La vittoria dell’astensione
Martedì, 22 maggio
2012
La competizione elettorale è passata in archivio e adesso si
tirano le somme tra le solite polemiche interpretative e la lettura di parte
del risultato del voto.
Mentre a prima osservazione dell’esito delle urne ci sono
responsi incontrovertibili su chi ha effettivamente conseguito un successo e
chi ha segnato un arretramento o, come nel caso della Lega Nord, una débâcle,
meno certa è l’assegnazione della vittoria alla destra o alla sinistra degli
schieramenti politici, poiché parlare di inversioni di tendenza a favore di una
compagine o di un’altra a fronte di un’astensione senza precedenti come quella
registrata, francamente, rischia di eludere l’interpretazione vera dei
risultati registrati.
Non ci interessa qui discutere del successo delle sinistre o
del crollo delle destre, peraltro ampiamente previsto e, dunque, del tutto
scontato; né, tantomeno, dell’affermazione del movimento di Grillo, che per la
prima volta conquista la guida di una grande città come Parma. Ciò che ci pare
degno di rilievo è invece la consistenza dell’astensione, del rifiuto di
recarsi al voto, del diniego di riconoscere ad una classe politica
irrimediabilmente sputtanata la legittimità di rappresentare quasi il 50% dei
cittadini, inconfutabilmente stanchi di delegare a ladri, corrotti, incapaci e
fauna annessa, la rappresentanza dei propri legittimi interessi e la capacità
di governare con la diligenza del buon padre di famiglia la cosa pubblica.
Chi, sull’onda dei risultati, ubriacato da sterile
revanchismo, dovesse sottovalutare quest’evidenza, il peso di un partito
silenzioso che conta il 49,6% dei cittadini, commetterebbe un gravissimo errore,
non rendendosi conto che il numero degli stomacati da un regime politico oltre
la frutta in quanto a credibilità è tale da preludere la potenzialità che tale
dissenso possa prima o poi manifestarsi in maniera più tangibile della semplice
astensione.
La questione nodale, dunque, si sposta dalla constatazione
che il centro-destra di Berlusconi e della Lega hanno miseramente fallito in
anni d’esercizio del potere basato sull’illusione e sulla corruzione dilagante
e punta alla rifondazione di un’etica che riaccrediti la politica nei confronti
dei cittadini, un etica basata sul buon governo, sulla riduzione degli sprechi,
sulla riqualificazione dei servizi, sulla ricostruzione di un rapporto
fiduciario fatto di contenuti e risultati, non certo sulla perpetuazione di una
propaganda vuota e velleitaria con la quale s’è distrutto persino il senso d’identità
nazionale e di riferimento istituzionale.
Per troppo tempo si è ripetuto che dal ’94 in poi, anno in
cui Berlusconi e le sue falangi si sono presentati alla ribalta della politica
nazionale, è iniziato un processo d’involuzione pernicioso di distruzione dello
stato, che non avrebbe avuto lunga vita, ma che avrebbe prodotto uno sfascio
tale da richiedere tempi lunghissimi per la ricostruzione. Nessun partito o
movimento durante tale processo di massacro sistematico è riuscito ad invertire
la rotta pericolosa imboccata. Al contrario, condizionato dall’apparente
successo della scenografia berlusconiana, s’è lasciato trascinare sul terreno
dell’emulazione, facendo sì che si perdessero tutti i riferimenti ideologici e,
giorno dopo giorno, s’ingrossasse la convinzione che le differenze tra le posizioni
politiche si fossero ormai ridotte ad
una gara improvvida tra bande organizzate per l’occupazione del potere, senza
distinzione di colore e di progetto. La crisi economica, particolarmente più aggressiva
nel nostro Paese segnato da anni di non governo e di clientelismo diffuso, ha
messo alle corde questa cultura del laisser
faire, laisser passer, dimostrando che la gente reclama una guida, un
orientamento, un sostegno chiaro e forte, particolarmente quando l’economia
evidenzia problemi di stabilità e le problematiche del lavoro e del benessere
sociale cominciano a mordere e creare incertezze alle condizioni di vita.
Certamente oggi ha sbagliato chi, sfiduciato dal
tradizionale scenario di riferimento, ha affidato le proprie speranze a qualche
movimento emergente senza storia e senza programmi come quello rappresentato
dall’ M5S di Beppe Grillo. E ciò non perché nei confronti di questo movimento o
dei movimenti simili ci debba essere un rifiuto preconcetto, quanto perché
questi movimenti sembrano sorti più sul sentimento di disperazione e di
accorata denuncia delle insufficienze di chi ha nei fatti fallito nell’adempiere
il proprio ruolo, che non sulla comprensibile adesione a progetti di governo
più incisivi e credibili. Il movimento di Grillo è purtroppo sino a questo
momento una scommessa, un incognita, in assenza di un programma su cose da fare
che vadano oltre la mera denuncia dei fallimenti altrui.
La certezza che rimane dopo questa fase elettorale è che i
partiti tradizionali, al di là dei successi registrati, dovranno lavora sodo in
vista dell’appuntamento elettorale nazionale del 2013, rifondandosi in termini
di progetto politico e d’immagine, facendo profonda pulizia al loro interno di
polveri e muffe di un passato poco edificante.
Solo chi avrà la capacità di realizzare una vera e propria
rifondazione al proprio interno sarà in grado di erodere consenso al
qualunquismo crescente e a quel partito della non politica che sembra ormai
aver saldamente conquistato la maggioranza del Paese.
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