lunedì, ottobre 04, 2010

Lettera virtuale di un (ex) operaio a Berlusconi

Lunedì, 4 ottobre 2010
Caro Presidente,
sono un operaio senza lavoro, lavoro che ho perso dopo un lungo periodo di cassa integrazione, che non ha evitato però che l’azienda effettuasse una ristrutturazione, - come si dice in gergo tecnico, - per far fronte alla situazione di gravissima crisi in cui diceva di versare e mandare a casa dieci dipendenti. Così, a 56 anni d’età e 36 anni di contributi, mi ritrovo senza lavoro, senza un reddito, una moglie, due figli ancora in cerca di prima occupazione e, cosa ancor più grave, senza alcuna speranza di uscire dal tunnel nel quale involontariamente sono stato cacciato, visto che l’età anagrafica non mi permette di confidare nella possibilità di trovare una nuova occupazione.
Non ho nemmeno il conforto di sperare nella pensione, speranza che m’ha ucciso Maroni, - ma le confesso che al tempo in cui fu fatta quella prima riforma lavoravo senza pensieri e mi sembrava persino giusto, - e sepolto Prodi, che ha preso per i fondelli i lavoratori con la promessa di rivedere il maledetto scalone, - ma s’è inventato gli scalini, come un geometra di terz’ordine, - che il suo ministro Sacconi ha pensato bene di alzare di qualche centimetro, senza che i “paladini del proletariato”, Bonanni, Angeletti ed Epifani abbiano mosso un dito.
Lei mi dirà che da questi personaggi c’era d’aspettarselo. O meglio, c’era d’aspettarselo dalla CGIL, perché sia la UIL che la CISL hanno invece dimostrato quel senso di responsabilità che i “rossi” non possiedono e, dunque, non hanno mosso un solo dito, per connaturata insipienza e propensione a fregare i lavoratori con grandi discorsi e pochi fatti.
Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un iscritto alla CGIL, ma debbo confessarle che allo stato delle cose non condivido affatto il “senso di responsabilità” di CISL e UIL , non fosse perché il disoccupato sono io e il miraggio della pensione è adesso svanito anche me, per ragioni d’età e di contributi che non so più come racimolare.
Non ho neanche il conforto che i miei due figli, disoccupati anche loro, ma con tanto di laurea conquistata a prezzo di durissimi sacrifici di tutta la famiglia, possano contribuire al sostegno di casa, perché sa bene che lavoro non se ne trova e, se per caso viene fuori quella che qualcuno con una vera bestemmia chiama “opportunità”, si tratta di lavoretti precari e spesso in nero: call center, vendita di prodotti assicurativi, assunzioni a progetto e così via, che non offrono alcun futuro e finiscono spesso per mortificare chi accetta solo per disperazione.
L’unica risorsa che possiedo è la casa, un modesto appartamentino di tre locali con servizi, comprato con un mutuo fortunatamente finito, tenuto in condizioni dignitose da quella santa donna che condivide la mia disperazione e che ho sposato tanti anni fa, ma che è nel degrado del Giambellino, che non devo certo illustrare a lei che è di Milano. Ma in ogni caso, non penso di liberarmene per poter sopravvivere, perché dopo l‘unico posto in cui dormire sarebbero le arcate dei Navigli o i corridoi della Centrale, fra i tanti barboni, visto il prezzo degli affitti qui a Milano.
Eppure, caro Presidente, sono un suo elettore, uno che ha votato convinto che lei potesse cambiare l’Italia e dare a me, come ai tanti che l’hanno scelta, quel benessere e quelle certezze che ci aveva promesso e da troppi anni ci mancano. Invece, niente è cambiato in positivo, ma tante cose sono peggiorate, a cominciare dal lavoro che, con la scusa della crisi, è venuto a mancare mentre il costo della vita si è fatto insostenibile.
Ho seguito in questi giorni i suoi interventi sia alla Camera che al Senato per richiedere la fiducia dopo il voltafaccia di Fini e i suoi e debbo dirle che mi ha particolarmente colpito il suo aneddoto sull’intervento che dice di aver fatto su Obama all’indomani del fallimento della Lehrman Brothers. Lei ha raccontato di aver passato un’intera giornata con Il Bello e Abbronzato, come lo ha definito scherzosamente, per convincerlo a mettere in gioco ben 700 miliardi di dollari per sostenere l’economia americana e, di riflesso, quella mondiale. La cosa m’ha fatto immensamente piacere, sebbene mi dispiaccia che non abbia avuto lo stesso potere persuasivo su Tremonti, che non ha esitato a tagliare spesa sociale e pensioni, mandando così un chiaro segnale che a pagare le crisi sono sempre i più deboli. A questo proposito mi verrebbe da chiederle perché non sia stato usato lo stesso metro nei confronti degli evasori conclamati, che hanno invece goduto di un tappeto rosso per far rientrare il frutto dei loro reati in Italia grazie allo scudo fiscale.
Queste scelte, caro Presidente, non hanno alcuna giustificazione e le sue parole, sistematicamente contraddette dai fatti e dalle azioni dei suoi ministri, mi fanno sorgere il dubbio che per quanto i suoi detrattori non siano stinchi di santo abbiano ragione quando dicono che lei sta nel posto che occupa solo per curare i fatti suoi, - vedi l’interminabile guerra ai giudici, le infinite storie sui provvedimenti per non farsi processare, e non ultimo il grandissimo regalo che s’è fatto con la vergognosa vicenda Mondadori, - possibilmente con qualche favore a chi sta già bene, giusto per rinforzare l’amicizia e ottenerne l’appoggio, e qualche goliardata populista alla gente, che preferisce i simpatici ai predicatori gigioni come Bersani o Casini.
Se ciò che comincio a sospettare non dovesse corrispondere a verità, la prego di smentirmi, ma non con le chiacchiere, ma con provvedimenti veri, che ripristinino il diritto al lavoro e ad un’esistenza dignitosa a quanti sono in procinto di perdere il posto o l’hanno perso come me o ai tanti giovani che non trovano occupazione o sono costretti a prostituirsi per quattro miserabili soldi con occupazioni precarie e senza futuro. Non consenta alla Gelmini di pensare solo alla scuola dei ricchi, ma le rammenti che l’istruzione è un diritto irrinunciabile per tutti i cittadini. E se quest’è vero, non può tagliare classi, imbottendo quelle restanti di 35 alunni, lasciando a casa migliaia d’insegnanti per risparmiare sui costi dell’apparato. Richiami piuttosto, che so, Bertolaso affinché si faccia qualche massaggio in meno o qualcuno che usa l’auto di servizio con tanto d’autista pagati dai contribuenti per fare scorrazzare figli, mogli e amanti. Pensi al degrado della rete stradale e ferroviaria della Calabria o della Sicilia, invece di investire in progetti faraonici di ponti sullo Stretto, che quando ultimati serviranno solo a rimpinguare le casse di chi ne avrà la gestione, dato che i pedaggi sono previsti esosi e la gente comune continuerà ad utilizzare i traghetti della Caronte. Nel frattempo la gente è costretta per muoversi su strade che è già un complimento chiamare tali, dove da decenni non compare una pala o un piccone e un camion di bitume per fare la normale manutenzione. Forse son cose che le sfuggono, visto che lei si muove in Lombardia di preferenza e, se va altrove, usa aerei ed elicotteri, che le evitano di prendere atto degli immensi disagi che subisce chi ogni giorno è costretto a muoversi per le strade della Campania, della Puglia, o della dimenticata Sardegna. Io ho parenti al Sud, - grato se vorrà non dirlo a Bossi, - e in quelle rare occasioni in cui le finanze me lo hanno permesso e sono andato a trovarli mi son reso conto che sarebbe stato doveroso fare testamento, considerato che sai quando parti ma non se o quando torni.
Io, nonostante tutto, caro Presidente, continuerò a sperare e a sostenerla, ma non vorrei che tanta gente con quest’andazzo insopportabile perdesse la fiducia che io invece ancora conservo e, alla fine, delusa e indispettita, desse sfogo alla rabbia repressa che ha accumulato dentro per troppo tempo e le si rivoltasse contro.

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