giovedì, ottobre 29, 2009

Indecenza senza limiti

Giovedì, 29 ottobre 2009
Egregio Presidente, mi giunge notizia che l’avvocato nonché onorevole (per il quale, Ella mi consentirà, non nutro alcun rispetto e, dunque, ritengo quel titolo-invito anteposto al suo nome una mera forzatura) Niccolò Ghedini, - non capisco se perché invidioso di qualche collega con il quale divide la mensa di Montecitorio o in cerca di guadagnarsi l’accesso al regno dei cieli vista la natura del padrone cui risponde, - avrebbe ideato l’ennesima diavoleria (più che giustificata con la faccia che si ritrova) per salvare le terga al suo capo, inventandosi un lodo, cioè un provvedimento di legge, con il quale tutti i processi a carico di quel santuomo perseguitato dalla sorte e dai comunisti (che ci sono ancora, mi creda) dovrebbero essere trasferiti a Roma dalle attuali sedi in cui sono stati istruiti e dove sarebbero stati commessi i reati per i quali si originano.
Premesso che l’avvocato Ghedini (non so dove si sia laureato, ma mi dicono che al CEPU si fanno miracoli) dovrebbe sapere che uno dei principi fondanti del nostro ordinamento è la Carta Costituzionale, che stabilisce che nessuno può essere distolto dal giudice naturale, mi fa assai specie che alla base di tale papocchio, spocchiosamente apostrofato lodo, risieda la ragione delle tendenze politiche dei magistrati di Milano, che, notoriamente (ma tale avverbio sarebbe imputabile ad un incubo patito dal padrone dell’estensore del papocchio, dato che non esiste prova alcuna) sono comunisti sfegatati (l’aggettivo è mio) e, pertanto, incapaci di rilasciare giudizi sereni su colui che, prima d’essere un eventuale delinquentello come tanti, è per loro un avversario politico da stangare con sentenze che nulla hanno di giuridicamente consistente.
Il sottoscritto, che, prima che lo constati Lei da questo scritto, intende autodenunciarsi come comunista (non perché sia mai stato iscritto al PCI, PSUP, DS, PD ed altre sigle simili, ma perché appartiene alla schiera di coloro che dissentono dal “berlusconi-pensiero” e, dunque, non può che essere comunista) ritiene che quest’ennesimo tentativo del presidente del consiglio in carica di sottrarsi alla legge, o se si preferisce, di scegliersi i giudicatori più opportuni, costituisca una violazione senza precedenti dell’ordine costituito per svariati ordini di motivi.
Premesso che l’accanimento terapeutico con il quale il prodigioso santo di Arcore insiste per sfuggire a qualunque giudizio suona come un’implicita ammissione di colpevolezza (ma non vorrei che il ragionamento apparisse eccessivamente sottile), mi consta in primo luogo che viga nel nostro ordinamento l’istituto della ricusazione, alla quale qualunque imputato può ricorrere quando abbia fondati sospetti di parzialità dei giudici, dimostrando la fondatezza dei suoi sospetti.
Secondariamente, mi pare che il provvedimento, ove approvato e sottoscritto con la Sua stimata firma, finirebbe per ledere ancora una volta il sacrosanto principio d’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, poiché tale facoltà non sarebbe consentita a tutti ma solo a tal Silvio Berlusconi da Arcore.
In terza istanza, il personaggio in questione deve essere giudicato per reati commessi da libero cittadino e non da politico, ciò per violazioni alla legge compiute prima della sua mitica discesa in campo (che in tanti hanno molto a proposito interpretato come lo stratagemma per rendersi impune). Per i reati commessi in qualità di presidente del consiglio (e non risultano al momento ipotesi di questa natura) esistono già sia il tribunale dei ministri che la Corte Costituzionale, le cui sedi non sono a Calascibetta, in provincia di Enna, ma a Roma e, dunque, non si vede la ragione per la quale si dovrebbe dare esito positivo ad una bizzarra richiesta di lodo come nella fattispecie.
In ultimo, desidero partecipare alla Sua carica l’opportunità di segnalare all’istituzione parlamentare il dovere di riconoscere questo provvedimento, qualora fosse approvato, quale optional processuale a favore di tutti gli Italiani. Come confessato prima, sono un comunista e, pertanto, avendo scarsissima fiducia nei tribunali in cui potrei essere processato qualora incorressi nella violazione di una qualche legge, anche del Codice Stradale, tribunali infestati da fascisti militanti, ex fascisti e nostalgici di Salò, a mia garanzia vorrei potermi scegliere i giudici di Campione d’Italia o della Corte di Giustizia dell’Aja (che, essendo in Europa, ci sta tutta), se non altro, nell’illusione di una sorta di extra territorialità, mi sentirei maggiormente tutelato.
Certo di un Suo magnanimo accoglimento della presente richiesta, al grido di VIVA L’ITALIA le porgo i migliori saluti.
Ecco, questo potrebbe essere il testo della lettera da inviare al Presidente Napolitano nel caso fosse approvato il provvedimento di cui si parla in queste ore e che intenderebbe tamponare le conseguenze della dichiarazione d’illegittimità costituzionale del lodo Alfano. Indicativo, in ogni caso, il dissenso che ha riscontrato all’interno dello stesso PdL la proposta Ghedini, dalla quale si sono già dissociati Lega, ex AN e lo stesso Alfano, che ritiene di essersi esposto a sufficienza con il provvedimento che porta il suo nome.


(nella foto, Niccolò Ghedini, avvocato personale di Berlusconi e parlamentare)

Comandare e fottere: binomio imperfetto

Giovedì, 29 ottobre 2009
In questo clima di caccia alle streghe in cui viviamo, non vi è più pace neanche per i rapporti affettivi. Sulla scorta dell’esempio che viene dall’alto, sono in tanti coloro che stanno seriamente pensando di dare un taglio a rapporti con fidanzate, amanti e affini, impauriti di incappare nello scandalo di turno, serio e semiserio, che può compromettere definitivamente la sua immagine e la sua onorabilità.
Naturalmente non mancano tra costoro anche quelli a cui non è sembrato vero poter licenziare mogli o mariti legittimi o fidanzati ufficiali. Non si sa mai, con l’aria che tira potrebbero sempre saltare fuori storie di violenza, con tanto d’agguato sessuale e, dunque, per la gioia di qualche eminenza vaticana, è ora di dir basta a storie di sesso e conviene darsi ad una santa castità.
Alcuni amici nostri, sebbene abbiano preso questa decisione e dovrebbero sentirsi tranquilli, a scanso d’ogni equivoco ci hanno confessato di andare in giro con tanto di registratore e annessa micro camera, sì da potere esibire prova inconfutabile della propria rettitudine in caso di necessità.
Una signora, poi, ha ammesso di essersi dotata di mini microfono e minicam e di averli collocati in zone strategiche della propria biancheria, così nessuno sarebbe in grado di poter smentire le prove inconfutabili di assalti non graditi. Ovviamente, la poveretta trascura il rischio che corre nel dover dimostrare che non fu lei a provocare in qualche modo i tentativi d’effrazione, ma si sa che rischi sono impliciti in ogni cosa che si fa.
Ma chi fosse convinto che la messa al bando dell’altrui sesso costituisca una garanzia è evidentemente in grave errore. Nella’epoca promiscua in cui viviamo, complicata dalla presenza di signore che a guardar bene tali non sono o distinti professionisti che celano sotto la cravatta un appetitoso corpicino da modella, con tanto di attributi, è persino consigliabile dotarsi di un comodo e confortevole scafandro da passeggio con tanto di dadi di serraggio, almeno, se sorpresi in compagnia di questi definiti travestiti si sarà in grado di dimostrare che, nella frequentazione, non v’erano finalità lubriche, stando al senso morale dominante.
Per chi comunque non riuscisse a rinunciare ad un’avventuretta fuori porta, sarà comunque il caso assumere tutte le precauzioni possibili: oltre ai classici cappello e barba finta, - se l’incontro clandestino è programmato con un’esponente del gentil sesso, - usare un’auto a noleggio per recarsi sul luogo del rendez-vous, possibilmente sprovvisti di telefonino. Se l’appunta l’appuntamento fosse invece con un uomo, andrà a pennello una bella tuta da meccanico o un corredo da elettricista per sviare le attenzioni degli eventuali curiosi. Naturalmente, prima di ogni approccio al partner, è vivamente consigliata una scrupolosa verifica nel luogo in cui dovrebbe avvenire il congresso carnale dell’esistenza di eventuali strumenti di intercettazione e di filmatura e, a questo fine, un’adeguata valigetta con l’occorrente per bonifiche ambientali non va trascurata.
Siamo certi che se il buon Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio, e il professor Elio Rossitto, eminente docente d’economia all’università di Catania, - giusto per citare gli ultimi due casi di piccanteria nazionale, - avessero seguito queste regole elementari, con ogni probabilità delle loro evasioni dalla gretta routine non avrebbero mai parlato i media, né a guisa di mostri, sarebbero stati sbattuti in prima pagina ed esposti al pubblico ludibrio. Sì, perché nel terzo millennio sembrerebbe in voga giudicare gli individui non per ciò che effettivamente fanno nell’espletamento delle incombenze pubbliche loro attribuite, ma solo sulla scorta di come usano i loro attributi.
Tutto ciò non può non generare il sospetto che, in realtà, sia l’ennesima trappola per obnubilare la mente della gente, che ormai non riesce più a distinguere ruoli pubblici e privati, né a discernere le differenze che soggiacciono al comportamento del fedifrago tout court e di colui che, per soddisfare un istinto, profitta del proprio ruolo pubblico e promette o dispensa qualcosa in cambio del favore sessuale ricevuto.
La distinzione non è secondaria, poiché non v’è dubbio alcuno sul fatto che ciascuno è libero di gestire il proprio privato come meglio crede, ma a nessuno può essere consentito che tale privato sfoci nel pubblico e preveda la dispensa di gratificazioni a carico della collettività o che discrediti il valore delle istituzioni. E chi non è in grado di comprendere questo fondamentale spartiacque non solo è indegno delle cariche che ricopre, ma merita punizioni esemplari e commisurate al livello di responsabilità che gli deriva dalla carica ricoperta.
Comandare è meglio che fottere, dice un vecchio proverbio siciliano, ma a quanto pare chi comanda, forte del proprio potere, pretende di fare le due cose impunemente a spese della collettività.
(nella foto, il professor Elio Rossitto dell'università di Catania, recentemente incappato in una vicenda boccaccesca dai risvolti ancora da chiarire)

domenica, ottobre 25, 2009

Fai ciò che dico non ciò che faccio


Domenica, 25 ottobre 2009
Ormai è un inferno. Tra escort, travestiti, trasessuali, spacciatori di droga, ladri, affaristi, raccomandati e raccomandanti, mafiosi e collusi con la mafia, c’è una tale fauna d’umanità ad infestare le istituzioni che le vicende di Clinton o di qualche ministro inglese del passato sembrano storielline da libro Cuore o sceneggiature per un film natalizio della Disney.
E’ dall’inizio di tangentopoli, da quando gregari e corruttori si sono sostituiti a corrotti e politici di lungo corso, che il paese è piombato nello sfracello etico e morale più nero, come non se n’erano più visti dai tempi della caduta dell’impero romano.
Di una classe dirigente così squallida, così meschina e volgare, così scopertamente dedita a farsi i fattacci propri, - quelli laidi e più vomitevoli, però, - non c’è traccia in tutta la storia recente dell’occidente evoluto. Non ve n’è traccia anche nella storia meno democratica di certi paesi del quarto mondo, nei quali c’è sicuramente stato qualche esempio di ributtante governante dedito allo stupro, alla pedofilia, al ladrocinio e pratiche esecrabili affini, ma queste porcherie, additate peraltro al mondo come esempio di un sottosviluppo morale endemico, coinvolgevano il tirannello di turno, non certo un’intera classe politica di governo e d’opposizione.
L’Italia, sedicente maestra di cultura nel mondo, ha oramai anche il primato di rappresentarsi come il paese nel quale i vizietti più aberranti sono divenuti cultura dominante e, addirittura, nulla osta generalizzati per quanti rivestano cariche istituzionali.
Così abbiamo presidenti puttanieri, spacciati al culmine della demenzialità linguistica per “consumatori finali”, con l’aggiunta di qualche debolezza per giovanette di primo pelo, oltre che plurinquisiti per reati gravissimi di corruzione, evasione e altre amenità varie; presidenti di regione con vizietti sessuali poco edificanti; ministri che hanno giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione e che poi fomentano il separatismo e bruciano la bandiera nazionale; membri del governo in odore di droga; parlamentari collusi con la mafia; rappresentanti dell’italico onore nelle istituzioni europee, accusati di reati aberranti, ma collocati in quei posti solo per sfuggire ai rigori della legge applicata solo ai comuni cittadini, e via discorrendo. Personaggi che, fosse ancora vivo quel tale Alighieri da Firenze, avrebbero sicuramente ingolfato bolge e gironi, al punto da suggerire l’autore di quella Commedia di sdoganare qualche disgraziato lì collocato per l’inconsistenza del reato e per far posto a questi neofiti del malaffare.
Certamente, chi invoca rispetto per la propria vita privata e per le debolezze di cui è portatore, ha pienamente ragione, specialmente se queste debolezze nulla hanno a che vedere con l’esercizio della sua carica istituzionale. E in virtù di tale principio nulla si sarebbe dovuto eccepire all’onorevole Cicciolina, al secolo Ilona Staller, qualche hanno fa o all’onorevole Vladimir Luxuria: erano, prima ancora che parlamentari della Repubblica, personaggi con un trascorso trasparente, che non collideva certo con il mandato ricevuto. Analogamente, nulla vi era di rilevante nel comportamento dell’onorevole Sircana, già portavoce del governo Prodi, per il fatto che amasse accompagnarsi a travestiti o prestatori di sessualità a pagamento.
Ciò che non può essere tollerato è che il controvalore di una prestazione sessuale si traduca in un seggio al parlamento o in un incarico pubblico al quale avrebbe certamente diritto anche chi non s’è abbassato i calzoni o sollevato la gonna.
Allo stesso modo, non è ammissibile che le istituzioni divengano paravento di ogni malefatta: chiunque si sia reso responsabile di reati accertati con sentenza passata in giudicato non deve godere dell’eleggibilità, che annulla di fatto la comminazione della pena. Se poi tali reati sono particolarmente gravi, come quelli di associazione mafiosa, allora l’ineleggibilità deve operare in via immediata, anche se la sentenza di definitiva condanna non sia ancora intervenuta.
Sebbene queste elementari considerazioni possano sembrare ovvie, nel nostro sistema politico, affetto da una sindrome di garantismo esasperato, non riescono a trovare alcuna applicazione. In primo luogo perché il carrierismo politico è fondato su meccanismi che tendono a generare comportamenti devianti dal rispetto delle leggi comuni e, secondariamente, perché la politica è vissuta come un pass par tout che pone al di sopra della legge ordinaria. Le stesse vicende che hanno coinvolto l’attuale premier dimostrano come l’utilizzo della politica sia speso strumentale alla garanzia di impunità, impunità che trascende sino al punto da consentire d’invocare provvedimenti di legge che esimano da ogni indagine colui che occupi posizione di rilevanza istituzionale.
Questa modalità di amministrare a proprio esclusivo tornaconto la legge e la cosa pubblica in generale è il sintomo di una barbarie straordinaria, che non può meritare alcun avallo né comprensione. Parimenti, provvedimenti in questa direzione provvedimenti legislativi di impunità o di divieto di censura non possono trovare giustificazione nella presunta maggiore esposizione della politica agli attacchi di avversari senza scrupoli.
La politica, vissuta com’è nell’era moderna, come una professione a pieno titolo deve necessariamente implicare un rischio non diverso da quello a cui si espone chi gestisce una qualunque intrapresa: suonerebbe bislacca, - per fare un esempio, - la rivendicazione di un qualunque imprenditore di leggi che lo pongano al riparo da eventuali accertamenti su presunta evasione fiscale solo per il fatto presunto di non godere della simpatia dei concorrenti.
Vi è infine una questione che rende, - in questo caso sicuramente, - peculiare l’esercizio della politica. Ed è la questione della rettitudine morale ed etica che deve ispirare il comportamento di chi sia chiamato a gestire il bene pubblico. E fino a quando il vecchio concetto sull’obbligo della moglie di Cesare di essere più virtuosa del proprio marito, la cui virtù si assume indiscussa, non sarà metabolizzato dai nostri politici (non nel senso in cui secondo Plutarco la frase fu pronunciata dallo stesso Giulio cesare in tribunale, ndr), non vi potrà essere nei fatti né serietà della politica né rispetto per l’esercita.
Ma come dice un anonimo sul web, la cosa che desta più sconcerto è “il fatto che dopo un’esperienza secolare di queste schifezze c’è ancora chi va a votare per mandare al potere chi glielo mette in culo!” (www.contrappunto.org/culturaecreatività/lamogliedicesare.html)
(nella foto, Pietro Marrazzo, presidente della regione Lazio, coinvolto in un caso di transessuali)

lunedì, ottobre 19, 2009

I pentiti e i dissociati della destra


Lunedì, 19 ottobre 2009
Se non si fosse trattato di una pubblica dichiarazione, fatta al convegno organizzato dalla Banca Popolare di Milano alla presenza dei segretari confederali di CGIL-CISL-UIL, ci sarebbe da credere che si sia trattato del solito scoop malevolo ai danni del politico di turno. Ma questa volta non è così. Intanto perché il politico è quel Giulio Tremonti, al quale, com’è noto, piace poco scherzare e, secondariamente, perché la dichiarazione è di quelle sensazionali, al punto da rimettere in discussione anni e anni di politica sociale sostenuta da Forza Italia, prima, e PdL poi e che con ogni probabilità va oltre il senso del dichiarato per preludere ad un radicale cambiamento nell’approccio ai problemi del mercato del lavoro in un imminente futuro.
«Non credo» - ha detto il ministro - «che la mobilità sia di per sé un valore. Per una struttura sociale come la nostra, il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia. La stabilità del lavoro è alla base della stabilità sociale». La globalizzazione ha imposto una flessibilità del lavoro che, secondo Tremonti, «non ha trasformato il quantum di lavoro ma la qualità del lavoro, passato da fisso a mobile. Era forse inevitabile fare diversamente», ma oggi questo modello non è più attuale, quantomeno nella nostra realtà nella quale della flessibilità si è abusato oltre ogni misura: il posto fisso è, dunque, «la base della stabilità sociale».
Se le nuove intuizioni di Tremonti, ministro neanche di second’ordine del governo Berlusconi, sono in questa direzione vi è da credere che le dichiarazioni in questione non resteranno senza risposta. Anzi, è molto probabile che, come è accaduto alcune settimane or sono con le farneticanti sortite di qualche sindacalista in evidente stato confusionale e le prese di posizione leghiste a proposito di una riedizione delle gabbie salariali, non mancheranno le polemiche su quella che appare in tutta evidenza una forte scossa alle certezze confindustriali e ai meccanismi di sfruttamento del lavoro particolarmente giovanile ormai radicatisi nel nostro paese.
E se com’era prevedibile non è mancato il coro di consensi da parte sindacale , anche da quella CISL che fino a ieri ha preferito proprio sui temi della precarietà del lavoro e la stabilizzazione di milioni di giovani ormai alla disperazione rompere l’unità con la CGIL, sul fronte imprenditoriale c’è da aspettarsi una reazione non certo conciliante e disponibile.
Il buon Tremonti sa bene che lo stravolgimento di fronte che propone si ripercuoterà sulla fiducia al governo da parte delle categorie che, sino a questo momento, hanno dissimulato il pieno appoggio alle politiche berlusconiane, traendone profitti enormi, spacciati molto spesso per contributi insignificanti messi in atto per permettere loro di fronteggiare la crisi più dura del nuovo millennio.
Ma è questa conoscenza delle aree nelle quali si annida il consenso al governo di centro-destra e, ciononostante, il lancio di una sfida che lasciano presumere come la fronda anti-Cavaliere stia in realtà lievitando giorno dopo giorno, coinvolgendo non i soldatini e gli indomabili fan, quanto l’ammiragliato della coalizione, sempre più convinto che Berlusconi sia oramai alla frutta e occorre attrezzarsi per rimpiazzarlo riguadagnando la simpatia delle categorie che pur avendo votato per la coalizione attualmente al potere, stanche e disgustate dal trattamento subito ad opera di Prodi e suoi boys di sedicente sinistra, sono state quelle che più duramente hanno pagato il prezzo della crisi.
Anche le sue dichiarazioni in difesa della Carta Costituzionale allo stesso convegno, Costituzione ritenuta «ancora valida», ma «non del tutto applicata», confermano lo spessore dello scontro con un Berlusconi che ancora oggi insiste per una revisione della stessa, per rendere maggiormente “moderno” il ruolo del premier e del governo.
La guerra di successione è tutta aperta e non è certo ancora possibile immaginare chi saranno i vinti e i vincitori. Certo occorre tenere in debito conto l’eventualità che il Cavaliere, stanco della fronda, non si avvalga dei suoi poteri e richieda al Capo dello Stato di mandare tutti a casa, chiedendo agli elettori di esprimere un giudizio sulla sua persona e sulla capacità che ancora ritiene di avere nell’esercitare la leadership di un partito, il PdL, e una coalizione, che giorno dopo giorno sembrano sempre più allo sbando e incapaci di realizzare iniziative che possano ridare allo stuolo crescente di disperati un barlume di speranza.

venerdì, ottobre 09, 2009

La nuova marcia su Roma di un premier disperato


Martedì, 6 ottobre 2009
«Si sono messi in testa di farmi fuori, dobbiamo rispondere! »
Mancava solo un muscoloso “Ehia, ehia, alalà” e poi il quadro sarebbe stato completo.
A fare infuriare il Cavalier Viagra è stata la concomitanza della sentenza sul lodo Mondadori, che condanna le sue aziende ad un risarcimento di 750 milioni a favore della CIR, e la pronuncia di illegittimità della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, che ha demolito il castello di cartapesta in cui ha creduto di potersi asserragliare per sfuggire alle maglie della giustizia. In più, il 3 ottobre scorso aveva dovuto subire l’onte della contestazione di piazza, - e che piazza!, - con una partecipazione così numerosa come non se ne vedeva da tempo in difesa della libertà d’informazione, quell’informazione che vorrebbe prona e pedissequa al suo delirante potere assoluto.
Allora cosa pensa di fare il democratico Berlusconi? Come conviene in queste circostanze a chi ritiene che il potere competa a colui che è in grado di esibire appendici più voluminose dell’avversario, medita di chiamare a raccolta federali e balilla per organizzare una contro-manifestazione, per contarsi, per mostrare i muscoli e far veder da che parte sta il popolo, - poco rileva che il sapore dell’iniziativa vada otre la nostalgia del ventennio e ricalchi uno stile sudamericano di dubbio gusto.
Contemporaneamente lancia proclami da Palazzo Grazioli, a tiro di schioppo da piazza Venezia, e incita il popolo con vaneggianti deliri sulla persecuzione cui sarebbe sottoposto.
«Sono sempre stato assolto. Due volte ho avuto la prescrizione, che non è una condanna. Sono l'uomo politico più perseguitato di tutta la Storia, di tutte le epoche del mondo, con 2500 udienze. Non sono comunque impensierito. Ho tutte queste cause perché sono presidente del Consiglio e rappresento un argine alla sinistra in Italia. I processi di Milano sono autentiche farse. Andrò in tv e lo spiegherò agli italiani. Vogliono sovvertire il voto degli elettori».
Naturalmente, finge di non capire le ragioni di coloro che da anni insistono sul fatto che, se non avesse nulla da temere, allora dovrebbe sedersi davanti ai magistrati e attendere, come qualunque cittadino con risorse economiche largamente inferiori alle sue e qualche grado di potere in meno che la verità e la giustizia trionfi, piuttosto che nascondersi dietro i paraventi di una sospettosa ricerca d’impunità ad ogni costo.
A dargli manforte, ovviamente, tutta la schiera dei promoter della sua immagine, prontamente ascesa in campo a rilasciare ridicole dichiarazioni su presunte sentenze politiche dei giudici costituzionali e manovre ordite ad arte, per costringere il loro capo alle dimissioni dall’incarico di capo del governo.
Lo stesso presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ormai si annovera nella lista dei traditori della causa berlusconiana, nel prendere atto delle determinazioni della Corte Costituzionale, ha invitato il presidente del consiglio al rispetto della sentenza di incostituzionalità del lodo Alfano e ad attenersi alle regole normative valide per tutti i cittadini della Repubblica.
Su altro fronte, ultime in ordine di comparizione, tuona Antonio Martino, ex ministro della difesa nel precedente governo Berlusconi, che sottolinea come la politicizzazione della sentenza di illegittimità costituzionale traspaia dalla pretestuosa considerazione che una legge costituzionale, - come quella che preveda l’immunità delle alte cariche delle istituzioni, - non possa essere promulgata con una legge ordinaria (sic!). Né, secondo Martino, con il lodo sarebbe stato leso il principio d’eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione: piaccia o meno il capo del governo, il presidente della repubblica, i presidenti di camera e senato non possono ritenersi comuni cittadini e, - dunque aggiungiamo noi, - possono in pendenza di mandato farsi i cavolacci loro senza timore di conseguenze giudiziarie. Nel caso del premier, poi, che tali cavolacci siano stati fatti addirittura prima di assumere detta carica o che detta carica, unitamente al mandato parlamentare, sia stata l’éscamotage per interporre il diaframma dell’immunità dall’azione della giustizia (evidentemente insufficiente, dato che era stato necessario persino il lodo Alfano), poco rileva e non deve generare il legittimo sospetto che il tutto sia stato costruito ad arte.
Evidentemente non era bastata l’esperienza dell’inutile tentativo di salvare dalle conseguenze della condanna definitiva Previti, per convincere Berlusconi e i suoi boys della spericolatezza dell’iniziativa bocciata ora dalla Corte Costituzionale, così come la disgraziata esperienza del ventennio, preceduta da analoghe premesse e adunate di popolo nessuna traccia deve aver lasciato nella memoria del Cavaliere. C’è da augurarsi, comunque, che almeno piazzale Loreto a lui che è milanese qualcosa rammenti.








domenica, ottobre 04, 2009

Belpietro, l’insostenibile leggerezza del pensiero


Domenica, 4 ottobre 2009
Non c’è che dire. Se si dovesse scegliere tra Maurizio Belpietro, neo direttore di Libero, e Vittorio Feltri, altrettanto neo direttore de Il Giornale, l’abominevole foglio di proprietà della famiglia Berlusconi, non poco sarebbe l’imbarazzo, visto che entrambi sembrano realizzati a stampino per trasferire al mondo il senso più ostinato e sgradevole della difesa ad oltranza degli interessi della fazione politica per la quale tifano senza averne mai fatto mistero.
Tuttavia, mentre Feltri usa argomentazioni spietate e velenose, raramente concedendo qualcosa al sorriso e l’ironia, Belpietro, incarna la saccenza maldicente e spocchiosa, che lo induce costantemente ad esternare l’irrefrenabile disprezzo per avversari e dissidenti dal suo pensiero, al punto da concludere con monotoni e ripetitivi inviti a continuare a studiare per diventare professionali opinionisti di ciò che affermano e, dunque, poter assurgere il suo rango e competere con lui.
Entrambi, comunque, è impossibile non immaginarli in livrea e guanti bianchi, pronti a servire al padrone di Arcore un dolcetto sotto forma di volta in volta di complimento, accondiscendenza, sperticata difesa delle gesta, difesa ad oltranza e così dicendo, dato che in omaggio a Machiavelli tutto sono grazie al principe e nulla sarebbero se lui non ci fosse.
Tra l’altro, mentre il buon Feltri non frequenta i boudoire messi a disposizione dell’arrogante vanità del Cavalier Viagra dai megafoni di turno, - come quello di tal Bruno Vespa, che non perde occasione per rendere riverente omaggio al capo del governo, - non si sa bene se per non gradimento da parte dei conduttori di turno o perché con quel grazioso profilo da segugio stanco non fa audience, Belpietro è sempre in prima linea, con il suo sorriso sfottente e malignetto, a dar simpaticamente del pirla o dell’ignorante a chi osa prendere parola e contrastate la sua tesi, le sue certezze, la sua verità assoluta e incontrovertibile.
E ne ha per tutti. Ne ha per Travaglio, per Santoro, per Di Pietro, per De Gregorio e quanti osino esibire documentate teorie sugli sfracelli provocati dal suo beniamino, al punto da incalzarli senza ritegno con maligne insinuazioni ora sulla sobrietà ora sulla capacità di svolgere con la dovuta competenza il rispettivo mestiere.
La stessa questione della libertà di stampa e d’opinione, così attuale nel paese, tanto da divenire oggetto di disamina in sede comunitaria e motivo di una manifestazione di protesta senza precedenti, è per lui un falso problema ordito da oscuri, - ma poi non così tanto, - poteri per lanciare l’ennesimo inconsulto attacco contro quel santuomo di Berlusconi, sul quale giura che, tra una escort e l’altra, non fa che affliggersi per il destino dell’Italia.
E se lo sostiene lui che in Italia non esiste una questione di libertà di espressione del proprio pensiero, c’è da credergli, potendosi presentare al mondo come l’esempio più fulgido e cristallino d’indipendenza ideologica e di fonte di libera e obiettiva informazione. Certo, se messo alle strette dalle evidenze, non può non prendere atto che il suo beniamino va a puttane, come si dice senza mezzi termini ed eleganti quanto ipocriti eufemismi, ma immediatamente ci ricorda che questa è questione privata, che nulla ha a che vedere con il ruolo pubblico del Cavaliere, il quale non risente certo di questa profusione d’energia nell’azione di governo. E a chi gli fa notare che delle puttane di Berlusconi poco interessa al popolo, al quale sta invece a cuore che queste non possano avanzare alcun diritto di sedere in parlamento grazie ai servizi resi, allora obietta che si tratta d’illazioni indimostrato e di maldicenze di stampa sovversiva.Non c’è che dire, un bell’esempio di obiettività e d’indipendenza al punto tale che decidesse cambiar mestiere, magari perché schifato d’essere assediato da tanti colleghi che non la pensano come lui e così potere finalmente uscire da questo isolamento intellettuale in cui si sente, non ci daremmo pena, anche se i cattivi maestri fanno sempre scuola e già c’è un certo Minzolini, Augusto Minzolini, che dalla poltrona della RAI ammicca e si prenota.

(nella foto, Maurizio Belpietro)

L’ipocrisia della sinistra


Domenica, 4 ottobre 2009
In quest’Italia crepuscolare, fatta di miserie e di disperazioni; di terremoti-palcoscenico per lo sciovinismo opportunista dei potenti; di frane e alluvioni causate dalla dilagante delinquenza politica prima ancora che dalla furia della natura, dalla criminalità economica e finanziaria di un’imprenditoria proterva e famelica; della maleducazione esemplare di una casta politica che pensa solo ai fattacci propri e non certo al cittadina o ad onorare il mandato rappresentativo; di milioni di disoccupati e sfruttati; di immigrati disperati e perseguitati dal razzismo montante, da ieri abbiamo anche il vergognoso pregio di distinguerci nel consesso civile europeo per aver sancito per legge che rubare, evadere le tasse, nascondere fior di miliardi all’accertamento della loro liceità, portando questi ricavi malavitosi nei paradisi fiscali sparsi nei quattro angoli della terra, è del tutto legittimo perché prima o poi i rappresentanti di questo marciume, assurti a governo del paese, fanno una legge per consentire il rimpatrio di questi proventi, rendendoli definitivamente leciti.
Tutto ciò con un tremendo ceffone in pieno viso, se non a due mani, per coloro che le tasse le hanno sempre pagate o per senso di responsabilità verso il paese o, più semplicemente, perché non erano in grado di poter evadere le forche caudine del fisco come qualche roboante nome dell’industria o della finanza.
Ma ciò che stupisce non è tanto una leggina di sanatoria a favore dell’ennesima categoria di delinquenti, - la storia italica e zeppa di sanatorie edilizie, condoni, concordati contributivi, indulti e categorie varie di provvedimenti a favore della peggiore feccia che ammorba la nostra esistenza, - quanto il fatto che l’ultima di queste volgari violazioni del principio fondamentale della democrazia, noto a pochi eletti con il nome di eguaglianza di trattamento davanti alla legge, sia passata con il pomposo appellativo di “scudo fiscale” con il consenso di tanti sedicenti difensori di quel principio di egualitarismo che si diceva prima.
Questo fatto dimostra, - se mai vi fosse stato qualche dubbio, - che la catena dell’opportunismo e del disonore per l’abito che indossano lega saldamente l’intera casta politica del paese, da destra a sinistra, senza eccezione alcuna.
Lo dice la cronaca parlamentare di una votazione del provvedimento in questione, che fa registrare l’assenza tra i banchi dell’opposizione di ben 29 onorevoli, - che di onorevole hanno, nei fatti, molto poco, - assenza più che sufficiente per far passare senza colpo ferire, - si badi, con lo scarto di appena 20 voti, - l’approvazione dello “scudo fiscale” e, dunque, la sanatoria a favore dei farabutti di cui si diceva prima.
Quest’assenteismo colpevole ha interessato tutte le componenti della cosiddetta opposizione, UDC 6 (16,2% dei rappresentanti in parlamento), IdV 1 (3,8%), PD 22 (10,6%), partiti che si sono prontamente affrettati a dichiarare pubblicamente il dissenso e la condanna per il provvedimento: come dire, predicando bene e razzolando malissimo.
Cosa aggiungere a commento di questa ennesima giornata di buio pesto per la democrazia e per le coscienze se non che alcune azioni scellerate della vecchia coalizione di centro-sinistra al governo prima di Berlusconi hanno determinato la scomparsa dalla scena parlamentare di parecchi partiti storici della sinistra. Così continuando c’è il concreto rischio di un’ulteriore limatura a sinistra, considerato che il popolo non più bue, - almeno per quanto alla pazienza, - come tanti dei nostri politici vorrebbero e certamente al momento opportuno saprà dare la giusta risposta ai tanti ciarlatani che affollano la squallida scena di Montecitorio.
(nella foto, Enzo Carra, parlamentare del PD assente ingiustificato alla votazione finale del provvedimento)