sabato, aprile 07, 2012

Governo bugiardo e imprenditori delusi

Sabato, 7 aprile 2012
Finalmente butta giù la maschera e nel farlo la strappa anche dal viso di Mario Monti e di Elsa Fornero, che tanto avevano insistito con proclami di rilancio dell’occupazione e ripartenza dell’economia con la riforma dell’articolo 18.
A smascherarsi è Emma Marcegaglia, quel presidente di Confindustria ormai passato tra i past dopo la designazione di Giorgio Squinzi, patron della Mapei, alla guida del sindacato degli imprenditori. Le sue dichiarazioni velenose alla volta di Mario Monti, reo di aver “tradito” il non svelato patto per cancellare definitivamente i diritti dei lavoratori o, se si preferisce, quello per ottenere la libertà incondizionata di licenziare, che nulla ci azzecca con le ipocrite dichiarazioni di rilanciare con quella riforma l’occupazione e la ripresa dell’economia.
Lo stesso Monti, dichiarando che in altri tempi «mai gli imprenditori avrebbero potuto aspettarsi una modifica dell’articolo 18 che dà loro la possibilità di ricorrere ai licenziamenti per motivi economici», ha confermato l’esistenza del patto scellerato, stipulato sulla pelle dei lavoratori e spacciato per elemento di potenziale nuovo sviluppo atto a promuovere «investimenti stranieri nel nostro Paese, altrimenti scoraggiati dalla rigidità del mercato del lavoro».
Si trattava di una bufala, maldestra, attaccata da decine di economisti di fama internazionale, e confermata oggi dal livore di una Marcegaglia che, in fondo, porta a casa ben poco da una trattativa estenuante tesa a ribaltare il senso di decenni di lotte operaie. E’ il volto protervo del capitalismo sfruttatore che emerge, quel capitalismo che, a dispetto dei tempi, ritiene che le proprie fortune rimangono ancorate ad imprescindibili forme di schiavitù della forza lavoro. Quel capitalismo malvagio e negriero impersonato da Marchionne e da quella intellighenzia padrona, che ha cercato in questa lunga congiuntura negativa di rigenerare le armi infami di sfruttamento delle classi deboli.
E il dissenso di Marcegaglia è ancora più cocente se, come sottolinea, deve sopportare persino un irrigidimento delle regole che oggi, come nel vecchio west, governano l’entrata nel mondo del lavoro: oltre quaranta tipologie contrattuali, che rendono precaria la stabilità del rapporto di lavoro e hanno permesso l’elaborazione di metodi scientifici di sfruttamento. Questa pratica nobilitata dal termine "flessibilità" non sarà più consentita, essendosi ristretto il campo del ricorso ai contratti a termine e avendo previsto nella nuova normativa un aggravio contributivo a disincentivo delle poche formule di temporaneità consentita. Poco rileva per la proterva presidente degli industriali che, nel tempo, l’uso della flessibilità sia divenuto un abuso generalizzato, con proliferazione di partite IVA, associati in partecipazione, contratti a progetto e sconce amenità varie.
Ad avviso di Marcegaglia l’onere di inquisire sulla correttezza della contrattualistica avrebbe dovuto essere delegato ai disastrati Ispettorati del lavoro, che in quanto tali nel retrocervello della presidente avrebbero di certo garantito la sopravvivenza di condizioni di lavoro ai margini della legalità o strumenti di ricatto in mano ai datori di lavoro degni di epoche colonialiste. Dimentica poi Marcegaglia – o finge piuttosto d’ignorare – che grazie a quell'emblema dello sfruttamento programmato, Silvio Berlusconi, era stata cancellata la norma, ora reintrodotta, che vietava le dimissioni in bianco, alle quali l’imprenditoria più delinquenziale fa ricorso da sempre nei confronti di parecchi dipendenti e, in particolare, delle donne, che potenzialmente, causa lo stato di gravidanza, non offrono alcuna garanzia di continuità lavorativa. E allora cosa c’era di meglio che garantirsi in questi casi il ricorso al licenziamento mascherato da dimissioni? Senza contare poi le partite IVA fasulle, quelle imposte per simulare rapporti di lavoro professionali, dunque escludenti la subordinazione, ma in realtà con un reddito per il lavoratore proveniente da un unico rapporto di collaborazione professionale. Secondo Marcegaglia l’obbligatorietà di trasformare questi rapporti di lavoro in subordinati è un abuso che renderà infelici parecchi giovani desiderosi di intraprendere un rapporto di lavoro indipendente (sic!). Naturalmente la signora imprenditrice non si rende conto dell’ironia che suscita una tale idiota affermazione: sarebbe come concludere che il barbone, in cerca quotidiana di un pasto per sfamarsi, si sentisse frustrato dal mettergli a disposizione una mensa gratuita.
Ma la conferma di una farsa amara ai danni della fede pubblica Marcegaglia la rilascia quando a domanda precisa commenta la valenza della riforma ai fini del rilancio occupazionale. Sostiene infatti l’ex capo degli industriali che la riforma dell'articolo 18 non è la panacea della crescita. E’ un fattore che può influire, a condizione che insieme con i meccanismi del mercato del lavoro si riformi la burocrazia, si operi sugli investimenti in formazione e innovazione, si investa massicciamente sulle infrastrutture e si lavori all'abbassamento dell’imposizione fiscale. Come dire, un’ammissione piena che la trattativa forzata di Fornero e Monti è stato un espediente per tentare di scardinare ciò che le imprese considerano barriere alla loro libertà di impiego del fattore lavore e non l’elemento cardine di un processo di rilancio dello sviluppo.
Non c’è che dire. Una riforma quella del mercato del lavoro che nasce sotto i peggiori auspici e che non mancherà di creare nuove occasioni di contrazione dell’impiego, proprio alla luce di meccanismi che, se non accompagnati da interventi di finanziamento della crescita economica, finiranno per rivelarsi elemento di penalizzazione per i soliti noti.

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