lunedì, gennaio 14, 2013

Più velocità, più introiti dalle multe



Lunedì, 14 gennaio 2013
E’ dal 1988 che in Italia vige il limite di velocità per quanti percorrono le strade ed autostrade della Penisola. Limiti generalizzati di 130 km/h sulle autostrade e di 110 km/h sulle strade extraurbane, soggetti ad ulteriori riduzioni in presenza di pioggia, nebbia ed altre condizioni di insicurezza decise dagli enti gestori della rete.
I limiti di velocità vennero introdotti dal ministro Enrico Ferri, – quello sorpreso a qualche settimana dall’introduzione dei suoi limiti a percorrere ad oltre 200 km/h la A26 all’altezza di Borgomanero, - passato alla storia con il nome di Ministro 110 km/h. Tali limiti vennero introdotti per due ordini di ragioni. Il primo intendeva dare una risposta ai problemi delle crisi energetica, che imponeva una riduzione dei consumi dei prodotti petroliferi – si ricorderà lo slogan “più velocità, più consumo”. La seconda ragione risiedeva nell’assunzione di misure reclamata da più parti per ridurre il notevole numero di incidenti stradali con migliaia di vittime all’anno, attribuite alle elevate velocità medie tenute dai veicoli in circolazione e da lì lo slogan “più velocità, più pericolo”.
La questione velocità è stata ritenuta a torto la principale causa di incidenti stradali con vittime, sebbene le rilevazioni statistiche abbiano più volte evidenziato come la maggior parte degli incidenti mortali avvengano in ambito urbano, dove vigono da sempre limiti assai contenuti, e per cause solo marginalmente dovute alla velocità eccessiva, con ciò riducendo la questione limiti ad una eventuale concausa dell’incidentistica stradale.
Che la discussione sui limiti di velocità costituisca una vera e propria vessata questio, e per certi versi un falso problema, cercheremo di spiegarlo di seguito, poiché, stando ai dati dell’ISTAT  e quantunque gli incidenti stradali siano sostanzialmente diminuiti nel tempo, c’è una fortissima resistenza alla revisione dei limiti fissati e si registra un notevole incremento degli investimenti nell’acquisto di sistemi automatizzati di controllo della velocità e repressione della violazione dei limiti imposti. Ciò nonostante l’evoluzione tecnologica ed i meccanismi di accrescimento della sicurezza automobilistica abbiano enormemente ridotto l’infortunistica stradale dovuta alle avarie ed alle insufficienze dei sistemi meccanici di governo delle auto.
Come ebbe a sottolineare il ministro Lunardi qualche hanno fa, nel corso di un’audizione avente per oggetto la proposta di elevare i limiti in autostrada a 150-160 km/h, gli incidenti sulle autostrade rappresentano solo il 12% di quelli in cui si rilevano vittime, mentre è in ambito urbano, con il 42%, che si registrano incidenti mortali. Se ne deduce che la mortalità è diretta conseguenza non della velocità, quanto del mancato rispetto di altre norme della circolazione stradale come il mancato rispetto dell’obbligo di precedenza, del segnale di stop, dell’impiego dell’indicatore di direzione, della sosta pericolosa, della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, del sorpasso in zona in cui vige il divieto, della mancata occupazione della corsia più prossima al limite destro della carreggiata e così via.
C’è da chiedersi allora quale sia la ragione di questa sorta di accanimento terapeutico che permane nei confronti dell’aggiornamento dei limiti di velocità, accanimento ancora oggi oggetto di discussione anche da un quotidiano notoriamente aperturista come la Repubblica.
Premesso che a fronte di una politica maggiormente attenta alle problematiche dell’antinfortunistica stradale poco è stato fatto per rendere più rigoroso l’accertamento delle capacità pratiche di guida degli aspiranti automobilisti, se si eccettuano le difficoltà introdotte nella parte teorica dell’esame per l’ottenimento della patente, le prove pratiche di guida sono ancora limitate all’accertamento delle capacità elementari dei neopatentati, che continuano a non dover dimostrare alcuna capacità di conduzione in autostrada o all’esecuzione accurata di una manovra di parcheggio, che finiscono così per essere molto spesso un pericolo per la propria e l’altrui incolumità. Su altro versante, va indagato il significato attribuito alla prevenzione delle violazioni del codice della strada, da sempre fraintesa come pratica repressiva, dalla quale ricavare ingenti fonti di finanziamento per i disastrati enti rilevatori, come i comuni e lo stato.
Sulla scorta di queste considerazioni, così, la sicurezza stradale è divenuta una sorta di mucca da mungere per la creazione di fondi d'autofinanziamento, grazie all’impiego massiccio di autovelox, infrared, tutor, laser gun e altre disparate diavolerie con le quali si rimpinguano le casse pubbliche e si consente allo stesso tempo, nell’epoca dei tagli occupazionali, di dedicare operatori di polizia municipale e stradale all’assolvimento di compiti amministrativi, dato che al traffico ci pensa un avido grande fratello, sovente occultato ad arte persino nei cassonetti dell'immondizia. A riprova di questa pratica meschina e persecutoria vi sono bilanci di alcuni comuni costruiti su ipotesi di pareggio annuo proprio grazie a questa pratica estorsiva legalmente ammessa, che individua nell’automobilista il pollo da spennare con pervicace sistematicità. Senza contare, poi, il business delle apparecchiature tecnologiche, che spesso ha portato alla luce incestuosi rapporti d’interesse  tra case produttrici e amministratori locali, con il deprecabile sistema di spartizione degli introiti, bustarelle o, addirittura, al taroccamento degli impianti di rilevazione con la connivenza dei vertici degli enti di controllo preposti dalla legge: i processi penali a carico degli amministratori del comune di Segrate alle porte di Milano, giusto per citare un esempio, sono la riprova eclatante delle pratiche truffaldine messe in campo per realizzare indebiti arricchimenti.
D’altra parte che senso avrebbe consentire la realizzazione su larga scala di vetture sempre più potenti ed in grado di sviluppare velocità di punta sempre più ardite se non ci fosse la tacita aspettativa di far cassa con il ricavato delle infrazioni. Le moderne tecnologie elettroniche permettono di limitare le velocità massime dei mezzi in circolazione, dunque, basterebbe inibire il superamento dei limiti con l'imposizione alle case costruttrici di non immettere sul mercato bolidi da oltre 200 km/h, che mai potrebbero essere impiegati a quelle velocità.
La riflessione su questi aspetti rende del tutto sterile la polemica innescata da Vincenzo Borgomeo su la Repubblica di oggi, con la quale si auspicherebbe un giro di vite nei confronti di «chi va davvero forte, in barba alla tanto decantata "massima severità"», favorito peraltro, - secondo l’autore dell’articolo, - da una normativa sanzionatoria che non tiene conto delle capacità reddituali dell’autore dell’infrazione. Ci sono poi contraddittorie opportunità offerte a chi viola le norme sulla circolazione, che consentono di evitare la penalizzazione in punti-patente in virtù del pagamento di una somma accessoria, che libera dall’obbligo di comunicare il nominativo di colui che ha commesso l’infrazione. Ma quale prova ulteriore è necessaria per dimostrare che quella multa serve a far soldi e non al decantato obiettivo di ridurre gli infortuni?
Insistere su questi aspetti in tema di limiti di velocità ed adeguatezza degli stessi costituisce un’ipocrisia imperdonabile. Se la più realistica proposta di Lunardi di rivedere i limiti a livelli più accettabili con la tecnologia ormai diffusa in  maggiore sicurezza non ha trovato attuazione ciò si deve solo  al terrore di dover accantonare un facile sistema per far cassa: ma sa Borgomeo quanta gente utilizza l’indicatore di direzione come se fosse un optional o non ottempera all’accensione dei fari in ambito extraurbano persino in galleria, con evidente pregiudizio per l’altrui incolumità? Sono, a suo avviso, queste infrazioni punite con altrettanta frequenza e rigorosità come quelle sul superamento dei limiti? S’è mai vista una pattuglia della Polstrada multare qualcuno perché occupava senza ragione la corsia di sorpasso o, viceversa, perché procedeva a passo di lumaca intralciando così il traffico?
Forse Borgomeo è troppo rilassato dalla sua guida tranquilla per rendersi conto di quanto gli accade intorno, così si lascia suggestionare dai tanti luoghi comuni che spesso ci complicano la vita e qualcuno sfrutta ad arte per spremere i cittadini.
(nella foto, una pattuglia di carabinieri intenta a rilevare le infrazioni ai limiti di velocità) 

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