venerdì, febbraio 08, 2013

L’Alitalia dei furbetti



Venerdì, 8 febbraio 2013
Fiumicino, un ATR-72 con colori Alitalia proveniente da Pisa con una cinquantina di persone a bordo in fase di atterraggio va fuori pista e s’adagia sul prato. Fortunatamente, solo due feriti, di cui uno purtroppo grave, e tantissima paura per tutti.
Ma l’episodio serve a scoperchiare una questione nota da tempo e che, se non ci fosse stato l’incidente, sarebbe rimasta probabilmente relegata nell’indifferenza generale. Ci riferiamo alla pratica diffusa nel settore aereo di stipulare contratti con i quali le compagnie più grandi affidano la gestione delle rotte di minor interesse e redditività a vettori piccoli, molto spesso stranieri, consentendo loro di apporre sugli  aerei impiegati i propri colori di compagnia e spacciare quei voli per tratte gestite direttamente.
Il fenomeno non è nuovo e non ha nulla a che vedere con il cosiddetto sistema di code sharing con il quale più vettori si accordano di co-gestire in comune determinate tratte, per le quali vengono indicate regolarmente le sigle delle compagnie cointeressate.
Ciò di cui intendiamo parlare qui è il fenomeno del leasing aeronautico, che si realizza o con l’affitto da parte di una compagnia di aerei da terzi a cosiddetto “scafo nudo” o con equipaggio, nel qual caso il contratto prende il nome di “wet leasing”. A questo meccanismo, largamente diffuso nel decennio ’80-’90, ha ampiamente fatto ricorso anche l’Alitalia, al tempo compagnia pubblica di bandiera a maggioranza pubblica, con risultati pessimi sul piano della qualità dei servizi, che aveva stipulato con l’australiana Ansett un contratto per la gestione di alcune tratte internazionali. Normalmente gli aerei Ansett, nonostante livrea Alitalia,  imbarcavano equipaggi completamente all’oscuro della lingua italiana, con ciò determinando intuibili problemi nel rapporto con i passeggeri non sempre in grado di comunicare con il personale di bordo per necessità anche banali.
Ad un ventenni di distanza la storia si ripete, questa volta con la rumena Carpatair, ma a causa dell’incidente di Fiumicino, su cui indaga la magistratura per accertarne le cause, quella stessa magistratura oggi decide di indagare sulla legittimità di quei contratti di wet leasing, adombrando l’ipotesi per l’Alitalia del reato di frode in commercio per non aver comunicato ai passeggeri al momento della vendita del titolo di viaggio che il volo non era un AZ ma un KRP, cioè un volo Carpatair.
Senza voler minimizzare sulla rilevanza dell’ipotesi di reato e premesso che lo zelo della magistratura di Civitavecchia competente per l’indagine ci pare francamente tardivo, dati i precedenti passati nell’indifferenza generale, a nostro avviso ciò che fa più invece clamore è l’oggetto stesso del contratto di wet leasing, per il quale l’ipotesi di reato ci sembrerebbe ben più sostanziosa.
Non va trascurato, infatti, che all’indomani della vendita della ex compagnia di bandiera alla società CAI è stato dato corso ad una profonda ristrutturazione dell’Alitalia, ristrutturazione che ha visto la collocazione in cassa integrazione, prima, e in mobilità lunga, poi, di un numero elevatissimo di dipendenti, tra i quali tutti i piloti di aeromobili ATR-42 e 72. Molti di costoro sono ancora in mobilità e godono di un trattamento economico ridicolo posto a carico delle casse pubbliche, trattamento che avrebbe potuto certamente essere sospeso con il reimpiego in servizio del personale di volo specializzato disponibile al posto di quello rumeno della Carpatair.
L’aspetto ci sembra di particolare importanza, particolarmente nella situazione di gravissima crisi economica ed occupazionale che attraversa il Paese ed alla luce dei risparmi per la pubblica amministrazione avrebbero potuto derivare dal sostegno di minori oneri per l’istituto della mobilità. E’ in questa prospettiva che l’indagine in corso sul reato di frode in commercio ci pare ben poca cosa rispetto a comportamenti che evidenziano la precisa volontà di addossare alle finanze pubbliche oneri impropri.
Ci augureremmo, pertanto che la magistratura voglia fare piena luce anche su questo non secondario aspetto, che anche se non dovesse costituire una violazione delle norme penali, dimostra inconfutabilmente che i “salvatori della patria”, la cordata di imprenditori amici di Silvio Berlusconi, in fondo non erano poi dei mecenati mossi dall’amor patrio e dall’indomito senso di solidarietà nazionale, quanto i soliti affaristi interessati esclusivamente a massimizzare con ogni mezzo i loro profitti.
Nota di colore: come si può vedere dalla foto dell’aereo incidentato, durante la notte l’Alitalia ha fatto rimuovere il logo della compagnia, così convinta di poter salvare almeno l’immagine aziendale agli occhi dei passeggeri che atterrano e decollano da Fiumicino…….. E se questa non è un’implicita ammissione di vergogna!

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