sabato, febbraio 09, 2013

Italia, paese di ladri



Sabato, 9 febbraio 2013
A scorrere i giornali o a seguire i notiziari non v’è giorno in cui non venga alla luce una nuova vicenda di ruberie. E queste ruberie sono ormai talmente frequenti e ripetitive da far registrare una sorta di rassegnazione, come se il fenomeno appartenesse alla normalità della vita quotidiana. I settori interessati da questo inveterato vezzo, - tutto italiano per dimensione e diffusione nei cosiddetti paesi avanzati, - vanno dall’industria ai servizi, dall’agricoltura alla pubblica amministrazione, dalla politica alla sedicente società (in)civile, senza eccezione alcuna, come un virus micidiale diffusosi con velocità sorprendente e per il quale non sembra ci sia cura che tenga.
Quantunque il fenomeno non possa ritenersi nuovo, anzi è purtroppo scientificamente provato che la propensione all’atto delinquenziale è una delle caratteristiche dell’essere umano, nei tempi recenti sembra aver subito una fortissima accelerazione. Agli imbrogli a spese dei terremotati dell’Aquila ecco le ruberie dei consiglieri regionali del Lazio e della Lombardia, le mazzette sulla sanità, i falsi invalidi scoperti ogni giorno, le società fantasma con tanto di dipendenti fantasma messe in piedi per truffare l’INPS, i vertici delle banche – peraltro non di istituti bancari di importanza marginale – che si spartiscono bottini miliardari con operazioni di finanza spazzatura e prendono soldi pubblici per coprire i buchi, aziende pubbliche come l’ENI coinvolte in storie di corruzione internazionale  e, ultim’ora, una truffa ai danni dei consumatori perpetrata dalle società operanti nel settore energetico – luce, gas e carburanti – che avrebbero illecitamente trasferito sui consumatori gli oneri loro imposti dalla cosiddetta Robin Tax .
Introdotta nel 2008, la Robin Tax  venne definita un provvedimento "etico", mirato a colpire gli extra profitti di alcune tipologie di imprese. La finalità del provvedimento era stata quella di realizzare un gettito fiscale aggiuntivo, da utilizzare a beneficio della collettività per finanziare opere pubbliche, introducendo un’imposta addizionale sul reddito delle società operanti nei settori predetti. Originariamente del 6,5%, l’addizionale subì un rincaro al 10,5% nel 2011, con l'estensione dei settori di impatto (dai soli petrolifero e produzione di energia, alle reti come Terna e Snam) e con nuove soglie di assoggettamento (a partire da 10 milioni di ricavi e da 1 milione di reddito imponibile). Ulteriore caratteristica dell’addizionale è l’espresso divieto di legge di trasferire sui consumatori l’onere imposto, né sulle bollette di fornitura né sui prezzi alla pompa dei carburanti, ed a questo proposito è stata affidato all’Autorità per l’Energia il compito di vigilare sul rispetto della legge.
Adesso viene fuori che  nel corso dell'attività di vigilanza svolta lo scorso anno sui dati relativi al 2010, l'Autorità ha pizzicato 199 operatori (sui 476 totali), di cui 105 appartenenti al settore dell'energia elettrica e gas e 94 a quello petrolifero, in cui «è stata riscontrata una variazione positiva del margine di contribuzione semestrale riconducibile, almeno in parte, alla dinamica dei prezzi». Insomma, per l'Autorità «è ragionevole supporre che, a seguito dell'introduzione dell'addizionale IRES, gli operatori recuperino la redditività sottratta dal maggior onere fiscale, aumentando il differenziale tra i prezzi di acquisto e i prezzi di vendita».
E’ bene evidenziare che non si sta parlando di bruscolini, ma di una cifra di 1,6 miliardi, equivalente a oltre un terzo dell’importo totale versato per l’IMU, che rappresenta un ulteriore salasso spaventoso e indebito a danno dei cittadini, avvenuto questa volta non con l’introduzione dell’ennesimo balzello ai loro danni, ma per scientifica e criminale iniziativa di società molto spesso a partecipazione pubblica, che hanno così inteso mettersi al riparo dall’erosione dei profitti.
Il numero dei sospetti furbi (199 su 476 società presenti sul mercato dell’energia) è tale da non lasciare molti dubbi sulla fondatezza dei rilievi dell’Autorità, la quale ha già fatto sapere che, come chiarito dal Consiglio di Stato, non dispone di poteri sanzionatori in questo campo (c'è una sorta di incertezza normativa sul soggetto deputato alla sanzione). Dalle indagini eseguite in virtù dei poteri di vigilanza, per l'Autorità nel secondo semestre 2010 per le aziende elettriche e del gas si tratta di una somma pari a circa 0,9 miliardi di euro in più rispetto al corrispondente periodo precedente l’introduzione dell’addizionale, mentre per quelle petrolifere la cifra è appena più bassa e pari a circa 0,7 miliardi di euro. In sostanza, i consumatori sarebbero stati appesantiti di 1,6 miliardi di euro anche per rientrare della Robin Tax.
Cosa succederà adesso è assai facile prevederlo, mentre è molto più aleatoria la conclusione della vicenda. Ci sarà, infatti, la solita apertura d’un fascicolo d’indagini da parte della magistratura, con il probabile invio di avvisi a quanti nelle vesti di legali rappresentanti delle società indagate saranno inquisiti. Sulla scorta dei tantissimi precedenti di cui sono piene le storie giudiziarie d’Italia, nulla lascia spazio all’ottimistica conclusione che alla fine qualcuno paghi per l’ennesima grave truffa ai danni della collettività, neppure se, com’è probabile, vi potranno essere alla fine rinvii a giudizio con tanto di processi celebrati: tra assoluzioni per insufficienza di prove o di non commissione del reato o per le modeste condanne inflitte all’incensurato di turno, tutto si concluderà con la consueta impunità per i colpevoli e la delusione dei cittadini imbrogliati, mentre ci sarebbe tanto bisogno finalmente di una giustizia che desse prova di integerrima e durissima applicazione delle leggi non solo verso i cittadini comuni, ma anche nei confronti dei tantissimi delinquenti parassiti che infestano come piaghe purulente la vita quotidiana degli Italiani senza timore di conseguenze.

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