mercoledì, gennaio 09, 2013

B. alla Gruber: «Ego me absolvo»



Mercoledì, 9 gennaio 2013
Il personaggio è di quelli tosti, di quelli con la risposta pronta e sempre malevola quando lo s’interroga su questioni per lui fastidiose o di cui magari ha un’idea approssimata. L’economia, poi, è materia sulla quale non vale la pena perdere troppo tempo. Ci sono le regole dell’amministrazione di casa che prevalgono sulle teorie e se sei con i debiti fino al collo, ma puoi ostentare un patrimonio d’una certa consistenza, magari valutato da te o da qualcuno che hai profumatamente pagato  per farlo stimare, allora il valore di quei debiti è inesistente.
E’ Silvio Berlusconi che parla ai microfono di  La 7 incalzato dalle domande di una bravissima Lilli Gruber, che con tatto e cautela fa il suo lavoro cercando di mettere in difficoltà l’ex Unto del Signore tornato in campo più baldanzoso che mai e che, con il solito stile, cerca di portarsi a casa il consenso di un elettorato disilluso ma afflitto da un anno terribile di terapia Monti.
Ma la crisi e la sua negazione, lo spread, la spesa pubblica cresciuta a quasi 2 mila miliardi durante il suo governo non richiederebbero un atto di contrizione ed una doverosa ammissione di responsabilità?
Le domande sono precise, ma il funambolo è preparatissimo e pronto a parare il colpo, con dichiarazioni ad effetto degne d’un populismo esemplare, fatto di terminologia artatamente semplice, affinché anche la massaia e l’uomo della strada non abbiano dubbi sulla sua piena innocenza. La crisi non c’era ai tempi del suo governo e chi afferma il contrario s’è fatto suggestionare dal metodo scorretto con il quale l’Europa ha tracciato al tempo il profilo dell’Italia, ritenuta prossima al default sol perché non si era tenuto conto del valore del sommerso, - quel sommerso che, secondo Berlusconi, costituisce un elemento economicamente rilevante per un paese come il nostro. Lo spread è un indicatore artificioso dello stato di salute dell’economia, poiché è frutto di una speculazione finanziaria che nulla  impatta sull’economia reale. E’ fuorviante e propagandistico collegare l’incremento dello spread con l’operato del suo governo, tant’è vero che dopo la sua uscita di scena, anche con Monti, è continuato a salire e ad altalenare per parecchi mesi: il merito del suo ridimensionamento è di quel genio di Draghi, voluto proprio da lui vincendo la contrapposizione di Sarkozy, e non certo dell’operato dell’esecutivo Monti, che ha ridotto in miseria il paese.
La spesa pubblica è stata lasciata nelle mani di Monti in perfetta salute, con un indebitamento al 120% del PIL. Sono state le iniziative di Monti e dei suoi ministri, la pavidità con la quale ha affrontato i tagli necessari alla spesa pubblica, tagli osteggiati dalle sinistre spendaccione, che hanno determinato un’ulteriore lievitazione dell’indebitamento.  Attribuire al governo Berlusconi la responsabilità dei mali del paese è una pura mascalzonata e fa parte di quella propaganda comunista persecutoria che da anni tenta di metterlo in difficoltà e farlo fuori dalla scena politica.
Esaurite le domande sulle questioni politiche ed economiche è naturale che il discorso debba scivolare sulle questioni personali, che sembrano quelle che hanno maggiormente pesato nella disaffezione di un elettorato stanco di processi, provvedimenti legislativi ad personam, festini e scandali con minorenni, separazioni e parenti presunti di leader arabi.
Ed è a questo punto che il colpo di coda del caimano sferza l’aria e manifesta tutta la sua potenza distruttiva. Su questo terreno, apparentemente pantanoso per chi crede di condurlo, Silvio Berlusconi ostenta una disinvolta capacità di movimento inimmaginabile, confermando per l’ennesima volta che il suo successo di fondo si basa sulla maestria con la quale è capace di trasformare inoppugnabili atti d’accusa in trame persecutorie spaventose, ordite da nemici occulti, comunisti irriducibili, invidiosi rosi dal livore, maestri dell’inganno e della menzogna ed altra odiosa feccia umana, disposta a vendere l’anima al demonio pur di vederlo morto. Lui è una vittima e non resta che dimostrarlo invertendo la logica delle cose.
Come non può muovere compassione un uomo integerrimo vittima di un accanimento giudiziario senza precedenti che ha subito ben 64 processi, peraltro messi in piedi da procure notoriamente rosse? Come può non suscitare sgomento la sorte di un imprenditore onesto e trasparente, che per di più da lavoro a 56 mila dipendenti, che è condannato a pagare la cifra astronomica di quasi 600 milioni ad un avversario, guarda caso anche lui comunista, per una sentenza avversa sul famoso lodo Mondadori? Ma come trattenere i singhiozzi davanti ad una vicenda da libro Cuore che vede un uomo preoccupato per le sorti di un’avvenente fanciulla, cacciata da casa persino con l’olio bollente, che cerca di salvare dalle patrie galere spacciandola per parente di Mubarak? E poco rileva che un intero parlamento sia stato convocato per legittimare la panzana, la bontà d’animo non ammette sconti neppure se a scomodarsi dovesse esser chiamato il Padre Eterno.
Sì, è vero che gli è stata inflitta una condanna in primo grado per vicende di presunta evasione fiscale, ma la condanna si basa su prove inesistenti costruite ad arte che saranno ribaltate in sede d’appello. Su questa storia, d’altra parte, chi sarebbe mai disposto a credere che un uomo che ha già pagato al fisco nel corso della sua vita da imprenditore la favolosa cifra di 7 mila miliardi di tasse abbia evaso qualche milioncino. Quella condanna è stata il frutto di un’azione delittuosa compiuta da un infimo impiegato, peraltro collettore di mazzette a proprio vantaggio, di cui lui, sfortunato, è chiamato indebitamente a rispondere. E quanto alla separazione dalla consorte, la condanna subita al pagamento di 36 milioni annui di assegno di mantenimento, oltre a 72 milioni d’arretrato, è il parto mostruoso di una corte di tre femministe di sinistra che hanno voluto impartirgli una dura lezione, che troverà i giusti correttivi in sede d’appello.
Con queste argomentazioni il nostro eroe è riuscito a guadagnarsi la cattedra, senza mancare nel finale della trasmissione di affondare il coltello nel petto della Gruber, rea di aver cercato di stringere i suoi compassionevoli sermoni autoassolutori sulle vicende personali, accusandola di scorrettezza  e faziosità nel modo di condurre l’intervista: «Il suo modo di fare televisione non è obiettivo. Ha usato il tempo solo per gli attacchi, non credo che giovi al suo ascolto e alla considerazione che di lei possono avere i telespettatori». E c’è voluta una Gruber, - già consigliata di recarsi da un buon otorinolaringoiatra dal gentilissimo ospite, - con tutta la pazienza e la buona educazione che la contraddistingue, per non rimbeccarlo a tono e perché l’arrogante personaggio non fosse già stato mandato a quel ben noto paese in più di un occasione durante i suoi sproloqui a senso unico e le insolenti considerazioni sul suo ruolo di conduttrice. Ma si sa, a quell’uomo le donne non sono mai piaciute a schiena dritta.
Speriamo che il popolo che ha assistito al mortificante show di ieri non si sia fatto abbindolare per l’ennesima volta ed abbia collocato la sceneggiata nell’archivio di quel teatro dell’assurdo che è solito ammannirci il Cavaliere dai microfoni più disparati, anche se, come recita un vecchio adagio, la madre dei cretini e sempre incinta e parecchi de suoi numerosi figli sono in giro, già maggiorenni e con tanto di diritto di voto.
(nella foto, Lilli Gruber con Silvio Berlusconi a Otto e mezzo di ieri sera)

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