Il Carroccio dell’ipocrisia
Mercoledì, 4 aprile 2012
Sarebbe troppo facile in questo caso mutuare il famoso “chi di spada ferisce, di spada perisce”, non fosse per la sottintesa nobiltà d’intenti che per certi versi soggiace all’affermazione medesima.
Quella di Bossi e della Lega è, invece, una storia di fango, per non dir di peggio. Un’ordinaria storia tutta italiana contrassegnata da roboanti dichiarazioni di trasparenza, d’onestà cristallina, di buon governo, mista ad insulti e sberleffi al Paese, alle sue istituzioni, alla politica ladra e corrotta dei palazzi romani, ai terroni, agli immigrati e a quanto di più spregevole abbia individuato negli anni la mentecatta “cultura” da postribolo del Carroccio.
«Denuncerò chi ha utilizzato i soldi della Lega per sistemare la mia casa. Io non so nulla di questa cose e d'altra parte, avendo pochi soldi, non ho ancora finito di pagare le ristrutturazioni di casa mia » ha dichiarato ieri sera Umberto Bossi, incurante di quanto queste parole richiamino le ridicole affermazioni di un altro inquisito di rango, l’ex ministro Scajola, a cui qualcuno, a sua insaputa, aveva acquistato un prestigioso appartamento a Roma con vista Colosseo.
Eppure, nonostante queste indignate prese di distanza, tre procure indagano su vicende che vedono coinvolto il leader leghista e il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito: Milano, Napoli e Reggio Calabria. In uno dei decreti di perquisizione, quello della procura di Milano, si parla senza mezzi termini di «esborsi effettuati per esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord» e l’affermazione è talmente grave da lasciar presupporre che nessun magistrato sarebbe talmente matto da promuovere disinvoltamente un’accusa del genere senza uno straccio di prova in mano.
Francesco Belsito, tesoriere della Lega Nord e, naturalmente, uomo di grande fiducia di Umberto Bossi. Un uomo dal passato più che equivoco. Nato e cresciuto in quella Liguria che, pur non essendo uno degli epicentri del Carroccio, ha sempre garantito al partito di Bossi soddisfacenti risultati elettorali anche nei periodi più bui del movimento in camicia verde. In realtà, il curriculum leghista del quarantunenne Belsito non affonda un granché le radici nel tempo: prima di virare al verde (nel 2002), il futuro tesoriere preferiva l'azzurro di Forza Italia, nella quale era approdato dopo un’esperienza da buttafuori di discoteche e night club, con il ruolo di autista e sbrogliafaccende di Alfredo Biondi. Eppure è proprio nell'humus leghista ligure che germoglia la carriera fulminante di Belsito.
Conquistata la fiducia della famiglia Bossi e del cosiddetto "cerchio magico" che circonda il leader, - la moglie, l’ex pasionaria del Sindacato Padano Rosi Mauro, oggi senatrice della repubblica, Roberto Calderoli e qualche altro intimo, - nel 2009 ottiene il ruolo di custode del tesoro del Carroccio in sostituzione del corregionale Maurizio Balocchi, plenipotenziario della Lega a Chiavari. Quando Balocchi scompare prematuramente nel febbraio del 2010, Belsito eredita da lui anche una poltrona di governo come sottosegretario nel ministero calderoliano della Semplificazione normativa. A queste cariche il tesoriere leghista aggiunge quella di segretario del partito nell'area del Tigullio, oltre ad altre responsabilità di prestigio come, tra le altre, la vice presidenza della Fincantieri.
Belsito rimane sconosciuto alle cronache finché qualche mese fa non emerge il caso dei sorprendenti investimenti che il tesoriere ha fatto con i quattrini leghisti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia. In primis il quotidiano genovese Il Secolo XIX e poi altri iniziano a passare al crivello la biografia di Belsito e scoprono vari punti controversi. Ex buttafuori nelle discoteche della Riviera, ex titolare di un'impresa di pulizie, Belsito in diversi curricula ha persino fornito notizie divergenti se non fantasiose sui suoi titoli di studio. Ma tutto ciò non serve certo ad intaccare la stima di Bossi e dei suoi fedelissimi, che in tutta evidenza ben avevano da guadagnare dagli equivoci maneggiamenti del valente tesoriere, che, stando alle ipotesi di reato, si prendeva affettuosamente cura delle necessità del capo, dei capricci del suo rampollo Trota e delle spesucce cui andava incontro qualche componente del cerchio magico, come Rosi Mauro.
Ieri, comunque, dimostrando un senso della dignità esemplare, il signor Francesco Belsito ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica di partito, sebbene le stesse siano arrivata non tanto spontaneamente, ma dopo una seduta fiume della direzione della Lega, in cui Roberto Maroni, da sempre in rotta di collisione con la cosca che ne detiene il potere, ha tuonato con richieste di pulizia radicale all’interno del partito, «cominciando dalla nomina di un nuovo amministratore capace di aprire tutti i cassetti».
«Sono stato io a chiedere a Belsito si dimettersi, per fare chiarezza. E lui si è dimesso», ha aggiunto Bossi. «Vogliono colpire la Lega e quindi colpiscono me, mi sembra che sia iniziata la prossima campagna elettorale», ha concluso, disvelando quanto quel senso della dignità cui prima s’accennava sia stato del tutto incidentale rispetto all’esigenza di liberare il partito da un elemento di fortissimo disturbo nella lotta in corso tra la vecchia guardia oltranzista e radicale, di cui è indiscussa immagine, e il montante dissenso, rappresentato dall’ala moderata progressista, di cui Maroni è la voce più autorevole.
Certo è che in seguito all’esplosione del caso e soprattutto a causa dei controversi investimenti esotici fatti da Belsito con i soldi provenienti dalla cassa del partito, benché i vertici leghisti abbiano sempre cercato di minimizzare, numerosi militanti (e anche alcuni esponenti di primo piano come il milanese Matteo Salvini) hanno manifestato senza troppe dissimulazioni le loro perplessità sull'operato del tesoriere. E nel contesto della lotta di potere che da tempo agita la Lega non era un mistero che i fedeli a Roberto Maroni avessero scarsa simpatia per Belsito e guardassero con sospetto la sua affiliazione a quella che, con ruvido gergo leghista qualcuno aveva battezzato “la famiglia terrona", - il famigerato cerchio magico in cui hanno avuto un ruolo di spicco la moglie di Bossi, Manuela Marrone, e la vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, entrambe nate un po' più a sud del vagheggiato confine padano.
Adesso si attendono nuovi sviluppi, ma certo è che l’immagine di Bossi esce profondamente compromessa dalla vicenda, compromessa non solo moralmente, stando almeno agli sviluppi dell’indagine in corso.
E la vicenda, degna di un feuilleton di bassa lega, - ci si perdoni il gioco di parole, - conferma la teoria d’un vecchio saggio: dove ci son campane ci son puttane. La Lega Nord, per tanti anni emblema di un’intolleranza esasperata al grido di “tutti disonesti e corrotti”, oggi alla luce dei tanti indagati al suo interno per storie di corruzione – leggi Davide Boni - o pericolose frequentazioni di mafiosi e delinquenti – vedi le equivoche aderenze dello stesso Belsito – sta dimostrando quanto la teoria sia vera nei fatti, con ciò disvelando quanto nel tempo abbia fatto presa sostanzialemte grazie alla profonda sprovvedutezza dei suoi grezzi adepti e alla spregevole ipocrisia dei suoi portabandiera, non certo per le sue smentite qualità, che non la rendono estranea allo squallore generale e all'infezione mortale che affligge la politica nostrana.
(nella foto, il prode ex tersoriere della Lega Francesco Belsito in compagnia del suo segretario Umberto Bossi)
Quella di Bossi e della Lega è, invece, una storia di fango, per non dir di peggio. Un’ordinaria storia tutta italiana contrassegnata da roboanti dichiarazioni di trasparenza, d’onestà cristallina, di buon governo, mista ad insulti e sberleffi al Paese, alle sue istituzioni, alla politica ladra e corrotta dei palazzi romani, ai terroni, agli immigrati e a quanto di più spregevole abbia individuato negli anni la mentecatta “cultura” da postribolo del Carroccio.
«Denuncerò chi ha utilizzato i soldi della Lega per sistemare la mia casa. Io non so nulla di questa cose e d'altra parte, avendo pochi soldi, non ho ancora finito di pagare le ristrutturazioni di casa mia » ha dichiarato ieri sera Umberto Bossi, incurante di quanto queste parole richiamino le ridicole affermazioni di un altro inquisito di rango, l’ex ministro Scajola, a cui qualcuno, a sua insaputa, aveva acquistato un prestigioso appartamento a Roma con vista Colosseo.
Eppure, nonostante queste indignate prese di distanza, tre procure indagano su vicende che vedono coinvolto il leader leghista e il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito: Milano, Napoli e Reggio Calabria. In uno dei decreti di perquisizione, quello della procura di Milano, si parla senza mezzi termini di «esborsi effettuati per esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord» e l’affermazione è talmente grave da lasciar presupporre che nessun magistrato sarebbe talmente matto da promuovere disinvoltamente un’accusa del genere senza uno straccio di prova in mano.
Francesco Belsito, tesoriere della Lega Nord e, naturalmente, uomo di grande fiducia di Umberto Bossi. Un uomo dal passato più che equivoco. Nato e cresciuto in quella Liguria che, pur non essendo uno degli epicentri del Carroccio, ha sempre garantito al partito di Bossi soddisfacenti risultati elettorali anche nei periodi più bui del movimento in camicia verde. In realtà, il curriculum leghista del quarantunenne Belsito non affonda un granché le radici nel tempo: prima di virare al verde (nel 2002), il futuro tesoriere preferiva l'azzurro di Forza Italia, nella quale era approdato dopo un’esperienza da buttafuori di discoteche e night club, con il ruolo di autista e sbrogliafaccende di Alfredo Biondi. Eppure è proprio nell'humus leghista ligure che germoglia la carriera fulminante di Belsito.
Conquistata la fiducia della famiglia Bossi e del cosiddetto "cerchio magico" che circonda il leader, - la moglie, l’ex pasionaria del Sindacato Padano Rosi Mauro, oggi senatrice della repubblica, Roberto Calderoli e qualche altro intimo, - nel 2009 ottiene il ruolo di custode del tesoro del Carroccio in sostituzione del corregionale Maurizio Balocchi, plenipotenziario della Lega a Chiavari. Quando Balocchi scompare prematuramente nel febbraio del 2010, Belsito eredita da lui anche una poltrona di governo come sottosegretario nel ministero calderoliano della Semplificazione normativa. A queste cariche il tesoriere leghista aggiunge quella di segretario del partito nell'area del Tigullio, oltre ad altre responsabilità di prestigio come, tra le altre, la vice presidenza della Fincantieri.
Belsito rimane sconosciuto alle cronache finché qualche mese fa non emerge il caso dei sorprendenti investimenti che il tesoriere ha fatto con i quattrini leghisti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia. In primis il quotidiano genovese Il Secolo XIX e poi altri iniziano a passare al crivello la biografia di Belsito e scoprono vari punti controversi. Ex buttafuori nelle discoteche della Riviera, ex titolare di un'impresa di pulizie, Belsito in diversi curricula ha persino fornito notizie divergenti se non fantasiose sui suoi titoli di studio. Ma tutto ciò non serve certo ad intaccare la stima di Bossi e dei suoi fedelissimi, che in tutta evidenza ben avevano da guadagnare dagli equivoci maneggiamenti del valente tesoriere, che, stando alle ipotesi di reato, si prendeva affettuosamente cura delle necessità del capo, dei capricci del suo rampollo Trota e delle spesucce cui andava incontro qualche componente del cerchio magico, come Rosi Mauro.
Ieri, comunque, dimostrando un senso della dignità esemplare, il signor Francesco Belsito ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica di partito, sebbene le stesse siano arrivata non tanto spontaneamente, ma dopo una seduta fiume della direzione della Lega, in cui Roberto Maroni, da sempre in rotta di collisione con la cosca che ne detiene il potere, ha tuonato con richieste di pulizia radicale all’interno del partito, «cominciando dalla nomina di un nuovo amministratore capace di aprire tutti i cassetti».
«Sono stato io a chiedere a Belsito si dimettersi, per fare chiarezza. E lui si è dimesso», ha aggiunto Bossi. «Vogliono colpire la Lega e quindi colpiscono me, mi sembra che sia iniziata la prossima campagna elettorale», ha concluso, disvelando quanto quel senso della dignità cui prima s’accennava sia stato del tutto incidentale rispetto all’esigenza di liberare il partito da un elemento di fortissimo disturbo nella lotta in corso tra la vecchia guardia oltranzista e radicale, di cui è indiscussa immagine, e il montante dissenso, rappresentato dall’ala moderata progressista, di cui Maroni è la voce più autorevole.
Certo è che in seguito all’esplosione del caso e soprattutto a causa dei controversi investimenti esotici fatti da Belsito con i soldi provenienti dalla cassa del partito, benché i vertici leghisti abbiano sempre cercato di minimizzare, numerosi militanti (e anche alcuni esponenti di primo piano come il milanese Matteo Salvini) hanno manifestato senza troppe dissimulazioni le loro perplessità sull'operato del tesoriere. E nel contesto della lotta di potere che da tempo agita la Lega non era un mistero che i fedeli a Roberto Maroni avessero scarsa simpatia per Belsito e guardassero con sospetto la sua affiliazione a quella che, con ruvido gergo leghista qualcuno aveva battezzato “la famiglia terrona", - il famigerato cerchio magico in cui hanno avuto un ruolo di spicco la moglie di Bossi, Manuela Marrone, e la vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, entrambe nate un po' più a sud del vagheggiato confine padano.
Adesso si attendono nuovi sviluppi, ma certo è che l’immagine di Bossi esce profondamente compromessa dalla vicenda, compromessa non solo moralmente, stando almeno agli sviluppi dell’indagine in corso.
E la vicenda, degna di un feuilleton di bassa lega, - ci si perdoni il gioco di parole, - conferma la teoria d’un vecchio saggio: dove ci son campane ci son puttane. La Lega Nord, per tanti anni emblema di un’intolleranza esasperata al grido di “tutti disonesti e corrotti”, oggi alla luce dei tanti indagati al suo interno per storie di corruzione – leggi Davide Boni - o pericolose frequentazioni di mafiosi e delinquenti – vedi le equivoche aderenze dello stesso Belsito – sta dimostrando quanto la teoria sia vera nei fatti, con ciò disvelando quanto nel tempo abbia fatto presa sostanzialemte grazie alla profonda sprovvedutezza dei suoi grezzi adepti e alla spregevole ipocrisia dei suoi portabandiera, non certo per le sue smentite qualità, che non la rendono estranea allo squallore generale e all'infezione mortale che affligge la politica nostrana.
(nella foto, il prode ex tersoriere della Lega Francesco Belsito in compagnia del suo segretario Umberto Bossi)
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