sabato, gennaio 12, 2013

Il cabaret di Santoro



Sabato, 12 gennaio 2013
Confessiamolo, l’attesa era grande. Al punto che anche le agenzie di scommesse s’erano fregate le mani all’idea di accettare puntate sull’ipotesi che Berlusconi potesse lasciare lo studio del suo nemico giurato, Michele Santoro, prima della fine di quel Servizio Pubblico dove era stato invitato con grande battage.
E già all’inizio della trasmissione il monologo d’ouverture del Michele nazionale, con tanto di Granada di sottofondo e riferimenti a tori e matador, lasciava presagire una serata spumeggiante, nel corso della quale, finalmente, come un novello Cid Campeador avrebbe fatto giustizia di un ventennio di ribalderie verbali e politiche del Saladino-comico di Arcore.
Ma le cose non sono andate come nelle attese, sebbene qualche passaggio “caldo” tra il conduttore e il redivivo Cavaliere, armato più che mai per l’occasione di una faccia di bronzo esemplare, ci sia stato. Fuochi fatui, prontamente spenti con l’estintore che Santoro s’era cautelativamente messo in tasca, per evitare non che il Cavaliere abbandonasse la trasmissione scornato, quanto per non confermare che lo si era provocato al punto da rendere intollerabile la sua permanenza nel covo dei comunisti irriducibili, che non perdono occasione per aggredire gli avversari, persino quando questi si presentano con il classico ramoscello d’ulivo in mano, armati delle migliori intenzioni al dialogo.
«L’ex premier ricordava l’Aldo Fabrizi di Vita da cani, il capocomico sempre alle prese con la vita difficile di una compagnia teatrale, o Gastone, interpretato da Alberto Sordi, il danseur mondain che non si rassegna», scrive dell’evento Aldo Grasso sul Corriere della Ser. «Santoro aveva l’aria da rodomonte collodiano di Monsieur Loyal nei Clowns di Fellini».
In realtà si capisce pressoché subito che i due, aldilà delle apparenze, si stimano e si temono l’un l’altro, consci del potere mediatico che riescono a gestire e consapevoli che dal match uscirà sconfitto chi farà per primo la gaffe di perdere la pazienza o aggredire l’altro, magari dissotterrando vecchi rancori e conti ancora da regolare.
Lo show comincia con il sacrificio delle due vestali Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, inesperta la prima e bravissima la seconda, entrambe incapaci di affermare un’adeguata autorità nel porre i primi quesisti all’illustre ospite, che infatti non si cura neppure di rispondere, ma si abbandona a briglia sciolta nella prima lectio magistralis di logica politica: si può non condividere l’operato di un governo, ma buttarlo giù, a poche ore dal suo insediamento, significa assumersi nei confronti del paese la responsabilità della crisi conseguente.
Poi il lento rosolamento con le sue affermazioni sistematicamente smentite, con l’operato contraddittorio dei suoi governi, con le ampollose promesse non mantenute, con gli inganni sistematici alle attese del suo elettorato, ma mai una domanda precisa sulle questioni giudiziarie in cui è stato ed è ancora coinvolto e che in fondo ne hanno determinato la caduta. Anzi, ogni qual volta il tema viene inevitabilmente sfiorato, si offre all’ospite l’opportunità miracolosa di chiamarsi fuori, di dichiararsi perseguitato da una magistratura che fa politica e che s’è accanita all’inverosimile: mai lo si contraddice, lo si rimbecca, s’esibisce sull’argomento un elemento - e certo non ne mancano – per sbugiardarlo come meriterebbe.
 L'ex premier è un disco incantato, ripete per l'ennesima volta i concetti chiave della sua campagna elettorale formato 2013, spacciandosi per un potenziale benefattore dell’umanità convertito alla carità internazionale – avrebbe voluto dedicarsi alla costruzione di ospedali in Africa – dalla quale è stato distratto dagli squilli di tromba premonitori di un nuovo assalto dei comunisti al potere e da quel senso del dovere che lo sovrasta e che lo ha costretto a rimettersi alla testa delle truppe di liberazione.
Lo studio, a parte qualche gag frutto dell’inguaribile insolenza volgare dell’ospite, - che ironizza sulle scuole serali di Santoro e l’ignoranza dei presenti, - comincia ad avvertire il calo di tensione, calo che finisce per coinvolgere persino Marco Travaglio, l’altra spina ben conficcata da sempre nel fianco di Silvio Berlusconi. Né la tensione si risveglia con le promesse di scoop che promette Santoro di lì a poco. Travaglio nel suo consueto monologo ricostruirà il profilo di Berlusconi con fatti e accadimenti,  infarcendoli però di equivoci e dubbi sui motivi per i quali, sebbene abbia fatto delle cose assai discutibili, avrebbe potuto evitarle e le ragioni per le quali  non le ha evitate. Ma la dotta ricostruzione non si rivela catartica: il pubblico avverte l’assenza di mordente e comincia a sentire nell’aria il puzzo di combine.
Lo scoop di Santoro si rivela solo una notiziola di poco conto. Tremonti confermerà i sospetti da più parte  sollevati a suo tempo sul documento inviato dall’UE al governo italiano, che, scritto a Roma sotto attenta dettatura, è poi spacciato per diktat da ottemperare delle autorità di Bruxelles.
Lo scoop vero si rivelerà quello di Berlusconi, che con un coup de théâtre si siederà al posto dell’anestetizzato Travaglio e leggerà un insulso foglietto scrittogli da qualche velenoso assistente che riassume il passato giudiziario del giornalista de il Fatto Quotidiano. Poco rileva che in questo frangente il buon Santoro, nel disperato tentativo di riprendere in mano le fila di una trasmissione consegnata al protagonismo dell’ospite, alzi la voce, rammenti che i patti avevano escluso che s’entrasse nel merito di vicende giudiziarie, e rimandi Berlusconi al suo posto come si fa con uno scolaretto indisponente. Scolaretto effettivamente impertinente, oltre che maleducato, che in senso di spregio, prima di accomodarsi, pulirà con il fazzoletto la sedia sulla quale temporaneamente s’era seduto l’odiato Travaglio, sottovalutando che quel gesto, ben lungi dal suscitare la risata, sarà la firma alla bassezza livorosa che governa le sue pulsioni.
Poi, più nulla. La trasmissioni è stancamente agli sgoccioli e Santoro, prima di passare alle vignette del solito Vauro, congeda Berlusconi, che gongolante abbandonerà lo studio non senza aver raccomandato al pubblico del mattatore mancato della serata: «Non fatevi infinocchiare da questi qui!», quasi a rivendicare per un’ultima volta nella serata la primogenitura in questa pratica, che senza dubbio in tantissimi gli riconoscono virtù congeniale.


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