mercoledì, agosto 31, 2011

Sbornia di potere o potere degli sbronzi?

Mercoledì, 31 agosto 2011
Il dubbio era venuto. Era un tarlo che rodeva, un sospetto pressante che s’ingigantiva già da tempo, ma sul quale mancava il pur minimo elemento di prova. Ma ieri il dubbio attanagliante finalmente s’è sciolto.
Ebbene sì!, i nostri politici sono avvezzi all’alcol. Bevono come spugne. S’intende, roba pregiata, con tante bollicine ed etichetta rigorosamente francese – la “robaccia” nazionale è lasciata al consumo dei pezzenti, quelli della defunta classe media e o di qualche parvenu in vena d’auto promozione sociale. Naturalmente tutto a spese dei cittadini, che presumono felicissimi di sapere che i loro rappresentanti sono nelle migliori condizioni di spirito quando elaborano o partoriscono una portentosa pensata che li riguarda. D’altra parte è più che giustificato che un onorevole consesso di così tanti onorevoli personaggi stemperi le tensioni sorseggiando un calice di nobile champagne. Ormai anche nelle stanze del potere vige un ferreo divieto di fumo, peraltro da sempre aborrito dall’eccellentissimo presidente del consiglio, e quindi un buon bicchiere è quello che ci vuole in surroga.
Questo dubbio ce l’ha definitivamente rimosso Silvio Berlusconi in persona, che ieri dopo oltre sette ore di vertice con Bossi, sulla questione dei ritocchi da apportare alla manovra anticrisi, ha annunciato che l’intesa era raggiunta e si sarebbe brindato al buon esito del meeting.
Tuttavia, il premier ha omesso di precisare che le libagioni non sono prassi conclusive degli incontri, ché qualche birichino scostumato, forse ottimista com’è vezzo di quegli incontri, allunga la mano prima ed inizia a sorseggiare qualcosina anzitempo del via ufficiale. Certo, il pericolo è quello d’alzare troppo il gomito, ma nel marasma delle decisioni, delle contro decisioni, delle conferme e delle repentine smentite, ormai è difficile stabilire se certi risultati sono il frutto delle sbronze o il parto di menti obnubilate di proprio.
Un esempio lampante, ultimo in ordine di tempo, l’abbiamo avuto ieri con le trionfali dichiarazioni sui correttivi apportati alla manovra economica, che prevedevano tout court l’abolizione del servizio militare (obbligatorio) e dei riscatti laurea dal computo degli anni utili ai fini dell’anzianità di pensionamento. Una norma che, oltre a sputtanare irrimediabilmente i fruttivendoli della Lega, che sino a qualche ora prima giuravano sulla tenuta della linea Maginot sulle pensioni, sollevava un inizio di moto popolare da parte di coloro che il militare sono stati costretti a farlo e, peggio ancora, da chi ha pagato fior di migliaia di euro per riscattare gli anni universitari.
Il fatto che nessuno dei provetti premi Nobel per l’economia convenuti ad Arcore per discutere la questione si sia lasciato sfiorare non solo dalla legittimità di una misura del genere, ma dall’ovvio pericolo di una discesa in strada con forconi e roncole della gente ormai schifata e all’esasperazione, la dice lunga sul livello alcolemetrico che doveva esserci nelle stanze dell’importantissima trattativa, nella quale, c’è da giurarci, fosse per caso entrato un qualunque carabiniere si sarebbe proceduto ad una retata senza guardare in faccia i convenuti.
E che il nettare che scorre in quegli ambienti debba essere di quello buono n’è riprova la durata della sbornia, impossibile da smaltire anche a distanza di parecchie ore dall’ultimo bicchiere consumato.
Anche questo s’evince dal comportamento di certi personaggi, che convinti di far proseliti a basso costo con le corbellerie che predicano contro i presunti nemici storici dell’efficienza dell’economia, continuano a sostenere la validità di norme dal sapore persecutorio contro i pubblici dipendenti, ai quali ora si blocca lo stipendio, poi si blocca l’anzianità, per passare all’imposizione di vere e proprie corse ad ostacoli per raggiungere la pensione e, infine, con assurde, minacce di cancellazione della tredicesima qualora gli obiettivi di bilancio, si badi bene!, fissati alle direzioni generali nelle quali hanno infiltrato i loro servi e lacchè, non dovessero essere raggiunti.
In tutta verità è doveroso riconoscere che scemenze simili non era stato in grado di partorirle il Duce in persona, quel mentecatto di un Benito Mussolini che, come tutti i dittatori, certo non brillò per senso di giustizia e lungimiranza, ma è indubbio avesse un pò di sale in zucca.
C’è voluto un medico prestato alla politica – sperando che non si sia trattato piuttosto d’un maligno regalo – per ritenere che le sortite da bullo di terza mano potessero fare carta straccia di norme costituzionali che tutelano i cittadini e i loro scarsi diritti dalle farsesche quanto proterve discriminazione estemporanee del pirla di turno.
Se si realizza, poi, che questa vergognosa macelleria umana è motivata dalla necessità di evitare che qualche Briatore o Tronchetti Provera o Benetton, – giusto per citare nomi a caso di gente che non risulta iscritta nelle liste dei poveri dei rispettivi comuni di residenza né nell'agenda della Charitas – contribuisca alla disfatta nazionale con una patrimoniale sicuramente in grado di poter essere pagata senza determinare particolari sfaceli al tenore di vita di quei "poveracci", allora il giudizio cambia: non si tratta di avvinazzati che decidono il contenuto dei loro piani di risanamento all’uscita dell’osteria, tra un canto, un peto e una risata sboccata, ma di odiosi criminali che per collasso cerebrale non sanno più distinguere il confine tra decenza e pornografia.
Le opposizioni attribuiscono la malattia allo stato confusionale irreversibile in cui verserebbe la maggioranza. Ma il problema non è tanto l’individuazione della patologia, quanto l’anamnesi e l’origine delle cause della stessa, senza il cui studio è improbabile stendere una prognosi.
Peraltro, questo drappello di beoni scostumati non fa categoria a sé, ma lungo la strada ha raccolto migliaia di infettati proseliti, personaggi che definire uomini provoca un comprendibile disagio unito ad uno sconcerto inenarrabile. Ed il pensiero primariamente vola ai tanti imbrattata-carta, sedicenti giornalisti, che giorno dopo giorno ora vorrebbero convincerci della bontà delle scelte fatte dai loro miti, ora auspicano addirittura misure ancore più fellone di quanto quelle menti irrimediabilmente bacate siano state in grado d’immaginare la sera prima. Chissà, forse anche loro sperano così di poter bere una coppa di champagne……. e al popolo una salutare tazza d’olio di ricino.

martedì, agosto 30, 2011

Sempre più vicina l’ora della rivolta

Martedì, 30 agosto 2011
Qualche “villano temerario”, per dirla alla Manzoni, adesso protesta, alza il capo per far sentire la sua voce rabbiosa di dissenso nei confronti di una coalizione di governo che non ha pensato che a “fregare” la maggioranza del proprio elettorato sin dal proprio insediamento al potere.
Vi sta bene!, verrebbe voglia di dir loro, poveri e meschini illusi. Che l’accoppiata tra un cialtrone padano e un imbonitore brianzolo sarebbe stata in grado di traghettare l’Italia verso un futuro di florida ripresa economica e sviluppo sociale era una mortale illusione, che, per carità!, ognuno aveva il diritto di coltivare. Ma questo diritto sacrosanto questo sviscerato desiderio di suicidio di massa ha finito per coinvolgere l’intera nazione, compresi quanti, Cassandra in patria, avevano già previsto quel che sarebbe accaduto e avevano fatto appello al sordo buonsenso di quanti, con una croce su una scheda elettorale, hanno finito per firmare la condanna a morte dell’Italia intera.
Questa coalizione, segnata nel dna dalle perverse aspirazioni e dai malefici interessi dei suoi leader, ha portato il Paese ad un livello tale di disfatta che, persino Caporetto, meriterebbe di essere riclassificata tra le pagine festose della storia italica. Bossi da una parte, - un ottuso e volgare opportunista, assurto, nel vuoto delle idee e nello scempio dei valori, a protagonista illuminato e lungimirante della politica nostrana, - e Berlusconi dall’altra, - un personaggio oltre i limiti di ogni decenza in quanto a trasparenza, onestà, e ogni altra virtù decantata ad esempio di umano valore, - hanno trasformato lo Stivale in una cloaca senza confine, in cui è rimasto spazio solo per il trionfo degli egoismi più esasperati a danno di milioni di categorie eterogenee di disgraziati, che spaziano dai lavoratori dipendenti ai pensionati, dai giovani agli anziani, dai deboli per storia ed origine familiare ai perseguitati dalla natura come gli invalidi, dal sottoproletariato urbano ai ceti medi. Tutti indistintamente considerati meno che schiavi e a cui far pagare per intero e senza sconti il peso immane di una crisi economica delle quale sono stati incolpevoli spettatori e vittime.
Tutto questo per insaziabile sete di potere personale del signor Bossi, - un guitto senza dignità avvezzo all’insulto da angiporto e pronto a commettere le stesse porcherie condannate agli avversari per difendere i propri laidi interessi (la storia professionale del figlio Renzo, detto il Trota, ne è fulgido esempio), - e la guerra senza esclusione di colpi per evitare la gattabuia di Berlusconi, venduta a migliaia di coglioni come la conversione di uno squalo senza pudore e regole alle ragion di stato.
Oggi, a leggere sul Corriere della Sera i commenti della gente dopo l’ultimo “aggiustamento” alla criminale manovra economica varata dall’esecutivo, non può non provarsi un senso infinito di sconforto e d’amarezza. «Questa "manovra" è la solita presa in giro (elettorale), tolto la "schifezza" che hanno deciso sulle pensioni il resto non porterà neanche un euro in tasca di conseguenza fra sei/uno mesi/anno ci ritoccherà l'ennesima manovra ma questa volta sarà un salasso per tutti NOI "ricchi" dipendenti maledetto a me che li ho pure votati)!!!!!», scrive il lettore Dino Sauro. «Ero sulla soglia della pensione e mi hanno sbattuto la porta in faccia. Un grazie alla lega che ha calato le braghe senza pudore e diventa complice del furto ai danni di cittadini che la pensione e il tfr se lo sono guadagnato risparmiando ogni santo mese con le trattenute in busta paga. Nessuno dice che l'INPS che pure finanzia assistenza e previdenza (negli altri paesi l'assistenza è a carico della fiscalità generale) è in attivo con un saldo di bilancio di 5 mln di euro . Rubano i nostri sudati risparmi per non tassare i ricchi... per non tassare gli evasori , CHE SCHIFO», sottolinea tal “meltemi1”, seguito a ruota da “stillybee” che denuncia: «Non si potrà cioè più utilizzare il riscatto del corso di laurea". Questa si chiama truffa per chi ha pagato in toto o in parte con patti contrattuali precedenti. Una legge che sarà bloccata dalla Corte. Come al solito siamo in mano a dei dilettanti allo sbaraglio. E nessuno che se ne accorge?».
Non mancano i pericolosissimi richiami ad una mobilitazione generale, tutt’altro che pacifica, sintomo di un’insofferenza che sta ormai superando il livello di guardia. «Ci vorrebbe una mobilitazione generale permanente ... ma gli italiani sono troppo pecoroni... guardano al loro piccolo orticello senza pensare che prima o poi sparirà anche quello. ...complimenti alla Lega ... il segugio del padrone» è il grido accorato di “pizgross” seguito da “gionyk” che non manca di avanzare improbabili ma funesti paragoni con drammi sociali non lontani dai nostri confini: «ATTENZIONE: state rischiando di portare il paese come la Libia....penso che tra non molto succederà qualcosa di simile le dittature prima o poi crollano...violenza contro violenza».
In tutto questo viene da chiedersi cui prodest questa allucinante situazione nella quale il vezzo in voga sembra quello di voler rubare ai poveri per salvaguardare l’interesse dei ricchi. Pensa forse il signor Berlusconi di riguadagnarsi una rielezione nel 2013 con la comica battuta «Non abbiamo messo le mani in tasca agli Italiani»? Crede veramente, il tapino, che borseggiato i pensionati, congelato le retribuzioni dei pubblici dipendenti, azzerato le pensioni di sostegno ai disabili, falcidiato le risorse dei comuni, segato la sanità, ucciso l’istruzione pubblica e le altre innumerevoli follie non equivalga ad aver messo le mani nelle tasche degli italiani? Aver ostacolato con pervicace disprezzo del dramma sociale della maggioranza dei cittadini l’imposizione di una tassazione di capitali neri, di redditi milionari di calciatori e squali della finanza, crede possa costituire un buon viatico per la sua rielezione?
Non sappiamo francamente decifrare cosa abbia in testa il tycoon di Arcore e il suo baldo socio padano – ammesso che effettivamente nella testa qualcosa abbiano! Certo ci pare che il continuare in questo mortale gioco delle tensioni implichi pericolosissimi rischi per la democrazia e per il futuro del Paese, che dovrebbe far sorgere il sospetto di quanto appaia sempre più improbabile che al 2013 si possa arrivare con la testa saldamente attaccata al collo.


venerdì, agosto 26, 2011

Sei ladro? Meriti un posto di potere!

Venerdì, 26 agosto 2011
Ladro!, cos’altro definire il signor “onorevole” (per i suoi pari!) Aldo Brancher, ministro per 17 giorni di questa svergognata repubblica del plurinquisito Silvio Berlusconi, che adesso torna alla ribalta delle cronache per aver assunto, in silenzio e senza che nessuno abbia contestato la cosa, la presidenza dell’Odi (organismo di indirizzo) istituito nel gennaio di quest’anno con la firma di Tremonti e Berlusconi.
Un altro ente inutile, almeno per la collettività, ma sicuramente utile al mariuolo di turno, che perso il posto da ministro (sebbene fortunatamente senza portafoglio!) è stato sistemato alla presidenza di un organismo che curerà la spartizione di 160 milioni tondi entro la fine di quest'anno, con sede a Verona e personale distaccato dal potente ministero dell’Economia.
I soldi sono destinati ai soli comuni veneti e lombardi delle fasce di confine con Trento e Bolzano. L'idea era stata lanciata già nel 2008 per frenare la mini-secessione dei centri di montagna, che progettavano di abbandonare le regioni padane per entrare nelle ricche province a statuto speciale. Così, per frenare quest’emorragia cosa ci si poteva inventare di più suggestivo se non una sorta di “Caritas” pubblica, che dispensa sussidi milionari – c’è solo da immaginare i metodi! - alle amministrazioni recalcitranti attratte dalle ben più generose Regioni con autonomia di spesa e di gestione del tutto speciale.
A darne notizia è l’Espresso, il settimanale del gruppo Caracciolo-De Benedetti, che non mancherà di subire chissà quali feroci attacchi per aver rivelato al grande pubblico un’altra delle vergognose iniziative di una classe politica di governo la cui etica vale meno di un sacco di buon stallatico.
E la critica non va tanto nella direzione della creazione di un altro baraccone inutile a danno della spesa pubblica, quanto al fatto che un ladro conclamato, riconosciuto tale da una sentenza definitiva della Cassazione e salvato dalla gattabuia dall’indulto, sia stato posto a presiedere, con tanto di amministrazione di denaro collettivo, quel baraccone. Sì, perché i costi di finanziamento del baraccone sono a carico delle due province autonome di Trento e Bolzano, che, per inciso, non sono amministrate dal centrodestra, mentre, oltre a nominare gli otto componenti dell'Odi (quattro per il governo, quattro per gli enti locali), è lo stesso decreto Berlusconi-Tremonti a regalare a Brancher la poltronissima di "presidente, in rappresentanza del ministero dell'Economia, per i prossimi cinque anni".
L'atto governativo, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 marzo, è entrato in vigore d'urgenza la mattina successiva, - informa l’Espresso. Appena tre settimane prima, l'”onorevole” ex dirigente Fininvest, si era visto confermare dalla Corte d'Appello la condanna a due anni di reclusione, graziati dall'indulto, con l'accusa di aver intascato fondi neri per 827 mila euro, intascati in parte attraverso contratti di comodo intestati a sua moglie Luana; in parte ritirati di persona, in contanti, in luoghi ameni e insoliti, come il parcheggio dell'autogrill di San Giuliano Milanese. Soldi sporchi, perché sottratti alle casse di una banca, la Popolare di Lodi, tra il 2001 e il 2005, quando a guidarla era Gianpiero Fiorani, che dopo l'arresto confessò anche quelle mazzette versate "in cambio dell'appoggio” del politico alle sue malefatte. In luglio la Cassazione ha riconfermato la colpevolezza del deputato, denunciando pure un suo tentativo di far saltare l'udienza finale, inventandosi un domicilio fittizio, nella speranza di salvarsi con la prescrizione, come era riuscito a fare già due volte, ai tempi di Tangentopoli. Tra un processo e l'altro, nel 2001 Brancher è diventato parlamentare, sottosegretario del premier Berlusconi e nel 2010 ministro per 17 giorni, giusto il tempo di avvalersi della legge sul legittimo impedimento, poi dichiarata incostituzionale. Ora è un “onorevole” pregiudicato, per reati che dovrebbero sconsigliare di affidargli denaro pubblico: tecnicamente l'appropriazione indebita equivale a un furto aggravato, mentre l'accusa di ricettazione colpisce chi incassa un bottino rubato da altri ladri. Ovviamente di dimettersi dall’incarico nel baraccone, neanche a parlarne. E’ noto al mondo che la magistratura, quella rossa manco a dirlo, ce l’ha su con i politici, in particolare il Cavalier Viagra e, quando non possono arrivare a lui, con i suoi cortigiani.
In somma, un altro bell’esempio di buon governo della cosa pubblica, specialmente in questi giorni tragici di trattative febbrili all’interno della maggioranza su chi letteralmente “fregare”, imponendogli l’onere delle misure anticrisi.
Al cospetto di questa barbarie e immoralità ormai radicata viene da chiedersi se nel parlamento di questa repubblica farsa siedano onorevoli deputati o, più verosimilmente, disonorevoli pregiudicati.

(nella foto, Aldo Brancher)

mercoledì, agosto 17, 2011

Fatta la legge, si trovi l’inganno!

Domenica, 14 agosto 2011
Buffoni e incompetenti! L’avevamo scritto ieri e lo ribadiamo oggi, magari con l’aggiunta di una qualificazione ulteriore, quella d’imbroglioni, alla luce di quanto sta emergendo in queste ore di febbrile valutazione della ricaduta del recentissimo provvedimento-stangata.
E l’ulteriore qualificazione ha una sua ragion d’essere, visto che pian piano emergono i trucchetti che stanno dietro alcune previsioni che mai si sarebbe potuto pensare avessero autore Berlusconi e la sua troupe, incapaci di certo, ma stupidi mai.
A parte aver fatto sparire dal testo inviato alla firma del Capo dello stato il capitoletto che prevedeva un inasprimento della tassazione per i redditi oltre i 55 mila euro degli autonomi, la manovra lacrime e sangue (per i soliti noti) e che ha provocato un’emorragia cardiaca al premier (fosse vero!), si sta rivelando una burla ancora più amara a danno dei cittadini usualmente vessati dal disprezzo di questo governo sempre più di parte.
A cominciare dalle provincie, abolite con il clamore delle trombe dei soliti venditori di tappeti, si scopre adesso che il criterio degli abitanti non basta a far decadere l’ente inutile, in quanto questo criterio andrebbe abbinato all’estensione territoriale. Ma se questo non bastasse a rendere necessaria una correzione dei numeri farlocchi di prima battuta sulle provincie abolite (38), si scopre, naturalmente, che il governo almeno per le regioni a statuto speciale (Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia) avrebbe legiferato indebitamente, in pieno abuso dei propri poteri, essendo costituzionalmente delegato ai rispettivi consigli regionali ogni decisione sull’abolizione di enti della natura di quelli di cui si parla. L’errore di valutazione di Tremonti e Berlusconi è stato tale da far passare per luminare di diritto costituzionale persino Gianfranco Micciché, il quale ha tuonato: «In questo governo siede tanta gente che non conosce il Paese. Esempio: l'accorpamento delle Province regionali di Enna e Caltanissetta è il risultato "matematico" del criterio adottato dal governo, ma è un risultato aberrante».
Al giureconsulto Micciché ha fatto eco un altro berlusconiano d’acciaio, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ricordando che la competenza su queste faccende, a casa sua, non è di Roma e, dunque, le Province di Trieste e Gorizia non saranno abolite, ma semmai accorpate. Anzi, già che c'era, ha precisato che lui non abolirà neppure i Comuni sotto i 1.000 abitanti: «Manterranno i municipi e i sindaci, ma verranno accorpati i servizi». Come dire, non è una questione di servizi, che possono benissimo essere erogati da un'altra parte, ma le cadreghe su cui poggiano i deretani dei politicanti di seconda fila o dei trombati in parcheggio e in attesa di rispiccare il salto non si toccano per nessuna ragione.
E’ del tutto inutile precisare che con analogo ragionamento sulle prerogative costituzionali delle regioni a statuto speciale e con l’incrocio del dato popolazione/estensione territoriale son saltate quasi il 50% delle cancellazioni già date per certe. Ma l’effetto psicologico su tanti cittadini, che magari si saranno fermati allo scoop iniziale, è stato in parte raggiunto. Finalmente qualcuno s’è deciso a tagliare gli enti inutili, ma che poi nei fatti non se ne faccia niente sarà stata colpa dei soliti “comunisti”, usi ad ostacolare le decisioni provvidenziali di chi ormai abitudinariamente si spaccia per salvatore della patria pur infliggendo colpi mortali alla povera gente.
Ma ciò che sconvolge in quella che sempre più appare oramai la genesi di una manovra-farsa, è il dissenso montante all’interno della stessa coalizione di maggioranza, che reclama a gran voce correttivi ora sul contributo di solidarietà del 5 e del 10% - peraltro già svelato come un bluff, visto che sarà deducibile in fase di dichiarazione dei redditi o che inciderà in maniera a dir poco ridicola sui redditi dei parlamentari, sebbene previsto al raddoppio nel loro caso, considerato che oltre 500 rappresentanti di questa categoria di “lenoni di stato” dichiara redditi di 50 mila euro circa, - ora su qualcos'altro. Senza contare i finti paladini dei diritti dei vessati, come gli statali, verso i quali lo stesso Bossi ha già teso la mano per difendere pensioni, tredicesime e trattamenti di fine rapporto nel mirino di questa manovra iniqua oltre ogni limite.
C’è infine chi attacca la manovra suggerendo di trasferire i meccanismi di maggiori introitazione sull’IVA, che, qualora aumentata di qualche punto percentuale, avrebbe potuto surrogare le previste misure di limatura dei redditi.
Insomma siamo nella classica situazione del prospera omnes sibi clamant, che si contrappone all’altrettanto nota situazione che vede orfane le misure negative e impopolari. Poco importa che la manovra sia stata approvata all’unanimità del consiglio dei ministri, salvo non doversi confermare che quell’unanimità sia stata frutto di qualche libagione in eccesso consumata a palazzo Chigi durante la votazione.
Certo è che chi sperava che la manovra contenesse un timido accenno a provvedimenti di rilancio dell’economia non solo è andato deluso, ma si chiede anche come potrà realizzarsi il rientro dal deficit catastrofico oramai a 1900 miliardi di euro, visto che i soldi a disposizione della gente non bastano più neanche a garantire la consumazione di un pasto al giorno per i 30 giorni di ogni mese e che non c’è alcun surplus per pagare debiti pregressi.
E chi avesse ancora il dubbio che l’avventura con Berlusconi al governo sarebbe stata una catastrofe, adesso è servito: per restare in tema, veritas filia temporis.

(nella foto, l'aula del Consiglio dei Ministri a palazzo Chigi)


sabato, agosto 13, 2011

Un Paese schiacciato dal governo degli inetti

Sabato, 13 agosto 2011
Buffoni incompetenti. Non v’è modo diverso per qualificare la marmaglia capeggiata dal Pifferaio di Arcore che nelle ultime ore ha sfornato un ulteriore torta avvelenata per il Paese. Una torta da 45 miliardi di euro da gustare comodamente seduti sul divano nel biennio 2012/2013, in aggiunta a quella egualmente tossica da 84 miliardi, preparata con altrettanto disinvolto cinismo appena tre settimane or sono dagli stessi cuochi, assistiti dallo stesso staff di sguatteri.
E la cosa che drammaticamente emerge persino gettando un rapido e svogliato sguardo al manicaretto è che parlare di sviluppo e di rilancio dell’economia per i mestatori d’ingredienti dev’essere sembrato come bestemmiare in Vaticano, visto che da nessuna parte c’è uno straccio di richiamo a norme che pallidamente facciano pensare a misure di sviluppo o di ripartenza del sistema economico ormai ingrippato.
Lacrime e sangue, questa è stata la ricetta di base, riservate però a quella schiera bastarda e senza patria che da sempre deve svenarsi sotto il peso di tasse, imposte, accise, balzelli e veri e propri atti di rapina grave compiuti dallo stato ai danni dei dannati, mentre politicanti ed evasori, quelli numerosi e veri che appestano come topi di fogna e immondi scarafaggi la vita dell’Italia, continueranno a fare i loro porci comodi.
Questa incontrovertibile verità emerge dall’analisi delle misure medesime che, come puntualizza Massimo Giannini su la Repubblica di oggi, si rivelano «evanescenti nel merito e urticanti nel metodo». Sì, perché mentre gli oneri a carico della gente comune sono ben elencati e tangibili, – tassazione aggiuntiva dei redditi dei lavoratori dipendenti, ulteriore stangata sugli stipendi di quella “feccia” costituita dagli impiegati della pubblica amministrazione, aumento dell’età per andare in pensione delle donne, - nulla di concreto investe il bubbone che, a gran voce di popolo, sarebbe stato essenziale estirpare: i costi della politica, per i quali s’è prevista una dubbia eliminazione delle provincie con meno di 300 mila abitanti (dopo l’aggiornamento dei dati del censimento!) e l’accorpamento dei comuni con meno di mille abitanti; mentre nulla che riguardi taglio delle pensioni e degli abnormi benefici goduti dai sedicenti onorevoli è reperibile all’interno della manovra. Che poi l’atto di giustizia si concretizzi con il solo divieto per i parlamentari e i mandarini dei vari enti pubblici di viaggiare in classe business nei voli internazionali di servizio appare sinceramente una beffa provocatoria. Così come è provocatoria la balla dei 54 mila posti di pubblico amministratore soppressi (grazie all’abolizione di provincie e riduzione dei comuni), considerato che del biblico massacro non sono stati indicati né i metodi né i tempi di realizzazione e comunque non inficiano la mangiatoia romana.
«La vera e unica novità di questa stangata – osserva acutamente Giannini - è il cosiddetto "contributo di solidarietà" per i redditi più alti. Una misura che, nella forma, vorrebbe ricordare l'eurotassa introdotta dal governo Prodi nel '96 per raggiungere il traguardo di Maastricht. Ma nella sostanza la nuova norma è mal congegnata, e alla fine ha il solito sapore "di classe", come tutte le scelte fatte dai liberisti alle vongole cresciuti nell'allevamento di Arcore. La scelta di aggredire l'Irpef penalizza soprattutto il lavoro dipendente. La soglia scelta per il doppio prelievo fa sì che a pagare siano pochi "super-ricchi" (511 mila italiani, cioè l'1,2% dei contribuenti secondo la Cgia di Mestre) – e molto poco rispetto anche alle loro effettive capacità contributive, aggiungiamo noi. - E il tetto scelto per i lavoratori autonomi (55 mila euro l'anno) fa sì che all'imposta straordinaria sfuggirà la stragrande maggioranza di chi già evade abbondantemente le tasse (e infatti dichiara in media poco meno di 30 mila euro l'anno). Dunque, l'intenzione del governo poteva anche essere buona, ma la realizzazione è pessima sul piano pratico, e discutibile sul piano etico».
La stangata, dunque, è una miscela caotica di omissioni in tragica linea di continuità con l'impianto sostanzialmente regressivo seguito dalla maggioranza in questi tre anni. Una stangata che fa emergere prepotente l’approccio ideologico perverso di una pubblica amministrazione covo di nullafacenti, parassiti, inetti e poco di buono ai quali aver riconosciuto un posto di lavoro e uno stipendio – poco importa se da fame – è stato un regalo della Provvidenza a cui il clan dei “liberisti alle vongole” ha deciso di tagliare le gambe e i viveri. Non importa se il fango riversato addosso a questi lavoratori schizzi anche addosso a chi in questi tre anni di governo s’è rivelato incapace di far funzionare la macchina o di ritararne i meccanismi. Lo sbruffone Brunetta, evidentemente, s’è ritenuto pagato per insultare i precari e sparare stronzate sulla riduzione delle malattie e i recuperi di produttività, non certo per gestire con quell’umiltà a lui sconosciuta un mondo lavorativo afflitto da stratificate frustrazioni, ma in cui sono presenti anche enormi talenti bisognosi della giusta motivazione.
Allo stesso modo è stato trattato l'universo dei pensionati, quei lavoratori che in larghissima parte hanno già dato e, a guisa di ferrivecchi, adesso vanno sbattuti giù dal balcone affinché il primo rigattiere di passaggio se li porti via. Poco importa che abbiano pagato i contributi con i quali assicurarsi un trattamento di sostegno alla vecchiaia: in tempi di magra prima tirano le cuoia, prima finiscono di pesare su un sistema previdenziale spolpato all’inverosimile dai giocolieri delle tre carte politici e dalla famelicità di imprese dedite all’evasione sistematica o all’abuso di cassa integrazione e prepensionamenti. «Dall'altro lato, - commenta ancora tristemente Giannini - il carniere del rigore è altrettanto pieno per quanto riguarda i ministeri e gli enti locali, che patiscono il danno più devastante perché accompagnato dalla beffa del federalismo, ormai un feticcio virtuale persino per Bossi. Dopo la mannaia indiscriminata dei tagli lineari, il colpo di scure su dicasteri, regioni e comuni si accelera rispetto alla tempistica già prevista nel pacchetto di luglio: nulla di nuovo, dunque, ma l'esito non potrà non essere l'aumento dei tributi locali e l'azzeramento dei servizi sul territorio. Se è vero che c'è da soffrire (ed è doveroso farlo, perché il Paese ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità e chi lo governa ha fatto di tutto per non farglielo capire) è anche vero che non possono soffrire sempre gli stessi».
«Questa manovra è un atto di guerra contro il Paese!», ha tuonato il governatore della Puglia, Nichi Vendola. E se è vero questo grido d’allarme, allora occorre che il Paese risponda in modo adeguato, con una mobilitazione che costringa questo spregiudicato e imbarazzante drappello di scandalosi inetti a liberare le poltrone e tornarsene a casa, con le proprie gambe, prima che anche questa chance decada e si scateni l’irreparabile.

venerdì, agosto 12, 2011

Posti di lavoro in vendita

Venerdì, 12 agosto 2011
Cerchi lavoro? Prima paga il colloquio”. Così titola il Corriere della Sera di oggi l’iniziativa di una società di consulenza, la Alessandro Proto Consulting, che chiede la “modica” cifra di 100 euro ai candidati che intendono sottoporsi a colloquio d’assunzione per le ricerche di personale aperte in quella società.
Fin qui, al di là della bizzarria, potrebbe non sembrare esserci nulla di straordinario: la società in questione, ricca di migliaia di curricula proveniente da ogni parte d’Italia, decide che l’iniziativa «è una scelta strategica per operare una prima scrematura tra i candidati», come candidamente sostiene la Alessandro Proto Consulting. Ma ad un ragionamento più attento ci si rende conto che la trovata della società di ricerca di personale, in una situazione occupazionale del Paese ormai alle corde, è un escamotage per far cassa sulla pelle di tanti disgraziati in cerca d’occupazione, che definire meschina equivarrebbe a fare un complimento alla mente finemente perversa che l’ha inventata.
Ci manca pure, per completare il quadro di squallore morale e umano che emerge dalla vicenda, che qualche buontempone s’inventi una sorta di "borsa dei posti di lavoro" da aggiudicare al migliore offerente, così che mentre si sancirà il trionfo definitivo della società di censo si potrà dare un taglio definitivo all’altrettanto frustrante sistema delle raccomandazioni, con il quale s’ottiene l’analogo risultato di conquistare un posto di lavoro, gratuitamente o, se si paga, con tanto di mazzetta in nero.
E c’è da sperare che l’idea, oscena ma efficace, faccia scuola. Lo stato, la sua pubblica amministrazione, potrebbe ricorrere al meccanismo, che nell’attuale fase economica disastrosa consentirebbe non solo di risparmiare i soldi per l’allestimento dei concorsi, – esaminatori, valutatori, infrastruttura dove raggruppare i concorsisti, - ma potrebbe introitare un sostanzioso contributo da parte dei partecipanti – sovente decine di migliaia persino per un posto da bidello o di scopino – con positive ricadute sui conti pubblici. Senza omettere, nei momenti di maggiore criticità, si potrebbero bandire persino concorsi fantasma, cioè di quelli in cui a parte le promesse non ci sono posti effettivi da occupare o che dopo essere stati espletati non vedranna mai alcun vincitore, e poter fare così l’en plein.
Spiega Alessandro Proto, presidente dell’omonima società «E' una scelta strategica per una prima scrematura mirata fra le tante proposte di collaborazione. In media ricevo 10-15 curricula al giorno, contatto ragazzi dal profilo brillante ma che scopro poco ambiziosi durante il colloquio, per nulla intraprendenti o addirittura impreparati sulla mission della società. Così ho deciso di cambiare strada mettendo tutti alla prova fin dal primo step». E a suo dire pare che l’iniziativa abbia avuto grande successo (sic!): «Su dieci ragazzi contattati, cinque hanno accettato di pagare il colloquio, tre sono stati assunti», assicura Proto, dissimulando l’orgoglio per la geniale trovata. «Voglio ragazzi che dimostrino fin dal primo incontro che tengono davvero a questo lavoro e sono disposti a tutto per averlo». Sebbene quel “disposti a tutto” non si comprende se sia riferito al pagamento della gabella imposta dalla sua società o alluda a qualcosa d’altro, - che non stupirebbe al pari dell’invenzione, visti i tempi di profonda decadenza etica e morale che oramai accompagnano di pari passo il crollo costante dei valori e della nostra economia.
D’altra parte di cosa ci si dovrebbe stupire se persino nelle stanze private della presidenza del consiglio il bunga-bunga è divenuto il casting obbligatorio per accedere alla politica, al cinema o alla televisione, a quel mondo nel quale la moralità o è pura opinione o ha un’elasticità al di fuori della comune immaginazione.
In fondo, come rivela l’estensore dell’illuminante articolo, nel meccanismo messo in piedi dal signor Proto e dai suoi lungimiranti collaboratori ci sono in ballo rapporti di collaborazione pagati la strabiliante cifra di 1500 euro al mese, corroborati da un 20/30% ulteriore a titolo di premio sulle trattative andate a buon fine, che possono fa salire il ricchissimo compenso a ben 1800/2000 euro complessivi. Insomma – sebbene Proto pudicamente non lo dica – una vera e propria vincita al lotto per un giovane disgraziato condannato, altrimenti, a girarsi i pollici o a questuare un posticino precario da aspirante cameriere in qualche birreria o da commesso in qualche negozio del centro.
Complimenti, signor Proto, noi ci auguriamo che la sua meritoria iniziativa venga segnalata all’apposito comitato del Nobel per l’economia e, visto che la trovata rientra certamente tra i temi dei quali anche la Costituzione della Repubblica è il caso prenda debita nota data la moda di renderne attuali i dettami, suggeriremmo che l’art. 1 della Carta fosse opportunamente emendato con l’aggiunta, dopo la parola “lavoro”, del termine “a pagamento”.

(nella foto, Alessandro Proto, il geniale boss dell'omonima societa di ricerca di personale che ha deciso di far pagare una tariffa ai candidati che a lui si rivolgono per un colloquio di selezione)

lunedì, agosto 08, 2011

Crisi e macelleria sociale

Lunedì, 7 agosto 2011
La notizia che la BCE avrebbe provveduto all’acquisto di bond italiani e spagnoli per calmierare i mercati della speculazioni ha avuto un effetto positivo durato l’espace d’une matin. Dopo un’apertura dei mercati borsistici in forte ripresa, appena due ore dopo quegli stessi mercati avevano già azzerato ogni momentaneo recupero, dando segni di ritorno su terreno negativo.
Comunque vada la borsa questa situazioni ha aperto uno squarcio molto chiaro sulla situazione della crisi italiana. I primo luogo e checché ne dicano i cantastorie prezzolati del centrodestra, la crisi italiana è primariamente una crisi di credibilità politica dell’attuale esecutivo, che prima ha finto di mettere in piedi una manovra lacrime e sangue a tutto maleficio dei governi futuri (sanno gli attuali governanti che nel 2013 con il ritorno alle urne dovranno sbaraccare e andarsene a casa) e poi, beccati come i monelli a far la marachella, decidono di anticipare quella manovra al 2013 su “cortese” diktat dell’Europa. Quell’Europa che, solo a quel punto, autorizza la BCE ad acquistare bond italiani per evitare che lo spread BTP/bund arrivi ad un livello tale da mangiarsi il ritorno della manovra di risanamento prima che la stessa vada in vigore con conseguenze catastrofiche per tutta l'area euro.
A questo punto la paura di mettere in pratica una manovra spaventosamente onerosa, peraltro incentrata sullo scippo persino delle mutande a quei poveri cittadini che sino ad oggi hanno pagato il peso di tutte le manovre precedenti e che non dispongono certo di un centesimo ulteriore per pagare quella in fieri, diventa panico, dato che Tremonti e soci non hanno la più pallida idea in concreto di dove andare a rastrellare i soldi per pareggiare il bilancio dello stato con un anno d’anticipo sul previsto.
La scorsa settimana, poi, un incontro con le forse sociali, sindacati e industriali, aveva fatto emergere fortissima la necessità di accompagnare la prevista manovra da provvedimenti per il lavoro ed il rilancio dell’economia, poiché è del tutto a prova di cretino che se non si aumentano i redditi creando nuovi posti di lavoro e facendo ripartire l’attività produttiva non ci sono i soldi per pagare né i debiti preesistenti né le nuove gabelle che si prevede d’introdurre. Ovviamente al tavolo è stata raccomandata la rivalutazione della manovra al fine di evitare di stangare ulteriormente le classi medie e quella più povere, già surclassate all'inverosimile.
Ma la logica corrente non aveva fatto i conti con la perversa fantasia del manipolo di scellerati che si ostina a restare attaccata alla sedia che strombazza di avere il diritto d’occupare grazie al voto popolare. Infatti, l’uovo di Colombo Tremonti e soci lo hanno individuato in un’eventuale ulteriore ed ennesima riforma del sistema pensionistico: basta abolire le pensioni di anzianità e, pouf!, 4 miliardi di euro si materializzano come per incanto; basta portare immediatamente l’età pensionabile delle donne a 65 anni e, pouf!, 3,5 miliardi di euro si sommano allo strabiliante incantesimo precedente; basta rimodulare le pensioni di reversibilità, pari a 5 milioni e per un onere di 38 miliardi di euro, ed appariranno come per incanto dai 4 ai 5 miliardi di euro. Infine, con una manovrina sulle voci di detrazione attualmente presenti (assegni familiari, spese di produzione reddito, interessi sui mutui, spese mediche ed altre amenità) sarebbe possibile arrivare ad un complessivo di 20 milioni di euro, quanto basta per anticipare di un anno l’onere della manovra di pareggio.
Da sottolineare che l’abolizione delle pensioni di anzianità, secondo stime INPS, costringerebbe al lavoro 7/800 mila persone, con il conseguente congelamento di ogni ricambio generazionale e alla faccia di ogni politica di rilancio occupazionale.
Non parliamo poi di aumento né dei redditi né della sua base, senza la quale non può verificarsi alcuna ripresa dei consumi e dell'attività produttiva.
Ogni commento crediamo sia superfluo, poiché se provvedimenti così impostati non rientrano nella cosiddetta macelleria sociale allora è evidente che nella mente di qualche tenebroso componente dell’attuale maggioranza aleggia lo spettro di Jack Lo Squartatore quale demiurgo prossimo venturo al cui consulto affidarsi per risolvere le spinose questioni che attanagliano il Bel Paese.

(nella foto, Johnny Depp, nel ruolo di Jack Lo Squartatore. Sarà questo personaggio il prossimo ministro dell'Economia?)

giovedì, agosto 04, 2011

Le ricette anticrisi

Giovedì, 4 agosto 2011
«Ho tre aziende in Borsa, sono anche io nella trincea finanziaria, conscio di quel che accade sui mercati». Così ha dichiarato ieri Silvio Berlusconi in Parlamento, nel corso del suo intervento sullo stato dell’economia nazionale.
Una dichiarazione che di per sé motiverebbe l’immediata presentazione di dimissioni da capo del governo, poiché conferma definitivamente la sussistenza di quel conflitto d’interessi che per anni lo stesso premier ha negato, asserendo che, con il suo esordio in politica, aveva abbandonato ogni responsabilità formale e sostanziale all’interno del gruppo aziendale di suo proprietà e d’averne trasferito a terzi la gestione.
Ma se questo passaggio non fosse stato di per se stesso sufficiente a rimuovere ogni dubbio sulla sua inadeguatezza a condurre il governo del paese, dal suo discorso – povero di novità nella sostanza – è altresì emersa una ben più grave responsabilità del suo esecutivo, quella d’avere ingannato costantemente i cittadini con continue smentite sulla sussistenza di una gravissima crisi dell’economia nazionale, che non è solo frutto della situazione mondiale di difficoltà in cui versano le principali economie del pianeta, ma che in buona parte è da ascriversi alla mancanza di interventi incisivi e riformatori del “sistema Italia” imputabili certamente al suo governo.
Chi si aspettava dalle parole di Berlusconi qualche elemento di novità, quegli elementi di inversione di rotta o di rottura con i metodi di governo sin qui applicati reclamati dai mercati finanziari per ridare fiato alla nostra economia da tempo sotto pressione di una speculazione fortissima, non è andato deluso, visto che la pochezza politica dell’uomo e lo stato confusionale in cui versa la coalizione che lo sostiene non lasciavano presagire alcunché di innovativo nelle direzione sperata.
In buona sostanza l’audizione parlamentare di ieri ha confermato che il paese è allo sbando e si trova in un cul de sac dal quale, con l’attuale esecutivo, non è pensabile individuare il bandolo della matassa e sperare in una inversione di rotta, che getti le basi per una ripresa e per un avvio di quel risanamento del debito che ormai da tempo costituisce il cappio che ogni giorno si stringe intorno al collo dei 60 milioni di italiani.
Il quadro sconfortante e che ci lascia in balia dell’onda imprevedibile delle reazioni dei mercati finanziari e della speculazione internazionale, è apparso ulteriormente aggravato anche dal fronte del ruolo delle opposizioni, che non sono state ancora una volta in grado di cogliere il senso del drammatico vuoto di potere e formulare proposte di un’alternativa concreta e credibile.
Il maggior partito d’opposizione, il PD, ha ancora una volta aperto il suo cahier de doléance, dando lettura di quelli che a suo avviso sono state le gravi insufficienze dell’esecutivo, senza però essere in grado, a sua volta, di proporre una strategia alternativa di governo della crisi. Ben si comprende che il momento è grave e formulare proposte rischia di rendere i proponenti impopolari e di alienare loro le simpatie di un elettorato prostrato e in crisi di fiducia verso la generalità della politica. Ma è altrettanto vero che l’assenza di proposizioni alternative, anche sgradevoli per l’opinione pubblica, finisce per travolgere la credibilità di tutte le parti in gioco e di porre indistintamente sullo stesso piano maggioranza e opposizione in un giudizio senza appello d’incapacità strutturale irreversibile.
Eppure la questione dall’alto della sua drammaticità è d’una chiarezza sconcertante e la ricetta per venirne fuori non è poi così complicata come si vorrebbe far credere. Il paese è nella situazione in cui si potrebbe trovare qualunque famiglia: ha entrate di una certa entità, ma spende per vivere il 20% in più di quanto introiti. Qualunque capo famiglia in una situazione del genere non esiterebbe a tagliare drasticamente le spese e, per far fronte al debito che sino a quel momento ha contratto per finanziare il surplus di spesa, cercherebbe di individuare i meccanismi con i quali incrementare le entrate per pagare i creditori e riportare in pareggio il bilancio familiare.
La ricetta, del tutto ovvia per l’uomo della strada, trasferita in politica sembra del tutto irrealizzabile. In primo luogo perché non si riesce a trovare la quadra sulle spese da tagliare, a causa degli esiziali clientelismi che determinano i fragili equilibri.
In secondo luogo perché non si intende procedere con l’imposizione di oneri più pesanti nei confronti di coloro che possono contribuire in maniera più significativa al risanamento dei conti, grazie al possesso di redditi molto più elevati rispetto a quelli della media dei cittadini. In terzo luogo perché si è incapaci di determinare direttrici di nuovo impulso all’economia in grado di rimettere in moto la macchina produttiva, che genererebbe nuove risorse – crescita del PIL – necessarie a diminuire il debito complessivo. In quarto luogo perché non s’intende avviare in modo determinante una campagna durissima e senza sconti nei confronti dell’evasione fiscale, – valutata in oltre 150 miliardi di euro, - che costituisce un cancro mortale del nostro sistema tributario.
L’assenza di queste iniziative, frutto di assoluta mancanza di volontà politica non certo di intelligente percezione delle misure che sarebbero necessarie, è il vero snodo dal quale si dipartono a cascata tutta la serie di problemi che ingessano il paese e lo condannano ad una deriva imprevedibile. Superfluo sottolineare come appaia canagliesco di fronte a queste evidenze assumere improbabili quanto vessatori provvedimenti nei confronti di pensionati, lavoratori dipendenti, precari e quant’altro costituisca oramai una sorta di sotto-umanità riclassificata in bancomat della fiscalità pubblica per sperare di risanare i conti dello stato.
E allora, se si vuole effettivamente conferire una svolta ad una situazione che si rivela sempre più insostenibile e che, così continuando, non può che condurre ad un disastro sociale dagli esiti inimmaginabili, è opportuno che le forze politiche in campo abbandonino la reticenza e la difesa ad oltranza di ogni interesse di parte e guardino all’opportunità di un governo di unità nazionale, il solo in grado di assumersi il varo di misure impopolari, ma necessarie, e traghettare il paese verso la sponda di una nuova speranza.

(nella foto, una vignetta di Vukic di grande attualità)

mercoledì, agosto 03, 2011

Il Paese muore e la casta va in Terra Santa

Mercoledì, 3 agosto 2011
La crisi monta e si fa sempre più acuta, nonostante i penosi se non ridicoli tentativi di minimizzarne l’evidenza messi quotidianamente in atto da una maggioranza irresponsabile al limite della canaglieria. E’ come se ci si trovasse in una spirale nella quale ci si avviluppa sempre più e dalla quale uscire sembra impossibile. Eppure c’è chi continua ad ostentare le proprie iniziative per "aggredire" la caduta continua della nostra economia, osannando le pazzesche manovre mese in campo appena qualche settimana fa come le più efficaci per rallentare il processo inarrestabile di degrado economico e sociale ed incutere quella falsa speranza di inversione di rotta che coralmente viene reclamata.
Giacomo Vaciago, docente di Politica Economica all’università Cattolica di Milano, non usa mezzi termini per descrivere lo stato attuale della cose: siamo in una situazione nella quale si è rilevata la presenza di una gravissima infezione e, piuttosto che aggredire la patologia con misure sanitarie immediate, si sono varati provvedimenti che posticipano nel tempo la sperata guarigione dei malati. E’ come se ci trovassimo nel pieno di un incendio e si decidesse di domarne le fiamme fra qualche anno, convinti di poterne mantenere gli effetti circoscritti e sotto controllo.
Ma che il re sia nudo, persino privo della classica foglia di fico a coprirgli le pudende, lo dicono i mercati finanziari, che continuano a tenere sotto assedio il nostro Paese ed infliggono alla borsa quotidiani colpi di maglio, convinti che la manovra varata a pareggio del deficit del bilancio dell’Italia sia poco più di un pannicello caldo posto a curare una gravissima ferita oramai infetta. Lo spread tra i titoli del debito pubblico, necessari per finanziare la spesa, e gli analoghi bund tedeschi è ormai arrivato a 300, che significa quasi sei punti percentuali in più di rendimento. Ciò equivale a dire che le casse dello stato per rimpinguarsi avranno bisogno di pagare enormemente di più, circa 10 miliardi di euro, per attrarre i sottoscrittori di titoli del debito pubblico e così poter attingere il denaro per finanziare le necessità di spesa. Una situazione che in tutta evidenza dimostra la profonda debolezza, se non addirittura l'inutilità, delle misure intraprese.
Il nodo della situazione sta tutto nella credibilità internazionale che gode il nostro governo, Berlusconi in testa, tendente al negativo crescente sui mercati finanziari. E tutto questo s’inserisce in un clima politico generale che ha dell’incredibile: mentre il Paese langue e si rivolta nella disperazione più nera i nostri parlamentari, gli stessi che hanno votato quella manovra che colpisce ferocemente solo i soliti poveri cristi, - da cui peraltro qualche buontempone che l'ha votata s'è nel frattempo dissociato, - decidono persino di allungarsi le ferie di una settimana, perché impegnati in una trasferta di pellegrinaggio in Terra Santa, ovviamente pagata con i soldi dei cittadini.
Se non ci fosse da piangere notizie del genere dovrebbero far scompisciare dal ridere. Stando ai dati dell’ISTAT quest’anno 6 italiani su 10 resteranno a casa per non potersi concedere neanche la classica grigliata fuori porta nel giorno di ferragosto: paese strano il nostro, dove una casta politica, insensibile alle sollecitazioni della gente comune si rifiuta persino di ridursi simbolicamente lo stipendio o di limare i ricchissimi vitalizi o l’orgia di benefit che gode, viene assalita da un rigurgito mistico e decide di effettuare un pellegrinaggio collettivo. Fuori da ogni ipocrisia, crediamo che la fortuita caduta dell’aereo che li trasporterà non genererebbe grande dispiacere, sebbene le sanguisughe che infestano le nostre istituzioni vadano ben oltre il drappello di quei folgorati sulla via di Damasco.
Oggi, intanto, è atteso il discorso di Silvio Berlusconi alla Camera e al Senato, discorso nel quale dovrebbe dare indicazioni forti e precise circa lo stato dell’economia, le iniziative per il suo rilancio e la sua crescita, e le misure in cantiere per riconciliare il Paese con la fiducia internazionale. Nessuno al momento è in grado di anticipare su cosa verterà il discorso del capo del governo, ma è comune opinione che l’assenza di precisi impegni per un immediato varo di misure atte a rimettere in moto la macchina della crescita del sistema-paese non sortirà alcun effetto, se non quello di confermare che il vero nodo di una riacquisibile credibilità è l’abbandono del governo da parte del Cavaliere e della sua armata di cialtroni sfasciacarrozze, che hanno contribuito in modo determinante a trascinarci in un abisso senza fondo.
D’altra parte una situazione politica con centinaia di politici indagati per reati in qualche caso gravi e infamanti, con un ministro dell’economia screditato di suo e messo all’angolo dalle faide interne alla coalizione che lo ha proposto, un ministro delle politiche agricole in odore di mafia, lo stesso premier indagato e a processo per reati vergognosi, senza contare quanto accaduto negli ultimi tre anni ad altri esponenti politici della maggioranza oggi fuori dal palcoscenico principale della politica, non s’era mai visto nella storia repubblicana di questo disgraziato paese. Dunque, la strada per una riacquisizione di credibilità delegata ad un discorso alla Camere appare alquanto improbabile e ardua.
Toccherà a Giorgio Napolitano, che ha ritenuto doveroso rimandare le sue ferie in attesa di questo passaggio parlamentare del leader del governo, e che non pare abbia alcuna intenzione di recarsi in Terra Santa a sbafo, trarre le conclusioni e, forse, l’atto di coraggio istituzionale di consegnare il decreto di sfratto ad un governo che, quando cesserà quella che ormai da tempo appare solo un'occupazione di Palazzo Chigi, lascerà dietro di sé solo una scia di desolante devastazione.