prodotti nati col difetto di fabbrica. Le mozzarelle Avatar (quelle che diventano azzurrine) sono solo l'ultimo caso.» Ma che dire dei cellulari da 500 euro, venduti a meno della metà pochi mesi dopo la loro comparsa sul mercato, che in caso di guasto rendono più conveniente l’acquisto di un apparecchiatura nuova piuttosto che la riparazione? E’ così per i tanti prodotti informatici, presenti sul mercato, nel quale regna una grandissima confusione di modelli e di prezzi, aggravata anche dalle politiche di (s)vendita messe in atto dai mille supermercati, sempre pronti ad offrire con sottocosto o promozioni equivoche apparati spacciati per gli ultimi ritrovati della tecnologia.
«La globalizzazione corre e i controlli di qualità non sono più quelli di una volta» - prova a spiegare Francesca Magno, che ha studiato il fenomeno al dipartimento di economia aziendale dell'Università di Bergamo. - «Quando si produce a ritmi forzati i margini d'errore crescono e, alla fine, il difetto di fabbrica è sempre in agguato.» E il fenomeno si è allargato a macchia d’olio, investendo anche realtà produttive che sino a poco tempo fa sembravano indenni. Un esempio su tutti è la Toyota, la più grande casa automobilistica del globo, costretta a richiamare milioni di vetture per un difetto all’acceleratore, che la dice lunga come anche i padri della qualità abbiano dovuto scendere a più miti consigli e compromessi per mantenere la leadership in un mercato in cui la sola logica di sopravvivenza è ormai quella del fast food, dove risparmio e velocità contano più della qualità.
E che dire del mitico iphone della Apple, renitente oggetto del piacere e dello sciovinismo con i suoi problemini di ricezione? Ma sono plausibili 750 euro per un prodotto che per essere usato richiede l’assunzione di posizioni da kamasutra?

(nella foto, il nuovo cellulare Apple)

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