venerdì, maggio 29, 2009

Considerazioni annuali della Banca d’Italia: il governo che non c’è

Venerdì, 29 maggio 2009
Fine maggio e solito appuntamento con le Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia sullo stato dell’economia del paese e sulle prospettive per i prossimi dodici mesi. Considerazioni particolarmente attese in ordine alle linee di tendenza di un’economia attanagliata da una crisi mondiale di proporzioni storiche e che vedrà il PIL italiano flettersi nel corso del 2009 di oltre il 5%. Ma allo stesso tempo analisi di una crisi che, nel caso nazionale, ha semplicemente aggravato un quadro già compromesso dalla debolezza di fattori interni, condizionati dalle scelte di politica economica, industriale e sociale perseguite dai governi Prodi prima e Berlusconi in seguito.
Una relazione che suona come una forte critica alle misure assunte, - sebbene sarebbe meglio dire non assunte, - in difesa del nostro sistema produttivo e delle politiche di sostanziale latitanza in difesa dell’occupazione e del rilancio dei consumi. «La fiducia non si ricostruisce con la falsa speranza, ma neanche senza speranza: uscire da questa crisi più forti è possibile», ha detto Draghi, riassumendo così il sentimento di forte delusione di un paese verso una politica fatta di dichiarazioni più che di contenuti, di inviti all’ottimismo più che di misure d’accompagnamento concrete, tali da generare il circolo virtuoso necessario per imboccare il cammino di una ripresa effettiva. E nel fare queste considerazioni il presidente di BankItalia non si è limitato a lanciare proclami, ma ha concretamente indicato quali siano state le aree deficitarie della politica del governo e quali dovrebbero essere le iniziative da assumere a sostegno di un rilancio del sistema Italia: «Il completamento degli ammortizzatori sociali, la ripresa degli investimenti pubblici, le azioni di sostegno della domanda e del credito che sono state oggi delineate avranno gli effetti sperati se coniugati con riforme strutturali: non solo per dire ai mercati che il disavanzo è sotto controllo, ma perché queste riforme costituiscono la piattaforma della crescita futuro».
Un particolare richiamo è andato alla banche, che nella crisi in atto e benché abbiano dimostrato di non soffrire delle analoghe esposizioni degli istituti esteri, non hanno fornito il necessario flusso di credito alle imprese. E' vero che «non si può chiedere alle banche di allentare la prudenza nell'erogare il credito; non è nell'interesse della nostra economia un sistema bancario che metta a rischio l'integrità dei bilanci e la fiducia di coloro che gli affidano i propri risparmi». Ma si può invece chiedere loro di essere "lungimiranti": «Valutino il merito di credito dei loro clienti;» - suggerisce il governatore della Banca d'Italia - «prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta». Insomma, secondo Draghi, «occorre saper fare i banchieri anche quando le cose vanno male».
Per quanto riguarda le imprese, il giudizio non è positivo, particolarmente sul fronte della tutela della professionalità, sacrificata sull’altare della riduzione dei costi. «Occorre», - sostiene Draghi, - «continuare l'opera di razionalizzazione iniziata da anni», ma anche proteggere «le professionalità accumulate dai lavoratori, che torneranno preziose in un futuro speriamo non lontano. La crisi non durerà infatti in eterno», mentre le imprese hanno falcidiato generazioni di professionisti, ritenendo il costo del lavoro, - decisamente più elevato a carico delle professionalità più consolidate, - una sorta di facile scorciatoia per far quadrare i conti.
Le manovre sul costo del lavoro e la stretta occupazionale sono state inoltre una sorta di cane che si è morso la coda. «I lavoratori in Cassa Integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già oggi intorno all'8,5 per cento della forza lavoro, una quota che potrebbe salire oltre il 10» se l’emorragia non si arrestasse e senza che il governo assuma le iniziative, - ancora oggi, - più promesse che attuate, in difesa dell’occupazione. Quest’andamento «farebbe proseguire nella decurtazione del reddito disponibile delle famiglie e dei loro consumi, nonostante la forte riduzione dell'inflazione,» generando una stagnazione di lungo periodo ed un impoverimento della nazione.
Analoghi provvedimenti di sostegno si rendono necessari per riformare in maniera strutturale gli aiuti a chi, occupato in modo precario, perde il lavoro o a coloro che sono in cerca di prima occupazione. «Si stima che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento», ha ammonito Draghi. Urge allora un «buon sistema di ammortizzatori sociali per chi cerca un nuovo lavoro». Un sistema che parta dagli strumenti attuali, per migliorarli: «La crisi ha reso più evidenti le manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale, che rimane frammentato». Urge allora una «riforma organica e rigorosa,» che non deve «rivoluzionare il sistema attuale, ma che si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della cassa integrazione e dell'indennità di disoccupazione ordinaria, opportunamente adeguati e calibrati».
Da qui un’esortazione all’attuale governo di «elevare la qualità e quantità del capitale umano e delle infrastrutture fisiche». Il primo riferimento è a scuola e università; il secondo alle «infrastrutture materiali, fattore cruciale per la competitività». Da avviare con criteri di efficienza, diversi dalle dispersioni del passato: in Italia, ricorda Draghi, «un chilometro di autostrada può costare più del doppio che in Francia o in Spagna».
Ultimo riferimento all’età pensionabile, considerata dal Governatore ancora troppo bassa nel nostro paese. «Un più alto tasso di attività nella fascia da 55 a 65 anni innalzerà sia il reddito disponibile delle famiglie sia il potenziale produttivo dell'economia», rammenta Draghi, pur se omette di sollecitare quei provvedimenti di blocco dell’espulsione sconsiderata di quelle risorse dal sistema produttivo alle quali ricorrono con sistematicità le imprese, come in un micidiale processo di pulizia etnica, e di facilitazione del reimpiego di coloro che perdono il lavoro a causa dell’età e che vanno ad ingrossare il fardello dei disperati di un sistema sociale appestato dalla disoccupazione e dal precariato perpetuo.
La relazione annuale di Draghi si conclude con un appello alla fiducia, che va ricostruita in fretta e con atti concreti e credibili. «Occorre sanare la ferita che la crisi ha aperto nella fiducia collettiva: fiducia nei mercati, nei loro protagonisti, nel futuro di milioni di persone, nel contratto sociale che ci lega. Uscire dalla crisi significa ricostruire questa fiducia. Non con artifici, ma con la paziente, faticosa comprensione dell'accaduto e dei possibili scenari futuri con l'azione conseguente», azione che, - vale aggiungere, - non può limitarsi a ridicoli maquillage o proclami d’ottimismo non seguiti da fatti tangibili, da provvedimenti correttivi strutturali che facciano uscire il paese dall’inganno di un miraggio di benessere diffuso, ma che, nei fatti, è appannaggio solo di pochi privilegiati.

martedì, maggio 26, 2009

L’elogio della follia riveduto e corretto



Martedì, 25 maggio 2009
Chi si desse briga di consultare un dizionario e leggere la definizione di schizofrenia apprenderebbe che si tratta di “una patologia psichiatrica caratterizzata da sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e delle emozioni, tali da limitare la normale attività della persona”. Il termine non indica un’entità patologica unitaria, ma una classe di disturbi, tutti caratterizzati da un comune denominatore grave che riconduce alla compromissione del cosiddetto “esame di realtà”.
Secondo la tradizione clinica, i sintomi caratterizzanti la patologia sono “positivi” e “negativi”; i primi costituiti da elementi aggiuntivi rispetto all’esperienza del paziente (deliri, allucinazioni, idee fisse, disordine del pensiero, psicosi) ed i secondi da un’evidente diminuzione o declino di capacità o scomparsa del pregresso esperienziale normale. Alcuni modelli, infine, includono nella sintomatologia della malattia una classe ulteriore di elementi caratterizzanti, riferibili ad un deficit organizzativo (“sindrome disorganizzativa”) segnalato da un forte disordine del pensiero e da deficit neuro cognitivi, quali l’indebolimento di funzioni di base come la memoria, l'attenzione, la pacità di risolvere problemi e farvi fronte (capacità esecutiva) e la cognizione sociale.
Da questa rapida lettura del quadro definitorio della patologia, ben si comprende come lo stato del dibattito politico in corso nel Paese sia contraddistinto ormai da tempo da un’affezione sempre più riferita al quadro clinico riassunto. La presenza di una classe dirigente avvezza a proferire dichiarazioni a ruota libera, avulse da un effettivo contesto di riferimento e basate sulla una sostanziale percezione profondamente distorta della realtà, incline a smentire prontamente quelle dichiarazioni, assumendole come di terzi persecutori, nemici irriducibili e denigratori dell’altrui immagine, non possono considerarsi solo l’illecito ricorso a metodi di propaganda simulatoria di un’aggressione, che serve poi a giustificare un attacco. La sistematicità di questa pratica è tale e reiterata da far crollare qualsiasi benevola ipotesi di fine strategia, tesa alla classica manipolazione del consenso; sebbene la presenza di gruppi organizzati di ripetitori, megafonisti e banditori potrebbe far sorgere qualche dubbio. Anzi, è proprio la presenza di questa schiera di semiologi dell'ultim'ora, impegnati costantemente a spiegare, chiarire e rinforzare le esternazioni, affinché le stesse acquisiscano la necessaria credibilità e rinvigoriscano l’accredito del dichiarante, che radica la certezza di trovarsi di fronte ad uno scenario nel quale l’immaginario patologico ha ormai preso il sopravvento sulla realtà effettiva delle cose.
Va altresì detto che, quantunque la patologia non abbia natura virale, la sua diffusione è aumentata in modo esponenziale nell’ultimo quindicennio, determinando una propensione crescente alla sua acquisizione sia a destra che a sinistra, - ammesso che di identità ideologiche di questo tipo si possa ancora parlare nel caso italiano. In ogni caso,venuta stranamente alla ribalta con l’avvento di Berlusconi e i suoi forzisti, sembra aver contaminato l’intero arco parlamentare, con qualche rara eccezione, che fa fatica a conservare la necessaria lucidità per contribuire ad un serio governo del paese, pur se dai banchi dall’opposizione.
In ordine di tempo, l’ultimo episodio di quella che è ormai divenuta una vera e propria “piaga politica”, palesemente ispirata alla filosofia di Tommaso Moro, è rappresentato dal dibattito sull’utilità/inutilità del Parlamento, non come istituzione, - che alla fine resterebbe solo tale se avesse seguito il progetto in corso, - quanto sul ruolo dei suoi componenti, sempre più accostato alla goliardica figura di una banda di crapuloni, dediti al convivio più che all’attenzione dei problemi per i quali hanno ricevuto un mandato popolare. Costoro, in parte rappresentanti anche di un dissenso confinato in una sorta di "criminalità istituzionale", nella visione dell’attuale compagine di governo, Berlusconi in testa, sarebbero elemento di forte rallentamento dell’attuazione di quelle riforme d’ammodernamento del sistema e di sviluppo socio-economico dell’Italia, - vuoi per la lentezza con la quale decidono vuoi per l’interdizione, sotto ogni forma, che frappongono alle iniziative di progresso proposte da chi è stato designato alla guida del paese. Da qui la necessità di “abolire” un’istituzione di scarso senso per la democrazia (sic!) o, quantomeno, di ridurne significativamente le prerogative oltre al numero dei componenti. Con un magnifico de profundis alle istanze di verifica e controllo delle attività dell’esecutivo previste dalla Carta costituzionale.
Com’era prevedibile, ciò che sembra essere più che una minaccia, - che definire proposta una sciocchezza così motivata equivarrebbe a conferire ingiustificata dignità a ciò che appare solo una boutade, - ha sollevato un vespaio di critiche e persino di prese di distanza anche nella fazione che sostiene il governo in carica. Lo stesso Gianfranco Fini, le cui simpatie per la democrazia non possono considerarsi cementate, ha avvertito la necessita di precisare che: «E' mio vivo auspicio che il Parlamento di questa legislatura possa portare a termine il percorso di modifica della seconda parte della Costituzione per garantire un più armonico equilibrio tra i diversi livelli della cosa pubblica. Mi auguro che il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, la riduzione conseguente del numero dei parlamentari, la ridefinizione equilibrata dei rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo non siano bandiera dell'uno o dell'altro schieramento politico, ma siano piuttosto riforme condivise, la cui realizzazione contribuirebbe ad accrescerà la fiducia dei cittadini».
Com’è suo costume il nostro premier, - solito dire e poi ritrattare davanti ai polveroni che si sollevano dalle sue le sortite, - prontamente è intervenuto per smentire di aver mai proferito un giudizio di sostanziale inutilità dell’attuale Parlamento. Anzi, - ed anche questo rientra nel tragico rituale, - ha immediatamente accusato l’opposizione di mettergli in bocca falsità inusitate.
«La Finocchiaro e D’Alema si sono comportati in modo indegno, ignobile e spudorato attribuendomi parole che non ho mai pronunciato e cioè che il Parlamento sarebbe inutile e dannoso». Poi cita a propria discolpa il resoconto stenografico del discorso da lui tenuto nella sede di Confindustria: «Il Parlamento è pletorico: ci sono infatti 630 deputati, quando ne basterebbero cento. Chiaro che per arrivare a questo dovremmo arrivare ad un disegno d’iniziativa popolare, perché non si può chiedere ai capponi o ai tacchini di anticipare il Natale! Credo che questo dovrebbe essere chiaro a tutti. Evidentemente», – ha concluso Berlusconi, - «l’antico vizio stalinista di una certa sinistra di capovolgere la realtà non è mai venuto meno». Anche a chi scrive sembrerebbe che il senso del discorso dell’equivocato premier vada nella direzione denunciata dagli esponenti del PD, - pur non avendo mai nutrito simpatie staliniste,. D’altra parte, non avendo alcuna predilezione per i giochi di parole e per le funambolerie lessicali del buon Silvio, ci parrebbe che la necessità di revisionare il numero dei componenti dell’organo legislativo del paese derivi proprio da quel pletorico da lui sottolineato. E quando qualcosa è pletorica non v’è dubbio sia inutile orpello. Nel caso in esame poi non potremmo trascurare di trovarci davanti a fancazzisti cronici o, al più e quando decidono di lavorare, a dei rompicoglioni, che pensano solo a frenare la santa opera di governo anziché agevolarla.
La stessa affermazione sulla necessità di un disegno di legge di iniziativa popolare reclamata da Berlusconi era già stata oggetto di contraddittorio da parte di Fini, che nel corso di un intervento sul tema aveva precisato in proposito: «Una proposta di legge di iniziativa popolare non sostituisce il Parlamento. E' una delle modalità previste dai costituenti per l'avvio dell'iter legislativo. Chi può dare il via a una legge? I cittadini, i parlamentari o il governo. Ma è sempre il Parlamento che decide», come dire che si può anche blaterare a vanvera, tanto è dal parlamento che bisogna passare.
La risposta dell’opposizione non s’è fatta comunque attendere ed è giunta per bocca di una di quelle eccezioni, rispetto allo sbandamento generale, che confermano la regola della sussistenza di uno stato confusionale pressoché irreversibile, Antonio Di Pietro, che ha tagliato corto e con l'usuale lucidità ha dichiarato: «Berlusconi non ha le qualità morali e politiche per guidare il nostro Paese; per questo motivo domani presenteremo una mozione di sfiducia e chiederemo ai parlamentari dell'opposizione di sottoscriverla», con l'evidente finalità, - aggiungeremmo, - di rispedire una volta per tutte a casa un personaggio con annessa cortigianeria capace solo di rilevare il deficit d'altrui pudore.
Naturalmente, c'è da temere che non si tratta che dell’ultima puntata di una storia moderna d'ordinaria follia, nella quale tutto si dice e tutto si contraddice, ed in cui persino gli ex fascisti indossano i panni dei difensori della democrazia, mentre le voci del dissenso o della domanda di legalità assumono un sapore d’eversione destabilizzante e neo rivoluzionaria, - quantunque tra l’indifferenza generale.
Chissà se e quando, magari in un rigurgito di umana pietà, questo Parlamento di capponi e tacchini deciderà di varare una legge che ci liberi di chi, per governare, crede sia sufficiente abbandonarsi solo agli slogan ed al populismo d’effetto.

mercoledì, maggio 20, 2009

Sentenza Mills - Continua lo stupro della legalità


Mercoledì, 20 maggio 2009
Comunque si muova, non riesce ad allontarsi dall'occhio del ciclone. Le malefatte sono tante e tali che cercare di sfuggire all'ingiusta «persecuzione mediatica ed alla magistratura rossa», - come definisce l'inodissidabile presidente del Consiglio dei Ministri della sconquassata Repubblica italiana, Silvio Berlusconi, giornali e magistrati, ma che più verosimilmente è solo attenzione e sdegno per un personaggio che non conosce dignità e pudore, - è cosa non ardua ma addirittura impossibile.
Dal nostro canto, faremmo ben volentieri a meno di parlare di lui. Ma le scelleratezze alle quali ci costringe costantemente sono tali da non consentire di stendere il classico velo pietoso sulle vicende di cui si rende artefice, dato che con alcune iniziative, come quella dei respingimenti dei migranti o lo sfrontato dileggio dei magistrati che si pronunciano a suo sfavore, ci coinvolgono come cittadini italiani, membri di una Repubblica priva di credibilità e rispetto anche all'estero. Insomma, la faccia non è soltanto sua, - sempre ammesso che ne abbia una, - ma direttamente anche la nostra, pur se ci si sforza di prender le distanze e di esprimere sdegnato dissenso.
L'ultimo inciampo del personaggio, - che, se non fosse tragicamente di carne e di ossa, ci si potrebbe augurare fosse solo un incubo, magari lungo e ricorrente, ma solo un incubo, - è la sentenza a margine del processo Mills, l'avvocato inglese prezzolato per mentire sul conto di Berlusconi e adesso condannato per falsa testimonianza. La condanna inflitta a Mills, ovviamente, costituisce una sentanza di colpevolezza anche per il presidente del Consiglio, che grazie alle leggi fatte da un Parlamento servo non solo ha evitato il processo e, dunque, la condanna, ma che difficilmente vedrà il corso della giustizia compiersi anche ai suoi danni quando, alla fine del mandato, potrà essere chiamato in un aula di tribunale a difendersi dalle accuse di corruzione pendenti sul suo capoccione, perché è probabile che giunga prima la prescrizione del reato.
In ogni caso la sentanza «è un'assoluta assurdità», sostiene Berlusconi. E questa conclusione "inedità" si fonda su due cosiderazioni del tutto logiche secondo il premier. La prima riguarda la Gandus, il magistrato che ha emesso la sentenza. «E' curioso sostenere» - come ha fatto la Corte d'Appello - «che la Gandus pur essendo un mio dichiarato e palese nemico politico nel momento in cui arrivasse a scrivere una sentenza nei miei confronti saprebbe non venir meno al vincolo d'imparzialità impostole dalla Costituzione. Ma un giudice non deve essere soltanto imparziale. Deve anche apparire tale. Le mie società» – prosegue il premier, indicando la seconda ragione, - «né tanto meno io, avevamo ragioni per fare quel versamento a Mills che proprio con le sue dichiarazioni era stato il principale responsabile di una sentenza di condanna. Davvero un'assoluta assurdità».
«I nostri avvocati» – dichiara Berlusconi sciorinando la solita irritante nenia – «vennero a sapere che la Gandus era ed è un'attivissima militante di sinistra estrema e che in quanto tale ebbe a partecipare a tutte le manifestazioni di contrasto nei confronti del mio governo. Di fronte a questi argomenti inoppugnabili qualunque giudice scrupoloso ed equanime avrebbe chiuso il processo. Non fu così con la dottoressa Gandus, presidente del collegio: uno, negò alla difesa tutti i testimoni a discarico ammettendo invece tutti quelli del pm; due, accelerò i tempi del processo quando si era in piena campagna elettorale; tre, accettò inopinatamente i nuovi improponibili termini di prescrizione. Tutto ciò fece insospettire i nostri avvocati».
Dunque con la solita e puntuale conclusione sulla compromissione politica dei giudici che di volta in volta sono stati chiamati ad inquisirlo o processarlo nelle innumerevoli disavventure giudiziarie in cui è incappato, l'impunita faccia tosta scaglia accuse pretestuose e prive di senso nei confronti di chi non ha creduto alla sua improbabile innocenza e, impipandosene della sua arroganza oltre ogni tollerabilità, non ha esitato ad emettere l'ennesima sentenza che lo qualifica come pericolosissimo personaggio dedito a fare spazzatura sistematica di ogni norma di legge.
Allo stesso tempo, avendo il personaggio nel DNA altrettanto disprezzo per la democrazia e le sue regole, ha già fatto sapere che non andrà certo in Parlamento per riferire sulla sentenza e per esporre i termini di una propria difesa, almeno sino a quando non si saranno calmate le acque già sufficientemente agitate per la campagna elettorale in corso per elezioni europee ed amministrative. È quanto riferiscono autorevoli fonti del Pdl all’agenzia Ansa. Le stesse fonti dicono che in ogni caso il premier interverrebbe nell'aula del Senato e non a Montecitorio. Dietro la decisione di venire a pronunciare la sua arringa solo dopo il voto di giugno, spiegano, vi sarebbero ragioni di "opportunità politica". In primo luogo, la vicinanza delle elezioni. Un dibattito del genere, a pochi giorni dall'apertura delle urne, rischia di bloccare molti parlamentari impegnati in campagna elettorale in aula, vista la necessità di avere tutti i banchi della maggioranza pieni e compatti per l'occasione.
Inoltre, secondo Berlusconi, proprio l'imminenza del voto, rischia di "esacerbare" un clima politico già rovente, prestando il fianco agli attacchi dell'opposizione e deviando l'attenzione della campagna elettorale dall'azione del governo a una vicenda giudiziaria. Tutte considerazioni che hanno spinto i vertici del Pdl a considerare poco opportuno un intervento del presidente del Consiglio in questo momento.
Tra l'altro, si afferma negli stessi ambienti, i sondaggi danno al Pdl un vantaggio tale da sconsigliare una mossa che resta comunque rischiosa, proprio per gli imprevedibili effetti che avrebbe sugli indecisi, fortemente perplessi nell'esprimere le rispettive preferenze dal tourbillon di vicende familiari, corna vere e presunte, velate accuse di pedofilia e, adesso, condanne di presunti sodali e complici, che ultimamente hanno incrinato la sua immagine e stanno facendo riflettere più di un elettore. Considerazioni che sarebbero state condivise e fatte proprie dallo stesso Cavaliere. Al momento, quindi, il suo orientamento sarebbe quello di attendere ancora. Circostanza che sembra confermata dalle parole di Niccolò Ghedini, deputato del Pdl, avvocato del premier e tra i più fedeli porta borse al guinzaglio dell'Eroe di Arcore: «Non so quando potrà venire in Parlamento perché ha un'agenda fitta di impegni che non possono essere rinviati» - ha annaspato vergognosamente - «verrà appena l'agenda lo consentirà, compatibilmente con i lavori parlamentari».
Un rinvio che potrebbe però portare ad una definitiva rinuncia da parte di Berlusconi. «Alla fine potrebbe anche non venire affatto», - riferisce un esponente del Pdl molto vicino al premier. «Dopo le elezioni», - sottolinea un altro dirigente del partito, - «potrebbe non essere necessario», considerato che un'altra vittoria gli consentirebbe di aggiustare il tiro delle bordate che è solito sparare ad alzo zero verso gli oppositori e di mettere a tacere le ulteriori voci imbarazzanti scatenatesi in queste ultime ore.

venerdì, maggio 15, 2009

Libero, l’eco di Arcore

Venerdì, 15 maggio 2009
Mentana come Veronica titolava il 13 scorso a tutta pagina Libero, il quotidiano di Vittorio Feltri, che non ha mai fatto mistero di considerarsi il megafono del presidente del Consiglio ed un supporter sfegatato delle sue iniziative. Libero, di cui resterà inspiegabile la ragione per la quale non abbia preferito chiamarsi L'eco di Arcore o Il Mulino di Macherio, - giusto per fare qualche esempio di nome più rispondente allo stile zerbino impresso da Feltri al suo giornale.
Mentana è colpevole, - gravemente, si potrebbe aggiungere sulla scorta delle valutazioni di Feltri, - di avere inferto un altro duro colpo alla credibilità di Berlusconi, a causa delle iniziative legali intraprese contro l'ex datore di lavoro dopo il licenziamento in tronco di qualche setimana fa e l'imminente pubblicazione di un libro, Passionaccia, nel quale l'ex direttore di Matrix fa sapere di aver scoperto, tardivamente, - secondo la sdegnata ironia di Feltri, - che "a Mediaset contano solo gli affari" e questa folgorazione sarebbe una delle ragione per le quali, se non l'avessero cacciato via, avrebbe certamente deciso di lasciare i media del Cavaliere con le proprie gambe.
Naturalmente, - sermpre secondo le ipotesi del direttore di Libero, - tra l'improdigo Mentana e l'ex consorte di Berlusconi vi sarebbe una casuale relazione, una congiura ai danni del povero Cavaliere, che adesso ha un altro fronte sul quale ammassare le truppe cammellate e gli scriba di regime per difendersi dagli attacchi, - non è lecito sapere di quale natura, ma certamente sconsiderati e che ne metteranno a dura prova l'immagine, - di un altro ex, un altro irriconoscente, che non si limita a sputare nel piatto in cui a mangiato a quattro ganasce sino a qualche ora fa, tollerato e difeso da quel sant'uomo di Fedele Confalonieri, ma che adesso in quel piatto ha deciso di metterci dentro persino i piedi, senza neppure togliersi le scarpe.
Certo, la figura santa del Cavalier Viagra non meritava il voltafaccia del discolo Enrico: l'aveva sempre sopportato (sic!) e l'interessato lo sapeva. Gli aveva regalato una carriera fulminante, chiamandolo dalla vice-direzione dell'informazione RAI d'epoca craxiana alla conduzione dei telegiornali Mediaset, pur sapendo che il personaggio non aveva il taglio ideologico del berluscones doc e che avrebbe dovuto trattarlo come un sorvegliato speciale, con tanto d'obbligo di firma. Ma ciò non gli aveva mai vietato di stimarlo come un professionista di talento, quantunque "sacramentasse ogni volta che ne vedeva il volto sullo schermo", - rivela un ben informato Feltri. Sentimento del tutto ricambiato da Mentana che "non sopportava Berlusconi nei panni del politico estemporaneo".
Un rapporto che si è trascinato nel tempo logorandosi sempre più, scandito dall'allontanamento di Mentana dai telegiornali e dalla nomina del normalizzato Rossella alla guida dell'informazione Mediaset e culminato con le dimissioni del conduttore di Matrix dopo il diniego della dirigenza berlusconiana di autorizzare la trasmissione in prima serata dei tragici fatti di Eluana Englaro, cui si era preferita la prevista programmazione del Grande Fratello, il trush cult pruriginoso infarcito di ricca pubblicità.
Un caso, per certi versi, simile a quello di Montanelli, un déja vu del modo professionale e indipendente con il quale Berlusconi e la sua corte guardano al primato dell'informazione ed all'indipendenza della stampa.
E' a questo punto che un sorprendente Feltri, - sorprendente per l'impudenza con la quale elogia un auto-comportamento a dir poco sconcertante, - rammenta dalle pagine di Libero ai suoi lettori come abbia tentato di persuadere Mentana a presentare pubbliche scuse per l'alzata di testa contro la decisione Mediaset e così salvare il posto ed il lauto stipendio di oltre 1,5 milioni di euro l'anno.
Fortunatamente Enrico e quantunque con un ritardo imperdonabile, con un sussulto d'orgoglio, le scuse non le ha presentate, anzi ha utilizzato quell'invito per rincarare pubblicamente la dose contro un sistema aziendale che da sempre predica la religione dell'asservimento quale viatico di buon soggiorno nelle libere e democratiche aziende di Berlusconi.
Ma al signor Feltri, - al quale la dignità e la libertà di pensiero devono apparire poco meno di inutili gadget da pagare, per altro, a caro prezzo, - è a questo punto che confessa sfrontatamente ciò che, senza ombra di dubbio alcuno, costituisce l'apoteosi della sua mercenaria filosofia di vita. Rammenta, infatti, questo paladino della libertà al sedicente amico Mentana in un colloquio immaginario: "E' capitato anche a me in passato d'imboccare come te un vicolo cieco, e non ho avuto miglior fortuna. Giocare a braccio di ferro con chi è più forte significa sfidare se stessi, e noi per noi siamo imbattibili. Dunque perdiamo", - che ben sintetizza come il personaggio, spesso in cattedra per censurare i comportamenti altrui o per sollecitare la correttezza degli avversari, in verità sia pronto a concedersi prono al potere di colui che riconosce forte, al di là di ogni valutazione di merito sulla traparenza e la legittimità di quel potere.
Come se quest'ammssione inconfessabile non bastasse, assurge arrogantemente ad interprete di un inesistente complotto ai danni dell'ossequiato padrone ed accomuna due storie diverse, nei personaggi, nei presupposti e nello sviluppo storico nel supremo interesse di dimostrare come Berlusconi, il mandante, il capo spirituale da difendere oltre ogni logica ragione, sia un novello Custer assediato da un'indomita orda di pellerossa che rifiutano, in armi, di farsi confinare nella riserva nella quale dovrebbero accettare di vivere schiavi il resto dei propri giorni. In quest'esercizio di sillogismo dell'assurdo la tesi da dimostrare è che l'improbabile benefattore dell'umanità, il padrone illuminato, il padre modello e marito fedele, è vittima della bieca ingratitudine di coloro che ha amato o sostenuto con infinita benevolenza. Poco rileva che l'attribuzione di quelle qualità sia un falso comprovato. Come ha più volte dimostrato quell'amato padrone che adesso difende, la pubblicità, la réclame hanno il potere di ottundere le menti e di stravolgere ogni evidenza. Chissà quale sarà la reazione del direttore di Libero, - sarebbe bene ci spegasse da che cosa e da chi, - quando come nella popolare storiella un'anima candida, innocente ed al di sopra d'ogni sospetto, griderà alla nudità del re, facendo crollare il castello di bugie costruite ad arte da una certa stampa avvezza ad abbuffarsi alla greppia del potere, alla quale non sembra per niente estraneo il paladino Feltri.

sabato, maggio 09, 2009

Immigrazione – Pugno duro del regime

Sabato, 9 maggio 2009
L’8 maggio 2009 resterà nella memoria degli Italiani come il giorno in cui si è consumato uno degli atti più vili della nostra storia repubblicana. Un atto di vergognoso razzismo come non se ne vedevano dal triste ventennio, che ha riportato indietro l’orologio del progresso e della civile convivenza.
Un carico umano di disperati provenienti dalla Libia e diretti nel nostro Paese, alla ricerca di un rifugio dagli orrori dei campi profughi disseminati nel deserto e che accolgono quanti cercano scampo dalle violenze delle persecuzioni razziali e delle faide tribali in corso nell’Africa sub-sahariana, è stato rispedito sulle spiagge dalle quali si era imbarcato e riconsegnato ai suoi feroci custodi libici.
Fortunatamente non c’era questa volta uno squallido carro bestiame ad alloggiarli durante il viaggio verso l’inferno che si illudevano di aver lasciato per sempre, ma una moderna unità della nostra Marina Militare, che certamente non ha conferito dignità maggiore ad un’operazione che ha rievocato la triste deportazione alla quale furono sottoposti ebrei e dissidenti durante la dittatura fascista.
Ovviamente l’operazione non è avvenuta in assenza di vivaci polemiche da parte non solo dell’opposizione a questo Governo, che sempre più mette a nudo la nostalgia per un becero ed anacronistico autoritarismo e si qualifica come regime intollerante verso i più elementari doveri di accoglienza e carità umana, ma persino l’ONU e la Santa Sede ha elevato una vibrata protesta per un comportamento del nostro Esecutivo, che ha manifestato il profondo disprezzo per il diritto internazionale e gli universali principi di solidarietà.
Il presidente Fini, - al quale va riconosciuta una tardiva, ma non per questo negativa, conversione ai valori della democrazia e della legalità, - non ha potuto esimersi dal condannare l’improvvida iniziativa del ministro Maroni, definendola lesiva dei principi costituzionali ed avulsa da qualsiasi rispondenza alle regole del diritto internazionale sui doveri d’asilo politico garantiti a chiunque sia qualificabile come profugo da Paesi nei quali vigono sistemi che non garantiscono l’esercizio delle libertà democratiche o che mortifichino il rispetto della persona e del diritto.
A queste dichiarazioni ha fatto eco l’ONU, che non ha esitato a censurare il comportamento delle autorità italiane, dato che le norme internazionali prevedono che i migranti debbano essere considerati “rifugiati presunti”, ed il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, monsignor Agostino Marchetto, che ha bollato la decisione di Maroni, avallata dal Governo, come disumana «perché dare aiuto a chi si trova in condizioni gravi è una priorità e, l’Italia con la sua decisione, ha violato le norme internazionali sui diritti dei rifugiati». Monsignor Marchetto ha poi concluso affermando che la legislazione italiana in materia migratoria è macchiata da un «peccato originale», rappresentato dalla volontà di «criminalizzare gli emigranti irregolari», una realtà di fronte alla quale «i cittadini sono posti e devono giudicare».
Nonostante la vasta condanna, la Lega, il movimento nazi-nordista cui appartiene Maroni, non ha nascosto la propria soddisfazione, considerando l’episodio di rimpatrio forzoso un precedente rilevante nella cieca guerra razziale che ha da tempo ingaggiato contro ogni forma di immigrazione nel territorio della Repubblica.
A queste soddisfatte valutazioni non è mancato l’appoggio di Cicchitto, portavoce del Pdl, che ha dichiarato che l’atto decisionista dell’Esecutivo dovrebbe mettere a tacere «le opposizioni», che non perdono occasione per schierarsi dalla parte di chi viola le leggi dello stato, - che nella sua formulazione non consente di distinguere se debbano intendersi incluse le posizioni espresse dall’ONU e dalla Chiesa.
Qualunque possa essere, comunque, la valutazione di un atto senza precedenti, ci parrebbe che il governo Berlusconi abbia ormai imboccato la via dell’escalation nell’isolarsi dal contesto europeo ed internazionale, con l’attuazione di procedure di regime che nulla hanno a che vedere con le regole del diritto ed i principi fondamentali della solidarietà.
La violenta campagna xenofoba scatenata dalla Lega Nord già da parecchi anni e per lungo tempo rimasta una minaccia propagandistica più che una vera linea di tendenza della sua prassi politica, acquista giorno dopo giorno una fisionomia precisa, permeata da intolleranza e richiamo alla persecuzione anche immotivata ancorché violenta degli stranieri presenti nel nostro territorio, che riscuote sempre più consensi tra gli alleati di governo. Certo, in qualche caso questo consenso ha lavorato su un terreno abbastanza dissodato, trovando la disponibilità delle frange più ideologizzate di quell’AN, che affonda le sue radici nelle nostalgie del ventennio, e nelle debolezze del composito popolo del PdL, costantemente sotto il ricatto di una possibile crisi di coalizione che rispedirebbe il parlamento davanti agli elettori.
In tutto questo si tratteggia la figura di un Paese sempre più in bilico tra l’abulia verso una politica nella quale non trova più elementi di identità e continuità ed un distorto sentimento di rivalsa nei confronti di un’immigrazione gestita sino ad oggi con strumenti deficitari, ma che, grazie alla propaganda reazionaria, diviene un elemento privilegiato per scaricare le mille frustrazioni della grigia vita quotidiana cui il regime condanna l’esistenza.

venerdì, maggio 08, 2009

L’adulterio è bello….se maschio

Venerdì, 8 maggio 2009
A leggere i sondaggi d’opinione sul caso Berlusconi-Lario non sembra che al momento ci siano state ripercussioni sull’immagine del nostro Primo Ministro, che continua a godere di un significativo consenso popolare.
C’è da registrare, piuttosto, una sostanziale censura ai danni della signora Veronica, della qual si disapprova il metodo attraverso il quale ha denunciato le scappatelle del marito, che gioco forza ha finito per innescare un’eco mediatica e politica considerata decisamente esagerata dagli intervistati.
Il caso in questione, sul quale abbiamo già espresso il nostro punto di vista e che riteniamo possa motivare la rilevanza riscontrata, è significativo solo se riferito alle gravi accuse di presunta pedofilia attribuite al premier dalla consorte, poiché il resto fa parte delle vicende private di un menage familiare nel quale nessuno ha il diritto di interferire o di assurgere a giudice.
Naturalmente stupisce abbastanza che la cultura cattolica, così radicata nel nostro Paese, non esprima una netta condanna di chi con il proprio comportamento abbia determinato la crisi irreversibile di uno dei suoi valori cardine, il sacro vincolo del matrimonio, peraltro intervenuto in un nucleo familiare che sino a poche ore prima che scoppiasse il caso era stato sbandierato come un modello, come un esempio da emulare, così infarcito come appariva di amore genitoriale, di tenerezze coniugali e di armonia. In somma un vero e proprio presepio, con più moderni termosifoni al posto del tradizionale bue ed asinello.
Adesso ci s’interroga sulle ragioni per le quali nel nostro Paese le reazioni della gente siano diverse rispetto a quanto è accaduto negli USA al tempo di Bill Clinton o, più recentemente, in Francia, in occasione del divorzio tra Sarkozy e la moglie Cécile, che ha visto in entrambe le circostanze i consensi verso i due presidenti flettersi vistosamente.
I motivi di questo fenomeno non sono semplici da indagare e possono avanzarsi solo ipotesi supportate da un’analisi sociologica dei tratti culturali distintivi della nostra realtà.
L’Italia è un paese che conserva ancora una forte connotazione maschilista, nella quale l’uomo, - contrariamente a quanto lascerebbero intendere le ricerche sul processo di parificazione tra i sessi prodottosi nel tempo, - conserva uno status sociale predominante. A lui, come dimostrano le statistiche, sono riservate le posizioni di più elevata decisionalità nel mondo economico e finanziario, nella società in generale, nella politica. Le poche donne assurte a posizioni di responsabilità hanno dovuto superare ostacoli e diffidenze enormi, pregiudizi antichi e radicati, dovendo spesso dimostrare un talento ben al di là di quanto normalmente richiesto ad uomo. Questo successo, lastricato di sacrifici grandissimi, si verifica in casi talmente sporadici da confermarsi come eccezione ad una regola che, di fatto, riconosce la parità delle opportunità solo sulla carta.
Figlia di una cultura mediterranea più che europea, l’Italia assegna all’uomo nel contesto sociale un ruolo provvisto di gradi di libertà inimmaginabili per l’altro sesso: il gallismo, tipico fenomeno peninsulare, è fatto di costume ancora fortemente condiviso in larghe aree del nostro Meridione e atteggiamenti esibizionistici di forza ed esuberanza sono riconosciuti come esclusivo appannaggio del maschio, mentre suscitano fortissima condanna sociale qualora siano ostentati occasionalmente da una donna. E tale approccio, forte al punto di rappresentare vero e proprio pregiudizio, è largamente condiviso anche dalle donne, che sviluppano la propria cultura ed il sistema di valori in un contesto che ne condiziona l’autocoscienza e la libertà di disporre si sé senza censure e condizionamenti.
Come ebbe a dire con una frase ad effetto un eminente sociologo parecchi anni or sono, in questa realtà la donna appare subalterna ad un uomo subalterno alla cultura dominante. Da questo approccio di diverso e diseguale imprinting del ruolo femminile nel contesto sociale, discende in generale un’inconscia accettazione di manifestazioni maschili non permesse al femminile: il corteggiamento, l’ammiccamento lascivo, la battuta grassa o a doppio senso, il complimento pesante sono ritenute tipiche manifestazioni della condizione maschile, peccatucci veniali meritevoli di perdono o, al più, di benevolo compatimento, ma non elementi che di fatto alterano la percezione femminile, riproponendola al degradante ruolo di oggetto e non di soggetto.
L’adultero è dunque un soggetto che realizza, in modo certo discutibile ma non condannabile, il proprio ruolo di maschio, che risponde ad una inarrestabile pulsione di desiderio, che trova soddisfazione con la realizzazione di un atto che è presupposto non coinvolgere nella maggior parte dei casi. Paradossalmente, l’adultero è spesso ritenuto un uomo fedele, un uomo che si ferma alla superficie del rapporto, che soddisfa un istinto e poi, pago, torna, alla famiglia d’origine. V’è dunque una presunzione di scissione netta tra sentimento e conquista del partner, che ha radicato stereotipi di sciupa femmine, latin lover, play boy, tomber de femme, così affettuosamente considerati nell’immaginario femminile e oggetto di malcelata invidia da parte degli uomini. Diverse considerazioni sono riservate ad una donna: salvo rare eccezioni la maliarda, la mangia uomini, non gode di analoga ammirazione e rispetto, anzi è spesso apostrofata negativamente.
Nello schema di valori dominante difficilmente la donna è presupposta concedersi senza un coinvolgimento emotivo e passionale. L’adultera non tradisce solo con il corpo, ma principalmente con il sentimento. Il suo è comunque un tradimento che porta in sé i segni di un gravissimo vulnus verso l’uomo, di un uomo che fondamentalmente è padrone, proprietario e che difficilmente può accettare di farsi espropriare di ciò che possiede. Questa donna non merita perdono, ma condanna senza appello. Nella gerarchia sociale ella occupa oggettivamente un gradino più basso di quello riconosciuto all’uomo, che ne limita il libero arbitrio e le pulsioni.
Queste differenze fondamentali tra la cultura mediterranea e quelle nord europee, costituiscono la probabile chiave di lettura di comportamenti sociali diversi e di reazioni differenziati ai casi in esame. Le condizioni di maggiore parità effettiva tra uomini e donne, tradotte in parità di diritti e doveri, determinano le condizioni per una valutazione meno perdonistica dell’adulterio maschile, al quale è riconosciuto il peso di una violazione di principi etici prescindente dal sesso del colpevole.
Questo quadro giustifica l’immutato gradimento di Berlusconi, almeno per il momento, visto che la soap opera in atto non sembra affatto prossima alla conclusione e non esclude, già dalle prossime ore, nuovi e pruriginosi sviluppi per gli amanti del genere.


(nella foto: Sarkozy e l'ex-consorte Cécile)

mercoledì, maggio 06, 2009

Nuova crocefissione per il figlio di Dio


Mercoledì, 6 maggio 2009
Narrano i libri sacri che nell’anno 33 d.C. si consumò il sacrificio di Gesù per la salvezza dell’umanità. Un uomo, venuto sulla terra per redimere i peccati del mondo, fu tradito da Giuda, uno dei suoi discepoli, e condannato alla crocefissione dopo un processo farsa d’innanzi a tal Ponzio Pilato, governatore romano in Galilea.
Ad oltre 2000 anni da quell’evento, la storia si ripete, anche se in chiave più moderna e con il tradimento questa volta di una donna, una moglie, non si sa bene se strumento o complice di un complotto ordito da oscure forze eversive.
In ogni caso, il tradito, il condannato alla croce, colui che sta lentamente salendo il Golgota è sempre lui, il figlio di Dio, l’agnello sacrificale del riscatto dell’umanità corrotta e ingrata, pervasa da un invidia cieca per la sua capacità di fare proseliti, di trascinare con il nuovo verbo le masse alla conquista del paradiso, da ordire ai suoi danni una montatura mostruosa a base di corna e sospetti di pedofilia.
Sembra una favola, ma invece è la melensa storia di Silvio e Veronica, l’uno presidente del Consiglio di una Repubblica allo sfascio economico e morale e l’altra la di lui consorte, stanca di farsi cornificare da un marito adultero, - almeno così dichiara, - sostenuta in questa denuncia di tresche e scappatelle da un presunto manipolo di invidiosi oppositori, pronti ad inzuppare il biscotto nel ghiotto cappuccino rappresentato dalla boccaccesca storia, - almeno secondo quanto sostiene il presunto fedifrago.
Non fosse per il ruolo che riveste il personaggio e per la gravità inusitata con la quale ha scatenato l’offensiva ad alzo zero contro la moglie e gli avversari politici, per difendersi da un’accusa che certamente gli nuocerà sul piano dell’immagine, sarebbe il caso di chiudere qui la storia e mandare bellamente a quel paese i due contendenti, visto che si tratta di questione squisitamente privata nella quale nessuno ha diritto di interferire. Ma il ruolo di Silvio Berlusconi e le modalità con le quali ha scelto di difendersi sono tali da non consentire di stendere un velo pietoso su una storia apparentemente di ordinaria tradimento coniugale, poiché egli personifica l’Italia, i suoi valori, la reputazione del Paese verso il mondo; e le modalità con le quali ha scelto di difendersi, - giornali amici, dipendenti prezzolati, sodali arroganti e televisioni servili, - hanno velocemente trasformato la questione in fatto di rilevanza politica, in vicenda nella quale è messa in gioco la credibilità di un leader che, nell’esternare battute lascive a destra e a manca in ogni occasione alle donne che ha incontrato nel corso del suo cammino, non scherzava, - come ha cercato di far credere, - ma molto più concretamente ci provava, - come adesso sostiene la signora Veronica.
Questa vicenda non è solo privata, poiché mette a nudo il fallimento di un modello d’immagine che il leader del PdL si è inventato per scalare il successo politico, un modello trasferito dal privato al pubblico; un modello con il quale si è spacciata la via per il successo con i soldi, il potere, il cinismo arrogante, il machismo, il gallismo, i trapianti di capelli, i lifting ringiovanenti, il disprezzo per gli avversari e per le idee in contrasto con le sue, con la simulazione, la bugia, l’intrallazzo e lo spaccio di valori etici a lui estranei, ma di facile presa nella coscienza popolare.
La sua difesa da accuse non solo di tradimento, - che certamente rimangono nella sfera del privato, - ma di accompagnarsi a giovani minorenni, - che invece dirompono nella sfera pubblica ed acquisiscono rilevanza penale, - incentrata sulla solita solfa del complotto e sulla desumibile stupidità dell’accusatrice, che abbocca se non addirittura si presta, al tranello ordito dalla solita sinistra velenosa, non sconcerta, ma travalica il senso del disgusto, ridimensiona enormemente lo spessore del personaggio, lo pone al disotto della dimensione dell’uomo comune, che non dovrebbe mai perdere il senso della dignità nell’accollarsi le responsabilità delle proprie azioni piuttosto che cercare alibi o scaricare le colpe sugli altri.
Purtroppo Berlusconi ci ha educato a ben altro. Si è presentato al popolo come un vincente, un imprenditore di successo costruitosi tutto da solo. E quando è incappato nelle maglie della giustizia per sospetti di intrallazzi alla base del suo successo, non ha avuto esitazioni a criminalizzare i suoi accusatori, con solfe ossessive di complotto, invidia, malevolenza, tradimenti, equivoci e così argomentando. Lui superuomo, cavaliere senza macchia, esempio di ingegnosa imprenditoria, padre modello e marito esemplare, al punto da inondare le case degli Italiani di pieghevoli infarciti di smancerie e leziosità da manuale sui suoi requisiti di bonus pater familiae.
Adesso che quella moglie, Veronica Lario, ha il coraggio di dire basta ad una vita di falsità, ecco che vede lla sua immagine macchiarsi: da figura di moglie e madre esemplare, sino a che ha taciuto e tollerato, diviene ingrata, strumento più o meno consapevole della fronda eversiva, sciocca pedina di abbagli mediatici. Lei, che da equivoca soubrette che si esibiva a seno nudo, è stata eletta a compagna dell’Unto del Signore, novella Maddalena che, come ricorda Libero, finge di dimenticare le sue origini di donna equivoca e con qualche evidente peccatuccio.
Ecco, il quadro è completo. Ancora una volta lo scenario si capovolge, si confonde. L’accusato diviene vittima, perseguitato, diffamato in nome di disegni oscuri. L’accusatore diviene carnefice, traditore, ingrato, strumento di una congiura infame tesa addirittura a perpetrare un colpo di mano ai danni del salvatore della patria.
Ma la smetta una volta per tutte signor Presidente se in lei v’è ancora un minuscolo residuo di pudore. La smetta di infettare le giornate degli Italiani con la melma che trasuda dai suoi metodi, ché quando coloro che lei chiama elettori, ma segretamente considera dei pirla, apriranno finalmente gli occhi lei precipiterà come il mitico Re Travicello tra il sollievo generale, e sarà mandato a quell’inferno, dove , d’altra parte, c’è al già governo qualcuno che può vantare analoga paternità alla sua. Certo, per ricucire le lacerazioni che il suo stile, i suoi modelli, in una parola il suo “regime”, ha prodotto nel tessuto sociale, economico e morale del Paese saranno necessarie molti lustri ed enormi sacrifici, ma siamo certi di poter ricostituire i principi di convivenza e solidarietà da lei vituperati. D’altra parte il mondo, la vita quotidiana, da sempre è fatta di drammi e d'immani sforzi per sbarcare il lunario, almeno per la maggior parte dei mortali, e non certo della sfacciataggine con la quale si ostentano il facile denaro, l’equivoco benessere e le prosperose cortigiane, orpelli della sua filosofia.

lunedì, maggio 04, 2009

Quando il lupo non perde il vizio


Lunedì, 4 maggio 2009
Tanto tuonò che piovve. Così il nostro valente presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, vulcanico imprenditore, politico provetto, latin lover consumato, marito non proprio modello, è scivolato su una delle tante bucce di banana che ha seminato in giro, almeno di quelle che ha gettato qua e là negli ultimi dieci anni.
Dopo aver turlupinato gli Italiani con i suoi lacrimevoli predicozzi sui valori della famiglia, l’importanza del ruolo genitoriali nella crescita dei figli, dei quali a quanto pare, almeno a detta della moglie, Veronica Lario, «non ha mai partecipato alla festa dei 18 anni, nonostante invitato». Al contrario, non ha mai rinunciato a presenziare a festini anche goliardici di amici, conoscenti e sconosciuti, magari in «compagnia di qualche minorenne», come ha precisato nel corso delle dichiarazioni rilasciate alla stampa l’ormai ex consorte. Ex consorte che non riesce a spiegarsi come tanti Italiani non facciano una piega davanti alle tante corbellerie raccontate dall’ex marito e gli concedano ancora credito.
«Mi ha detto che vado con le minorenni. Capite? Una cosa incredibile. Si dovrebbe vergognare. Lo ha fatto per mettermi i figli contro», - ha sbottato il Cavaliere sdegnato, - «Questo sarebbe il modo "dignitoso" di comportarsi?», - s’è sfogato in un colloquio con il fido Ghedini, che lo ha difeso nelle tante avventure giudiziarie in cui è incappato in questi anni.
Sicuramente la signora Lario non avrà gradito la meschina manovra di Vittorio Feltri, che, con esemplare buon gusto, ha sbattuto sulla prima pagina di Libero le foto a seno nudo di Veronica, rammentando ai suoi lettori che la predica a Silvio non proveniva certo da un pulpito qualificato. Ma si sa che la guerra apertasi a Macherio sarà lunga e piena di sorprese ed esigerà lo schieramento inequivoco dei fan dell’una e dell’altra parte a sostegno delle opposte ragioni. Ma mentre nel caso della Lario ci troviamo di fronte ad una moglie tradita ed offesa, ad una donna che ha dovuto sopportare in silenzio per anni le esibizioni discutibili di un consorte affetto da inguaribile gallismo e dall’evidente propensione a trascurare i più elementari doveri di padre, dall’altro lato la posta in gioco è ben diversa e rende la questione apparentemente di vita privata di dimensione pubblica, dalle imprevedibili ricadute. Essendo il fedifrago non uomo qualunque ma, ahinoi!, il capo di governo di uno dei Paesi più significativi nello scenario planetario, a lui è sarebbe richiesta anche nel privato una specchiatezza al di fuori del comune: qui non sono in gioco le virtù della moglie di Cesare, ma la rettitudine dello stesso imperatore.
D’altra parte se la storia insegna che se il popolo è disposto a passare sopra anche a delitti ben più gravi commessi dai loro governanti, diverso è l’atteggiamento quando sono in gioco principi morali fondamentali, veri pilastri della convivenza comune: il caso Bill Clinton, capo dello stato più potente della terra, costretto a dimettersi anzitempo per evitare l’inpeachment, dimostra come sulla salvaguardia di certi valori non vi sia alcuna tolleranza popolare.
Ed a questo proposito non può sottovalutarsi che nei prossimi sessanta giorni il Paese sarà chiamato ad un giro elettorale imponente, tra amministrative, europee e referendum e l’ossidazione dell’immagine del leader del partito, che punta ad un nuovo schiacciante successo, può fortemente compromettere i risultati del voto. Appare questo, in definitiva, il vero motivo del cruccio di Berlusconi, che rischia di vedere bruciati gli sforzi prodotti nelle ultime settimane sullo scenario del terremoto abruzzese.
Questa volta, peraltro, ha la chiara sensazione che non servirà smentire, gridare alle campagne comuniste contro di lui, sebbene ancora qualche ora fa abbia parlato «di atto criminale mediatico ai suoi danni e del rapporto con i figli». Quest’autodifesa disperata si manifesta come l’ennesimo maldestro tentativo di arrampicarsi sugli specchi ed il supporto concessogli bellamente dai reggibordone, tra i quali Feltri, rischia di dimostrarsi solo il basso tentativo di capovolgere l’evidenza.
Fatto è che lo stato maggiore del PdL, Berlusconi in testa, si sta concentrando nel valutare i timori che la "sintonia" instaurata con il paese venga incrinata; sui rapporti con il Vaticano, intaccati dal secondo divorzio, e con il mondo cattolico in generale, che già da tempo manifesta con Famiglia Cristiana in prima fila una crescente disaffezione verso un centro-destra rivelatosi assai disattento ai problemi delle famiglie, dei lavoratori e delle classi, che stanno vivendo la crisi attanagliante sempre più drammaticamente. Sul suo tavolo c'è già uno studio che mette in bilico due milioni di voti "cattolici". Potenziali elettori che potrebbero optare per il "non voto" alle prossime europee e che potrebbero ridimensionare la spocchia del premier se non rappresentare l’inizio di un’inarrestabile inversione di tendenza
Per non parlare dei rapporti sempre più critici con Gianfranco Fini. I due avevano un appuntamento per giovedì scorso. Il premier lo ha annullato. E non a caso. Il presidente della Camera sembra il maggiore indiziato del temporale abbattutosi in casa Berlusconi, che accusa l'editoriale contro il "velinismo" di "Fare Futuro", la fondazione che fa capo proprio a Fini, di essere stato la scintilla ha fatto esplodere la signora Lario. Poco rileva che Silvio medesimo con i suoi censurabili comportamenti abbia imbottito d’esplosivo un menage ormai solo in attesa del botto finale.
Recita un vecchio adagio che chi è causa del suo male non deve che piangere se stesso. Ma nel caso del nostro personaggio c’è il fondato sospetto che, come per tutte le sue vicende passate, saranno i cittadini a dover piangere, cominciando a sciropparsi l’ennesima telenovela sui nemici e gli invidiosi di un cavaliere senza macchia, di un esempio di integerrima correttezza, costretto alla trincea persino da una moglie ingrata, anch’ella vittima incosciente della propaganda sovversiva.


(nella foto: Veronica Lario e Silvio Berlusconi)

sabato, maggio 02, 2009

La repubblica del viagra e del valium

Sabato, 2 maggio 2009
Se una qualità indiscutibile possiede il Cavalier Berlusconi è quella di riuscire a sconcertare costantemente coloro che ne seguono le gesta.
Uomo del paradosso e, contemporaneamente, del lucido cinismo; imbonitore professionale, bugiardo accattivante, alfiere del linguaggio dell’antipolitica, aggressivo con gli avversari sino a rasentare l’arroganza più odiosa, ma capace di vendersi come vittima di persecuzioni apocalittiche di immaginari carnefici; piazzista provetto di illusioni, ma capace di suscitare nell’immaginario collettivo la sensazione di essere vicino ai problemi veri della gente. Come un novello Peron, intriso del populismo più esasperato, ecco il presidente operaio, aviatore, pompiere, manager, padre di famiglia e, nelle ultime ore, inguaribile tomber de femmes e improbabile macho, a dispetto dell’età avanzata.
Vien quasi da credere che quando negli ultimi giorni ha parlato di Resistenza, intervenendo tardivamente alle celebrazioni del 25 aprile, in realtà, non si riferisse alle tante eroiche vittime della resistenza partigiana, che hanno sacrificato la propria vita per la democrazia e la liberazione del Paese dal giogo nazi-fascista, ma alludesse alla magnificazione di certe sue insospettabili capacità.
D’altra parte se il personaggio avesse effettivamente avuto a cuore il senso della liberazione dell’Italia dall’oppressione della dittatura, non avrebbe certamente atteso oltre quattordici anni per partecipare ad un appuntamento con il quale anno dopo anno si intende mantenere viva la memoria sui misfatti di un ventennio autoritario e liberticida.
Invece il reprobo, negli improbabili panni del pentito, si rammenta dell’importanza della Resistenza solo in concomitanza con la tornata elettorale del prossimo mese di giugno e mentre tenta di infarcire le liste elettorali del partito di cui è padre-padrone di cortigiane, veline e prosperose ragazze-copertina, - “ciarpame” di infimo ordine, come ha definito la squallida accozzaglia la signora Veronica Lario, stanca probabilmente di quest’altrettanto squallido spettacolo di gallismo postsenile cui sembra abbandonarsi sistematicamente il marito Silvio.
Certo, anche l’occhio vuole la sua parte, recita un vecchio adagio. Ma la politica, la responsabilità di guidare un paese, riteniamo vada ben oltre le vacue apparenze e richiede piuttosto in chi lo rappresenta uno spessore di contenuti e competenze non surrogabili con il pizzo di uno slip o la procace curva di un gluteo ben scolpito. E nonostante com’era prevedibile il nostro valente Presidente del consiglio non abbia risparmiato le sue invettive da vecchio trombone contro la solita sinistra in malafede, capace di abbindolare persino la consorte Veronica, per smentire che nelle liste del PdL si stesse seriamente pensando di inserire un manipolo di ragazze-copertina, ha tenuto a precisare che letterine e veline comunque affolleranno i palchi dai quali arringherà i suoi elettori, che spera di motivare oltre che con le panzane anche stimolando in loro qualche recondito prudore inconfessabile.
E poi, di cosa ci si dovrebbe stupire? Non è forse l’Italia il paese dei latin lover, degli infaticabili amatori? E cosa c’è di meglio di un Presidente del consiglio, di un premier che incarna lo stereotipo che sempre abbiamo esportato nel mondo insieme con le scarpe, la moda, la pizza e nutella? Ecco allora con un nuovo colpo di teatro che il Cavalier Banana assume l’ennesima veste, quella del Presidente Macho, dell’infaticabile amatore che alla faccia dei suoi settant’anni suonati ama ancore tre ore per notte, dorme per altrettanto tempo e zompa come uno stambecco da una zona terremotata all’inaugurazione di un termovalorizzatore, da una piena del Po ad un G8 con la stessa energia di un bersagliere.
E’ l’immagine che paga, è l’immaginario che bisogna titillare, non valgono i contenuti né le cose che concretamente si fanno, ma l’accredito che ci si costruisce giorno dopo giorno con il bombardamento della propaganda, con uno status di testimonial costruitosi con il denaro e con l’impunità. E se ciò dovesse imporre magari il ricorso a qualche energizzante, una pastiglietta blu di tanto in tanto, non ci sarebbe niente di male. E cosa c’è di più appagante per chi del proprio ego ha fatto un simulacro di potersi fregiare da oggi in poi anche del titolo di Cavalier Viagra?
La verità vera è che il Cavaliere ha una strategia precisa, che sa per esperienza essere pagante, e che ha già abbondantemente rodato nei media che possiede: trasformare anche la politica in avanspettacolo, in una sorta di Grande Fratello continuativo nel quale i partecipanti mettono a nudo le loro pulsioni, si amano, si odiano si insultano, amoreggiano, con naturalezza e trasparenza, senza ritegno alcuno, al di fuori di ogni schema di bon ton e di regole del galateo.
Questo disimpegno, in realtà, non è però veicolo per creare i presupposti di una politica più vicina al senso comune della gente, poiché non punta su meccanismi di trasmissioni di valori in modo più immediato e con un linguaggio privo degli orpelli sovrastrutturali cui si è sempre rivolta ai cittadini molto spesso solo per mascherare ad arte le proprie manchevolezze, ma si rivela un subdolo strumento di distrazione dell’attenzione delle masse dai problemi veri della loro esistenza. E’ una sorta di anestetico con il quale si sopisce la coscienza; si dispensa valium a base di stupidaggini, pettegolezzi, prurigini e amenità con il quale si ottiene il duplice effetto di consolidare il legame con gli strati sociali ai margini della cultura e della capacità di autocoscienza e di aumentare il distacco dalla politica degli strati sociali sempre più delusi da una politica sostanzialmente incapace di rispondere alle vere esigenze di giustizia, equità, trasparenza delle opportunità, progresso e correttezza nell’amministrazione dell’interesse pubblico.
Ancorché il fenomeno sarebbe meritevole di approfondimento sociologico oltre che neuropsichiatrico, non v’è dubbio che il trasferimento dell’etica della spazzatura dal’'esercizio dei media alla prassi politica stia trasformando il Paese in una sorta di macelleria sociale nella quale tutto passa per un tritacarne, che annienta i valori ed i fondamenti della convivenza civile e democratica. E questo dovrebbe far riflettere quanti hanno a cuore le sorti delle nuove generazioni, alle quali così continuando non resterà che una misera eredità di vuota apparenza e di fetida cultura dell’ostentazione, nella quale si consumerà la disgregazione di ogni legame sociale e trionferà il nuovo autoritarismo di cui è portatore Berlusconi e la sua gente. E nulla in quest’Italietta di inizio millennio niente sembra più vero di quella profezia secondo la quale è il sonno delle coscienze che genera mostri.
(nella foto, Silvio Berlusconi intento a valutare i requisiti di Miriam Leoni)