Matrimonio d’interessi
Martedì, 8 gennaio
2013
Questo matrimonio non s’ha da
fare, né domani né mai!
Queste erano state le parole con
le quali s’era espressa la base leghista alcuni settimane or sono. Parole
riprese dalla famosa opera di quel Manzoni “padano” pronunciate da un bravo di
don Rodrigo all’orecchio di don Abbondio, incaricato di celebrare il matrimonio
tra Lucia Mondella e Renzo Tramaglino. Ma Roberto Maroni, sordo al diktat della
base del suo partito ha deciso che il matrimonio si poteva invece celebrare ed
ha concesso al PdL la mano di quella Lega, che, in verità, non risulta né
vergine né pudica alla stregua della ben nota Lucia Mondella.
Un matrimonio d’interesse, s’è
detto da più parti. Un matrimonio forzoso per non morire schiacciati dal peso
preponderante delle altre forze politiche in campo, paradossalmente forti di un
vantaggio concesso loro dalle incredibili stupidaggini commesse dagli stati
maggiori dei due sposi, che sperano con l’unione se non di recuperare il
terreno perduto, come dichiarano da provetti baüscia Berlusconi e Maroni, almeno di risollevarsi dal letame in
cui sono precipitati dopo le mille inchieste giudiziarie in cui sono stati
coinvolti i rispettivi partiti e dalle deludenti prove di governo offerte.
Ma questo matrimonio – dagli
effetti tutti da verificare ancora, visti i forti malumori in casa leghista
dopo l’annuncio – ha qualche obiettivo in più oltre a quello evidente di
rimettersi in gioco per entrambe le formazioni politiche. Non solo perché
Roberto Maroni correrà per aggiudicarsi la guida della Regione Lombardia. Non
solo perché il Cavaliere continua ad essere assediato da processi delicatissimi
ormai agli sgoccioli, come quello Ruby, della cui eventuale sfavorevole sentenza
può sperabilmente cercare di difendersi meglio da una posizione di parlamentare
e leader di una coalizione. Ma perché una sperata tenuta della Lombardia o del
Veneto o di entrambe le Regioni, per i perversi meccanismi di premio di
maggioranza assegnati con la legge-porcata per il senato con cui si vota
consentirebbero di indebolire il vincitore, se non addirittura di metterlo in
minoranza, e far scattare così probabili meccanismi di ricatto politico in
cambio di vantaggi ben immaginabili. D’altra parte non può a questo proposito
trascurarsi che la maggioranza in senato impone la conquista di 158 senatori,
numero sotto il quale si determinerebbe un’evidente situazione di ingovernabilità,
con tutto ciò che ne consegue.
Nel frattempo e aldilà dell’ingarbugliata
situazione lombarda, dove in corsa per la presidenza della Regione oltre ad
Ambrosoli per il centro-sinistra c’è per il centro-destra anche Gabriele
Albertini in opposizione a Roberto Maroni, sono tutte da valutare le ricadute
della recentissima inchiesta della magistratura romana aperta a carico della Lega
per l’impiego dei fondi pubblici da parte dei senatori del Carroccio, impiego
che sarebbe al momento al vaglio per l’uso disinvolto in rimborsi indebiti,
acquisti di elettrodomestici ed altre amenità, che fanno il paio con l’analoga
indagine avviata a Milano sull’uso dei rimborsi elettorali in Lombardia e che
ha portato allo sconquasso il partito di via Bellerio. Né può sottovalutarsi il
ruolo che intenderà giocare Roberto Formigoni, governatore uscente e sotto
indagini per le truffe alla sanità lombarda, prima scaricato da Silvio
Berlusconi e adesso in corso di recupero proprio dopo l’accordo PdL-Lega.
In fine, non bastano certo le minimizzanti
parole di Roberto Maroni nel corso della conferenza stampa di ieri, in
occasione della sua investitura ufficiale a candidato governatore della
Lombardia e della presentazione dell’accordo con il PdL, a fugare ogni dubbio
sugli effetti che immancabilmente avrà il nuovo filone romano d’indagini sull’immagine
del Carroccio, conclamatosi sempre più un partito infarcito da laidi opportunisti
per i quali la politica ha rappresentato un mezzo d’arricchimento personale e
di ribalderie d’ogni genere.
Qualcuno ha finito per bollare questo
matrimonio come il logico risultato d’una affinità stretta tra leghisti e
pidiellini, entrambi covi di personaggi borderline, dediti a pratiche di
malversazione e d’indebito arricchimento, sebbene Silvio Berlusconi abbia già
fatto sapere che nessuno degli attuali consiglieri regionali sarà ricandidato
alla prossima tornata amministrativa, con ciò offrendo l’illusione che il suo partito
abbia fatto quel bagno purificatore che coralmente si reclamava. Se questo è vero
nelle liste per le regionali lombarde, bisognerà vedere alla presentazione
delle liste per le politiche cosa accadrà con i tanti inquisiti presenti nella
schiera dei parlamentari uscenti del PdL – i dubbi sono più che leciti, visti già
i tentativi di accasare in qualche lista di sostegno Dell’Utri e Cosentino.
Inoltre ci pare pura illusione pensare che la débâcle del centro-destra sia
solamente da imputare alle questioni giudiziarie dei tanti deputati di quello
schieramento politico: fingere d’ignorare l’insuccesso su tutti i fronti durante
i 4 anni di governo significa non tanto minimizzare i motivi per i quali il
Cavaliere è stato costretto alle dimissioni, quanto sottovalutare del tutto la
profonda delusione di un elettorato avvilito dall’immobilismo di quell’esecutivo,
dalla vicenda Alitalia, - oggi tragicamente ancora alla ribalta, - dalle
menzogne sull’esistenza di una gravissima crisi economica, dall’assoluta
mancanza di provvedimenti per i lavoro, dalle fandonie sulla ricostruzione dell’Aquila,
dagli sprechi macroscopici per l’organizzazione del G8, dalle scelleratezze
nella gestione dei grandi appalti e nelle responsabilità assegnate alla
Protezione Civile di Guido Bertolaso, dalla ridicola immagine internazionale
del Paese, – e non sono che alcuni esempi. In altri termini sembra evidente che
a Lega e PdL sia sfuggito il polso della situazione e annaspano alla ricerca di
copione che li renda ripresentabili.
Dunque, fidandosi della proverbiale
memoria corta del popolo, peraltro stremato dai più recenti provvedimenti dell’esecutivo
Monti, si affidano al consumato copione della vendita di rinnovate cassette di
fresche illusioni, spacciandole con antica sicumera per miracolosi elisir.
Tornando al matrimonio d’interesse,
c’è da osservare che queste unioni hanno vita travagliata e molto spesso breve,
perché fondate sul tornaconto di corto respiro e non sull’unitarietà d’intenti
e di progettualità. Sintomo di questo baco pregiudizievole è lo scorno subito
dal Cavaliere, che ha dovuto rinunciare, almeno a parole, a candidarsi
presidente del consiglio in caso di vittoria della coalizione e a proporsi al
ruolo minore di ministro. Al suo posto ha indicato lo squalificato Angelino Alfano,
che ha già fatto vedere come sia in grado di manovrare a proprio piacimento.
Sull’altro fronte, Roberto Maroni, pur spennellando Alfano per pura facciata,
ha già fatto sapere che il candidato a premier per la sua parte non può che
essere quel Giulio Tremonti ex ministro dell’economia del governo Berlusconi,
con il quale il Cavaliere ha avuto occasione di consumare strappi violenti e
dure contrapposizioni.
I giochi al momento sembrano
fatti, sebbene, qualunque saranno i risultati elettorali sia in ambito
regionale che in sede nazionale, non ci sia da attendersi che una rinnovata
stagione di risse tra due componenti così diverse nella filosofia d’occupazione
del potere, ma così vicine nell’intendere la politica come opportunità
affaristica.
Non sarà che quest’unione più che
un matrimonio, per quanto d’interessi, sia solo un consorzio temporale d’imprese?
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