L’arroganza sale in cattedra
Domenica, 3 febbraio 2013
Più passano i giorni e s’avvicina
quello del voto, più la campagna elettorale assume connotati aspri, di vera
battaglia delle dichiarazioni e dei comunicati, che non risparmiano niente e
nessuno e dove si radicalizzano le accuse e le posizioni.
Così mentre passano tra le risate
generali le ultime boutade del
Cavaliere sulla restituzione dell’Imu e sull’abolizione dell’Irap, a tenere
banco e a scatenare reazioni vivaci sono le sortite del professore Monti, che
da qualche settimana ha impresso un’accelerazione vistosa alla campagna
elettorale del suo Movimento.
Chi aveva considerato il
Professore un uomo pacato e misurato, quantunque incline alla battuta pungente
mascherata da un aplomb di marca
anglosassone, probabilmente si starà ricredendo, visto che il vispo vecchietto
sembra aver deciso di dismettere gli abiti del serioso accademico per indossare
quelli di un più prosaico sborone, alla ricerca del consenso con il ricorso alle
plateali stupidaggini, in perfetto stile berlusconiano. Una su tutte? Il
dichiararsi progressista ed accusare CGIL, Sel e buona parte del PD di
conservatorismo, quasi che il progressismo debba essere più una banale
professione di fede che non il risultato di una prassi documentata da fatti
innovativi effettivamente ascrivibili al progresso, cioè all’obiettivo
miglioramento delle condizioni dei destinatari di quei fatti.
Su questo versante, non v’è
dubbio alcuno, il Professore è probabile che sia sincero. Causa la sua
profondissima visione distorta, se non addirittura malata, dell’equità e dei
concetti di solidarietà sociale pretende
di riconoscersi nell’incarnazione del progressismo solo in funzione delle
forzature che la sua concezione del potere e del suo esercizio sono in grado d’imprimere
al contesto, a prescindere dalla valenza degli effetti che da tali forzature si
producono. Così è progressista le riforma Fornero delle pensioni e sarebbe progressista
l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto, origine a suo dire di tutte le
ingessature del mercato del lavoro. La sua visione è a tal punto malata da
fargli presumere che l’abbattimento dei meccanismi di stabilità del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, da lui ritenuti strumenti per la difesa della
posizione, e l’equiparazione finale di quei lavoratori con quelli precari con
contratto a termine, dovrebbe costituire il toccasana per la ripresa dell’occupazione:
come dire, se puoi licenziare chi-vuoi-quando-vuoi s’assumerà di più.
Se questa stravagante teoria
fosse fondata e non fossero altre le ragioni del fronte occluso sul piano del
mercato del lavoro, il buon Monti dovrebbe essere segnalato per il Nobel dell’economia,
- tanto è innovativa la tesi. Nella crisi economico-finanziaria e industriale
in atto attribuire a fattori di natura normativa lo stato di grave crisi
occupazionale appare solo una bufala opportunistica, il tentativo maldestro di trasformare la congiuntura in un
grimaldello per espropriare la classe lavoratrice dell’unico strumento di
difesa che possiede nei confronti dello strapotere delle élite capitalistiche, al
cui al servizio Monti sembra essersi posto. D’altra parte il ministro Fornero,
sua sodale al Lavoro, ha già realizzato una riforma del mercato del lavoro ed
era in quella sede che il presidente del Consiglio avrebbe dovuto far sentire
le sue ragioni. Né Monti può pensare d’introdurre a suo piacimento le riforme
che più l’aggradano senza il consenso del parlamento. Pertanto insistere sul
punto dovrebbe generargli il sospetto che il suo preteso “riformismo
progressista” sia considerato dalle forze parlamentari, nella migliore delle
ipotesi, un vistoso abbaglio.
Ma se fosse ipoteticamente vero
che basta cancellare qualche regola per ridare vita al mercato, allora sarebbe
il caso di suggerire al Professore che tanti sono i settori dell’economia in
cui tale principio può trovare applicazione. Per esempio, perché per calmierare
il settore dell’assicurazione auto il sagace Professore non propone di abolire
l’obbligatorietà della RCA? Non crede che con una scelta così “progressista” si
finirebbe finalmente per spuntare i canini delle fameliche compagnie
assicurative che hanno costruito le loro fortune sull’incasso di tariffe
mostruosamente ingiustificate, forti dell’obbligatorietà della copertura RCA?
Non crede che finalmente, pur d’accaparrarsi i clienti, sarebbero costrette a
ridurre i premi richiesti? Non lo sfiora il sospetto che tariffe più “umane”
potrebbero ridurre il fenomeno sempre più diffuso dell’evasione dell’obbligo
assicurativo?
E come mai il “progressista”
Monti non ha pensato che per migliorare la mobilità nel Paese basterebbe abolire
i caselli autostradali e far pagare un balzello annuale per l’utilizzo dell’autostrada
come si fa in Paesi più civili? Non ha pensato a quante code si potrebbero
evitare nei periodi topici dell’anno, con risparmio di tempo ed inquinamento? E
non si venga a dire che il “progressista” Monti sarebbe in pena per la sorte
del numeroso personale casellante! Forse nell’evitare di prendere una decisone
del genere è, piuttosto, preoccupato degli incassi di qualche baraccone
controllato dallo stato, che non potrebbe più beneficiare di ritocchi tariffari
decisi ad arte o degli introiti delle società private di gestione.
La verità è che per il professore
Monti il progressismo somiglia alla pelle di certe appendici e, dunque, a convenienza,
è termine dotato di enorme elasticità, in perenne confusione e sovrapposizione con
il sostantivo cambiamento. Un termine di cui, adesso che ha preso gusto al
potere, abusa al solo fine di denigrare gli avversari e confondere le idee agli
sprovveduti. Eppure per rendersi conto dello spropositato errore, al saccente
Professore basterebbe leggere, per una volta con inusuale umiltà, il dizionario
per rendersi conto che progresso significa miglioramento, passo avanti rispetto
ad una situazione precedente e, riferito ad un contesto sociale, sviluppo sotto
l’aspetto economico, tecnico e scientifico; mentre cambiamento vuol dire solo
variazione, mutamento, trasformazione, in modo asettico, non specificato, senza
alcuna valenza. E nel suo caso, le azioni di governo prodotte sull’economia,
non sono annoverabili neppure in questa categoria, essendo state nei fatti profondamente
deleterie e restauratrici di uno stato di povertà generale sconosciuto da tempi
remoti nel Paese.
Nonostante queste palesi
contraddizioni, il professor Monti pretende di dare lezioni a tutti, arrogandosi
persino il diritto di spacciarsi per salvatore della patria, sol perché, da
persona dal buonsenso minimo, giunto al governo di questa disastrata nazione,
ha avuto il via libera nel varare quattro provvedimenti d’emergenza che hanno
evitato il precipitare della situazione italiana. A ben guardare, esimio
Professore, tranne che in casi limite, non v’è famiglia in cui non si sia
costretti a stringere la cinghia quando s’è a corto di denari e, dunque,
pretendere di passar per eroe quando al buco nella cintura non è seguito alcun
guizzo d’ingegno per avviare uno straccio di disegno per una ripresa,
francamente, ci pare più che sfacciato.
Sappia il Professore che uno dei
problemi veri di questa repubblica delle banane, sui quali ha dimostrato la più
profonda incapacità d’incidere, è la giustizia. Quella giustizia che con le sue
allucinanti lungaggini e questioni mai risolte - sottorganico, farraginosità
dei codici e delle procedure, indolenza di tanti impiegati imboscati, tagli
delle dotazioni e così via, – sono il
vero deterrente all’ingresso di nuovi investitori nel Paese: ritiene il
sapiente Monti normale che una banale causa civile per un assegno non onorato
debba durare oltre dieci anni? Ritiene normale che una causa di lavoro solo per
il primo grado si “mangi” da due a cinque anni? Ritiene corretto che la
pubblica amministrazione onori i suoi debiti – quando accade che lo faccia – in
un tempo oscillante tra i dodici ed i trentasei mesi, costringendo magari a
ricorsi giudiziari onerosi e lunghi? E non si parli, per carità di Dio, della
giustizia penale, della cui qualità le carceri italiane sono modello esemplare!
Allora, signor Monti, se tutto
ciò ha fondamento e in lei risiede ancora un briciolo di modestia ed umiltà, la
smetta di sparare cialtronerie a raffica nel tentativo di scavalcare a destra e
a sinistra la concorrenza, come fa qualcuno che l’ha preceduta nel delicato
ruolo di presidente del Consiglio. Dimostri veramente d’essere il progressista
che ostenta facendo l’unica cosa che in questa fase potrebbe permetterle d’avanzare
pretese sull’ambito titolo: dica cose sensate e, soprattutto, vere, palesando
così quell’aspetto onesto e progredito della politica cui effettivamente non
siamo abituati.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page