mercoledì, settembre 14, 2011

Quando la vita è una caserma

Martedì, 14 settembre 2011
Sino a questo momento gli ordini impartiti da palazzo Grazioli e da via Bellerio sono stati rispettati alla lettera: la manovra economica è stata licenziata dalla Commis-sione della Camera senza che una virgola sia stata cambiata e, adesso, sarà l’aula di Montecitorio a dover dare prova di come gli ordini debbano essere eseguiti senza alcuna possibilità di discussione.
D’altra parte, in questo scorcio di fine estata in cui la legislatura sembra avviata sul viale del tramonto, pare d’assistere alla ritirata di Gheddafi, con i ribelli che incalzano e i cosiddetti lealisti che obbediscono tacendo senza arretrare d’un metro, pronti a morire nella difesa di quel che appare più un simulacro che un ideale vero e proprio. E che la rissosa corte del centro-destra si sia trasformata in una sorta di caserma in cui Bossi intima cosa e come votare ai suoi o Berlusconi-Alfano impongono i comportamenti da tenere alle proprie truppe è un data di fatto, con la conseguenza che la maggioranza alla Camera obbedirà alla richiesta del governo di non rimaneggiare la manovra e di procedere alla sua approvazione.
Le diffide inviate a Tosi, sindaco di Verona, che continua a ripetere che Berlusconi è ormai cotto e deve fare un passo indietro, e a Fontana, sindaco di Varese e presi-dente dell’Anci, cui è stato inibito di partecipare alla manifestazione di protesta or-ganizzata proprio dall’Associazione dei Comuni contro i beceri tagli imposti alle amministrazioni locali, la dicono lunga sul clima di Repubblica di Salò che regna in casa leghista e in generale nell’area di maggioranza. Si guardi anche al caso Milanese, dove gli ordini di scuderia sono stati inequivocabili: no all’autorizzazione all’arresto in Giunta, ma libertà di coscienza per il voto in aula. Come dire Alfonso Papa non ha padrini e quindi va in galera. Milanese è “amico” di Tremonti e forse va salvato dalla gattabuia. Questi sono gli ordini e, com’è buona regola, gli ordini non si discutono.
Sul fronte manovra, l’opposizione ha presentato i suoi emendamenti, già tutti di-scussi e tutti respinti dalla commissione Bilancio, sebbene alcune proposte presen-tate dal Pd però siano state giudicate, non senza imbarazzo, interessanti anche da Pdl e Lega. Una in particolare è piaciuta al presidente della commissione, Giancarlo Giorgetti, autorevole esponente lumbard vicino al ministro Maroni. Si tratta di un emendamento firmato dal capogruppo dei Democratici in commissione, Pier Paolo Baretta, che obbligherebbe il governo italiano a seguire la strada già percorsa di recente da Germania e Gran Bretagna: stringere un accordo fiscale con la Svizzera per combattere l’evasione e l’esportazione clandestina di capitali.
Per stanare questi cittadini furbetti e infedeli e costringerli a pagare le tasse i governi predetti hanno trovato una soluzione assai semplice rappresentata da un’intesa che fissa criteri di tassazione dei capitali stranieri ospiti delle banche svizzere. Con la nuova intesa i cittadini tedeschi che hanno patrimoni in Svizzera non dichiarati al loro Paese dovranno pagare una imposta (anonima, perché il governo elvetico ha ottenuto il mantenimento del segreto bancario) del 26 per cento. All’incirca l’aliquota in vigore in Germania, alla faccia dello scudo del 5% regalato dal nostro governo agli evasori italiani.
Secondo le ultime stime, i capitali italiani non dichiarati e portati in Svizzera oscille-rebbero tra i 130 e i 230 miliardi di euro e, dunque, lo stesso accordo frutterebbe alle nostre dissestate casse statali tra i 5 e i 9 miliardi, sia pure una tantum. Insomma almeno quanto l’aumento dell’Iva, se non di più. Perché allora non seguire l’esempio di Germania e Gran Bretagna? Il ministro dell’Economia Tremonti pare sia ostile a questa soluzione, non si capisce perché. Ma a Giorgetti, politico riservato e competente, evidentemente l’accordo con la Svizzera piace. Tanto che sabato scorso in commissione ha sollecitato caldamente il Pd a ripresentare in aula l’emendamento sotto forma di ordine del giorno, vale a dire un documento che non modifica il testo della manovra, ma che, se approvato, impegnerebbe il governo a seguire quella strada.
Ora sorgono spontanee delle domande. Perché Giorgetti, che partecipa spesso ai vertici Lega-Berlusconi-Tremonti, non ha portato a quel tavolo, in cui si prendono le decisioni, questa proposta? O perché non ha presentato un emendamento? O al-meno, perché non avanza lui un ordine del giorno in aula, che avrebbe un peso maggiore, invece di “sperare” che lo faccia il Pd? Ma non eravate voi a possedere la golden share del governo? Non è che per presentare una proposta v’è stato ordinato di consultare prima il Trota? Che se così fosse, si capirebbe il vostro imbarazzo: spiegare al giovanotto di belle speranze cos’è un emendamento richiederebbe tempi tali da consentire alla crisi di fare tutti i suoi disastri. Un po’ più di coraggio e d’indipendenza onorevoli lumbard, ché la vita della caserma garantirà pure un lauto stipendio (salvo per demagogia, sputare nel piatto in cui si mangia), ma spesso mortifica l’orgoglio di pensare con il proprio capoccione!

(nella foto, Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione Bilancio della Camera)

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