sabato, settembre 24, 2011

L’uomo che sussurrava alla patonza

Sabato, 24 settembre 2011
Marco Milanese è salvo. Non andrà in galera com’era successo ad Alfonso Papa, ma continuerà a godersi i suoi 19.500 euro netti mensili, salvo arrotondamenti, in piena libertà, mentre il corso della giustizia proseguirà claudicante e lui avrà la possibilità d’inquinare le prove più di quanto non abbia già fatto nel periodo tra la richiesta d’arresto e la pronuncia della cosca cui competeva autorizzare quella richiesta.
Evviva! Siamo contenti che ancora una volta abbia trionfato la legalità, che ancora una volta la Camera, che sempre più somiglia al un boudoir d’un bordello primi novecento, abbia impedito che uno dei suoi clienti per colpa di una magistratura proterva si dedicasse al gioco degli scacchi invece di perseverare nella pratica delle camarille arrangione e arraffone.
Sì, perché se è giusto chiudere in gattabuia il pensionato sorpreso al supermercato con un pezzo di parmigiano nelle mutande è altrettanto giusto lasciare in libertà chi manovra nomine d’alto rango nella guardia di finanza o pilota appalti per favorire gli amici e gli amici degli amici. E’ la logica sfuggente all’uomo della strada del valore aggiunto intrinseco: il pensionato rubacchia per mangiare, dunque fa bene solo a se stesso. Il secondo mette in moto in qualche modo il volano della moltiplicazione della ricchezza: un appalto truccato è comunque un appalto e c’è sempre gente che lavora anche dietro un affare sporco.
Certo farlo capire alla base della Lega non sarà cosa facile. Spiegare al Padano medio che il nonnetto è un gaglioffo e il politico con il vizietto è un benefattore è impresa ardua, dato che il seguace del Carroccio non ha notoriamente una grande apertura mentale e, in quanto a finezze logiche lascia un po’ a desiderare. Poi son concetti che per essere compresi richiederebbero anche una certa dose di cultura, requisito che i bossiani possiedon poco, intenti come sono da sempre a far la guerra alla grammatica prima ancora che a quella Roma ladrona di cui han sentito parlare e che sanno essere collocata a sud del Po e nulla più.
Un esempio a conferma di questa mesta verità? Gli slogan altisonanti su un’improbabile secessione – da qualcuno scambiata per pratica più confortevole di accomodamento sul bottino – corroborati dal pensiero che va sull’ali “d’orate”. D’altra parte, tra un delfino e un trota che al valligiano di San Pellegrino o di Val d’Ossola le idee si siano confuse è più che legittimo.
Certo è che digerire l’ennesima assoluzione forzata di un sospetto delinquentello a quelli della Val Trompia non è andato proprio a genio e così hanno protestato verso un vertice di partito che si appiattisce sull’immagine delle tante congreghe affariste rappresentate dagli altri movimenti politici, sciroppandosi puntuali la censura di Calderoli e soci, padre-padroni di una falange sempre più allo sbando.
Nel frattempo, nel palazzo regio, il satrapo Berlusconi continua imperterrito a resistere, piantando qualche chiodo ulteriore tra la giacchetta e la sedia sulla quale spalma le regali terga, sì da rendere più difficoltoso il suo prematuro defenestramento, incurante del coro ormai perpetuo di quanto pregano, suggeriscono, richiedono, auspicano, gridano che se ne vada con i suoi piedi e non sotto il pungolo del forcone di qualche sconsiderato che prima o poi potrebbe riuscire ad eludere la sorveglianza e irrompere nelle sue stanze per tentare di risolvere con metodi sommari la sua presenza ingombrante e perniciosa al timone del Paese.
Ma lui non sembra preoccuparsene più di tanto, intento come dev’essere a “far girare la patonza” e a sussurrare a fior di labbra lascivi pensieri alla pulzella di turno.
Ancora ieri, colta dall’occhio indiscreto di qualche telecamera nascosta, l’ape regina, al secolo Sabina Began, è andata o trovarlo nelle stanze imperiali, non è data sapere la ragione, anche se sembrerebbe legittimo pensare che un ripasso di com’è fatta la patonza non guasti ad una certa età, quando la memoria si fa più labile e il rischio della confusione s’ingrandisce pericolosamente. Di certo c’è che il buon presidente del consiglio, così attento al rispetto delle leggi che tutelano la privacy, - la sua, - non avrà gradito le riprese dello spione e, venutolo a sapere, avrà incaricato qualche caicco della sua ciurma di preparare un disegno di legge che parifichi queste riprese alle intercettazioni telefoniche e ne vieti l’esercizio e la diffusione.
E in fine, che dire di Tremonti, quel Giulio senza fissa dimora ospite a sua insaputa in una casa pagata dal suo stretto collaboratore Marco Milanese, che profittava di quella gentile e disinteressata concessione al capo per abusare spudoratamente del potere che gliene derivava? E’ per certi versi un altro caso Scajola, con la differenza che Giulio s’è veramente incazzato di scoprire che veniva utilizzato a sua “insaputa” e allora non solo ha tagliato i ponti con l’infido segretario, ma non è andato neanche a votare in Parlamento per una sua condanna o per un’assoluzione. Ha preferito andarsene ad una riunione del Fondo monetario, così adducendo un legittimo impedimento che va tanto di moda.
Peccato che Bossi e Berlusconi, inventori dell’obbrobrio giuridico a proprio vantaggio, ma contrari a far proliferare l’ennesima guarentigia, non abbiano gradito e si siano ritrovati ancora una volta alleati nel giurare all’infingardo, - che ha messo a repentaglio con il non suo voto la tenuta del governo, - che pagherà carissimo il comportamento tenuto.
Chissà se l’uno, che si dedica al pediluvio con l’acqua del Po, e l’altro, intento a mormorare suadenti confidenze alla patonza, avranno l’accortezza di meditare durante le loro pratiche che la caduta di Tremonti sarebbe l’atto conclusivo e augurabile di una lunga e disgraziata avventura per l’Italia.

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