Caro Porro c’è un limite a tutto
Martedì, 13 ottobre 2010
Ci parrebbe si sia passato il limite. Non solo quello della decenza, che è fatto meramente personale, - ciascuno ha la sua e la gestisce come meglio gli pare, - ma quello della logica, che non è un optional e può farsene pertanto uso discrezionale. Se i dati di partenza son comuni, logica vorrebbe che le conclusioni lo fossero altrettanto e chi dovesse tirarne di diverse dovrebbe avere il buon senso di fare autocritica e ripercorrere il percorso in cerca dell’errore.
Sul piano pratico, l’enunciato non è di secondaria importanza, poiché conduce dritto al caso Porro-Sallusti-Feltri, che in queste ore stanno ingombrando il dibattito su ciò che costituisce informazione e l’uso strumentale e politico che di quella si fa; ciò che è notizia, con annesso commento, e il suo impiego a fini oscuri di killeraggio o persecuzione per nuocere a qualcuno e compiacere qualcun altro.
La questione sembra porsi oggi, ma in verità è tema di grande attenzione da lungo tempo, dato che le cosiddette campagne di stampa sono sempre state il companatico di tutte le redazioni, non solo per vendere più copie, ma anche per schierarsi pro o contro, con la scusa dell’inchiesta.
Ecco, perciò, che un signore giornalista, Nicola Porro, vice direttore della testata Il Giornale, diretta da Alessandro Sallusti e supervisionata da Vittorio Feltri, ma quel ch’è peggio sfacciatamente al soldo della famiglia Berlusconi, dopo aver massacrato i testicoli a milioni d’Italiani con storie di appartamenti monegaschi nei quali sarebbe implicato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, - attenzione, da qualche tempo in nettissimo dissenso con il capo del governo e, guarda caso, proprietario della testata per la quale lavora, - s’attacca al telefono e chiama il capo ufficio stampa della Marcegaglia per preannunciare un fuoco di fila distruttivo contro la presidente di Confindustria, - attenzione, rea di aver espresso giudizi assai negativi sull’operato del governo.
«Le romperemo il cazzo per venti giorni. Le faremo il mazzo come un paiolo», dice al telefono il signor Porro, anticipando l’uscita sul suo quotidiano fin dal giorno dopo di un dossier con il quale, si presume, saranno rese pubbliche le malefatte dell’interessata, giusto per distruggerne l’immagine e ricondurla a più miti consigli.
Il “pirla”, come affettuosamente l’apostrofa Feltri, non sa d’essere ascoltato e così, quando la minacciosa telefonata diviene oggetto d’indagine da parte della magistratura di Napoli, dichiara seraficamente che scherzava, che le sue dichiarazioni ad Arpisella, capo ufficio stampa della Marcegaglia, estrapolate dal contesto non potevano certo evidenziare il tono burlesco della discussione.
Certo è che da quel momento il povero Porro va in giro per salotti televisivi a cercare solidarietà o a chiedere addirittura l’intervento del Capo dello Stato in sua difesa, con l’evidente intento di stravolgere la verità e capovolgere il suo ruolo da persecutore in vittima.
Peraltro, la vittima non sarebbe lui o almeno solo lui. Secondo l’interessato, la verità sarebbe che, causa una leggerezza verbale, si vorrebbe profittare per saldare i conti sospesi con Il Giornale, che è sempre stato in prima linea nella difesa dell’indipendenza dell’informazione e nella denuncia delle ribalderie senza sconti a nessuno. Peccato che Porro nel sostenere questa suggestiva tesi non abbia usato lo slogan ricorrente sui magistrati comunisti o sulle toghe rosse, che sarebbe apparso poco convincente, ma avrebbe trovato senza dubbio qualche avvinazzato pronto a bersi la colossale fandonia. Tantomeno può reclamare l’assoluzione perché, a suo dire, tutti i giornali hanno qualche scheletro nell’armadio e, dunque, nessuno può permettersi di levar la mano e scagliare la prima pietra: questa morale è frutto di un sillogismo falso e opportunistico, altrimenti e per assurdo sarebbe del tutto lecito legalizzare il furto, considerato che parecchi di quanti ci governano sono stati sorpresi con le mani nel sacco.
Che poi Porro difenda l’indipendenza della sua testata e neghi l’uso distorto e politico dell’informazione che dà ad esclusivo fine di killeraggio e quasi allucinante. Ne sa qualcosa Dino Boffo, già direttore de l’Avvenire e reo d’aver espresso il disagio dei cattolici per i comportamenti non proprio ortodossi e dignitosi del solito Berlusconi, bersaglio di una campagna calunniosa da regime iraniano, costretto a dimettersi schiacciato dai dossier farlocchi di Feltri e soci. Ne sa qualcosa Gianfranco Fini, passato per “concusso”, per affarista immobiliare, nepotista sfacciato e autotrasportatore di cucine, reo d’aver rotto con il sistema zarista del suo compagno di predellino e, dunque, meritevole d’essere trascinato nel fango e nel sospetto.
E chi potrebbe sicuramente affermare che se la penna di Porro non fosse stata fermata dall’intervento della magistratura non sarebbe fiorito un caso Marcegaglia con il letame che si suole accumulare in via Negri 4 a Milano?
A noi non interessa sapere se Porro fosse colpevole o innocente, né se stesse effettivamente scherzando o minacciasse realmente. A noi interessa che cessi l’uso improprio dell’informazione allo scopo di insinuare il sospetto o infangare avversari e nemici, l’uso improprio come grimaldello per ridurre in cattività il dissenso e il diritto di critica.
E visto che la predica di Porro proviene da un pulpito maleodorante e compromesso, vorremmo fargli una proposta che ne accrediti la buona volontà e le intenzioni di riscatto: ci racconti con analoga dovizia di particolari, tignosa precisione ed eventuale sdegno cosa sa delle fortune del suo padrone e dei metodi con i quali ha messo su il suo impero, magari cominciando della miriade di società off-shore di cui si avvale per inconfessabili progetti, società off-shore che nelle lunghe disquisizioni sulla correttezza e la trasparenza di Fini lo hanno costretto a confessare il profondo sconcerto e disgusto.
(la vignetta è tratta da Il fatto quotidiano del 12.10.10)
Sul piano pratico, l’enunciato non è di secondaria importanza, poiché conduce dritto al caso Porro-Sallusti-Feltri, che in queste ore stanno ingombrando il dibattito su ciò che costituisce informazione e l’uso strumentale e politico che di quella si fa; ciò che è notizia, con annesso commento, e il suo impiego a fini oscuri di killeraggio o persecuzione per nuocere a qualcuno e compiacere qualcun altro.
La questione sembra porsi oggi, ma in verità è tema di grande attenzione da lungo tempo, dato che le cosiddette campagne di stampa sono sempre state il companatico di tutte le redazioni, non solo per vendere più copie, ma anche per schierarsi pro o contro, con la scusa dell’inchiesta.
Ecco, perciò, che un signore giornalista, Nicola Porro, vice direttore della testata Il Giornale, diretta da Alessandro Sallusti e supervisionata da Vittorio Feltri, ma quel ch’è peggio sfacciatamente al soldo della famiglia Berlusconi, dopo aver massacrato i testicoli a milioni d’Italiani con storie di appartamenti monegaschi nei quali sarebbe implicato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, - attenzione, da qualche tempo in nettissimo dissenso con il capo del governo e, guarda caso, proprietario della testata per la quale lavora, - s’attacca al telefono e chiama il capo ufficio stampa della Marcegaglia per preannunciare un fuoco di fila distruttivo contro la presidente di Confindustria, - attenzione, rea di aver espresso giudizi assai negativi sull’operato del governo.
«Le romperemo il cazzo per venti giorni. Le faremo il mazzo come un paiolo», dice al telefono il signor Porro, anticipando l’uscita sul suo quotidiano fin dal giorno dopo di un dossier con il quale, si presume, saranno rese pubbliche le malefatte dell’interessata, giusto per distruggerne l’immagine e ricondurla a più miti consigli.
Il “pirla”, come affettuosamente l’apostrofa Feltri, non sa d’essere ascoltato e così, quando la minacciosa telefonata diviene oggetto d’indagine da parte della magistratura di Napoli, dichiara seraficamente che scherzava, che le sue dichiarazioni ad Arpisella, capo ufficio stampa della Marcegaglia, estrapolate dal contesto non potevano certo evidenziare il tono burlesco della discussione.
Certo è che da quel momento il povero Porro va in giro per salotti televisivi a cercare solidarietà o a chiedere addirittura l’intervento del Capo dello Stato in sua difesa, con l’evidente intento di stravolgere la verità e capovolgere il suo ruolo da persecutore in vittima.
Peraltro, la vittima non sarebbe lui o almeno solo lui. Secondo l’interessato, la verità sarebbe che, causa una leggerezza verbale, si vorrebbe profittare per saldare i conti sospesi con Il Giornale, che è sempre stato in prima linea nella difesa dell’indipendenza dell’informazione e nella denuncia delle ribalderie senza sconti a nessuno. Peccato che Porro nel sostenere questa suggestiva tesi non abbia usato lo slogan ricorrente sui magistrati comunisti o sulle toghe rosse, che sarebbe apparso poco convincente, ma avrebbe trovato senza dubbio qualche avvinazzato pronto a bersi la colossale fandonia. Tantomeno può reclamare l’assoluzione perché, a suo dire, tutti i giornali hanno qualche scheletro nell’armadio e, dunque, nessuno può permettersi di levar la mano e scagliare la prima pietra: questa morale è frutto di un sillogismo falso e opportunistico, altrimenti e per assurdo sarebbe del tutto lecito legalizzare il furto, considerato che parecchi di quanti ci governano sono stati sorpresi con le mani nel sacco.
Che poi Porro difenda l’indipendenza della sua testata e neghi l’uso distorto e politico dell’informazione che dà ad esclusivo fine di killeraggio e quasi allucinante. Ne sa qualcosa Dino Boffo, già direttore de l’Avvenire e reo d’aver espresso il disagio dei cattolici per i comportamenti non proprio ortodossi e dignitosi del solito Berlusconi, bersaglio di una campagna calunniosa da regime iraniano, costretto a dimettersi schiacciato dai dossier farlocchi di Feltri e soci. Ne sa qualcosa Gianfranco Fini, passato per “concusso”, per affarista immobiliare, nepotista sfacciato e autotrasportatore di cucine, reo d’aver rotto con il sistema zarista del suo compagno di predellino e, dunque, meritevole d’essere trascinato nel fango e nel sospetto.
E chi potrebbe sicuramente affermare che se la penna di Porro non fosse stata fermata dall’intervento della magistratura non sarebbe fiorito un caso Marcegaglia con il letame che si suole accumulare in via Negri 4 a Milano?
A noi non interessa sapere se Porro fosse colpevole o innocente, né se stesse effettivamente scherzando o minacciasse realmente. A noi interessa che cessi l’uso improprio dell’informazione allo scopo di insinuare il sospetto o infangare avversari e nemici, l’uso improprio come grimaldello per ridurre in cattività il dissenso e il diritto di critica.
E visto che la predica di Porro proviene da un pulpito maleodorante e compromesso, vorremmo fargli una proposta che ne accrediti la buona volontà e le intenzioni di riscatto: ci racconti con analoga dovizia di particolari, tignosa precisione ed eventuale sdegno cosa sa delle fortune del suo padrone e dei metodi con i quali ha messo su il suo impero, magari cominciando della miriade di società off-shore di cui si avvale per inconfessabili progetti, società off-shore che nelle lunghe disquisizioni sulla correttezza e la trasparenza di Fini lo hanno costretto a confessare il profondo sconcerto e disgusto.
(la vignetta è tratta da Il fatto quotidiano del 12.10.10)
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