martedì, maggio 31, 2011

Ha rotto!

Martedì, 31 maggio 2011
Al di là di ogni previsione e di ogni speranza. La sinistra, - ma sarebbe il caso di parlare di opposizione, - ha inferto un durissimo colpo alla spocchia di Silvio Berlusconi e il suo entourage, convinti, persino alla vigilia dei ballottaggi, che la tornata elettorale non avrebbe mai potuto rappresentare una disfatta dalle proporzioni che sono state registrate. Perdere a Milano, a Napoli e persino a Trieste, Novara, Cagliari, Olbia, Gallarate ed Arcore è stato un evento che va oltre il semplice fenomeno dell’alternanza e rappresenta un lacerante sirena spiegata che prelude al tracollo ben più massiccio di uno stile di governo improntato alla propaganda, alla promessa, all’illusione, all’assenza di contenuti e di provvedimenti volti a creare le condizioni per un rinnovato benessere fortemente eroso dalla crisi economica ancor in atto.
In questo scenario va in ogni caso evidenziato che è difficilissimo parlare di semplice vittoria della sinistra, ove per sinistra s’intenda il PD, poiché il fatto inedito che s’è palesato con questi risultati elettorali è che l’opinione pubblica ha guardato oltre la compagine della sinistra tradizionale e si è lasciata convincere dal progetto di Vendola e del suo SEL e dall’immagine di un De Magistris, nei ranghi IdV, quale uomo nuovo in grado di far uscire Napoli dal tetro tunnel in cui sembra da tempo viaggiare.
Ancora qualche giorno fa in Plaza del Sol a Madrid, dove è in corso un’imponente manifestazione contro la ghettizzazione sentita dai giovani spagnoli per la politica del governo Zapatero, s’è sentito l’invito a non alzare la voce, per evitare di “disturbare gli Italiani” sembrati indifferenti alle ragioni di quel movimento di protesta, sebbene non abbiano problemi diversi da quelli denunciati dai colleghi iberici. Ebbene, quell’invito carico d’ironia sembra aver prodotto i suoi frutti e la risposta data dagli Italiani alla politica del governo delle destre è stata netta e chiara: Berlusconi ha rotto!, ha stufato con le sue invettive strumentali e opportunistiche contro la magistratura e le istituzioni, con la somministrazione continua di spot pubblicitari a base di benessere, risanamento, rilancio dell’economia, posti di lavoro e tante altre vuote stupidaggini mai seguite da fatti concreti che servissero da segnale per un’inversione di tendenza. Il re alla fine è apparso per ciò che in realtà è sempre stato: nudo, privo di qualunque capacita di uscire dalla palude delle promesse nella quale si è da tempo cacciato da solo, senza alcuna volontà concreta di occuparsi dei problemi veri della gente, perseverante nel disperato tentativo di restare al suo posto solo per poter godere di un’incolumità dalle conseguenze inevitabili per i reati che ha commesso, in un immobilismo ricattatorio che costringe il Paese in una stagnazione mortale e senza speranza.
Ciò, se non toglie nulla alla soddisfazione per il ribaltamento di uno scenario che sembrava cristallizzato, non consente di esultare oltre una certa misura, con una cautela che eviti l’esaltazione, poiché Berlusconi non perde per la capacità surclassante degli avversari, ma perde principalmente per lo sgambetto che s’è fatto da solo, vittima della sua concezione arrogante del potere, per la spocchia intollerabile con la quale si era autoconvinto di poter dominare il quadro politico, per l’ottusa convinzione che il suo denaro tutto avrebbe potuto comprare e che la sua immagine di novello Mida potesse appannare la ragione e i sentimenti sino al punto da poterlo traghettare con un golpe indolore al vertice dello stato, definitivamente al riparo da ogni obbligo di regolare i conti con il suo passato da spregiudicato avventuriero.
C’è da augurarsi adesso, proprio nella fase in cui prenderà il via l’inevitabile resa dei conti tra il Pdl e la Lega e, nel PdL, tra le sue variegate anime, che gli avversari vincitori non si lascino distrarre dall’ebrezza del successo e s'illudano che la strada verso le elezioni politiche sia spianata e tutta in discesa. Il popolo è paziente, sa attendere, è lento nelle sue reazioni, in altri termini sarà anche bue, ma questo non significa che a quelle qualità sia disposto pure ad associare le corna.

lunedì, maggio 30, 2011

Le incongruenze sulle pensioni

Lunedì, 30 maggio 2011
Valentina Conte, giornalista di la Repubblica, dedica oggi un’analisi sommaria la tema delle pensioni. Probabilmente sull’onda dei dati INPS di alcuni giorno or sono, che hanno rappresentato l’universo dei pensionati come una sterminata corte dei miracoli con redditi mensili sull’orlo della sussistenza se non del tutto ridicoli.
Il tema è divenuto improvvisamente di grande attualità, al punto che anche la segreteria della CGIL, per bocca di Susanna Camusso, ancora oggi sollecita un intervento legislativo che fissi le pensioni minime al meno al 60% dell’ultima retribuzione utile per il suo calcolo.
Il discorso non fa una grinza. Anche da pensionato il cittadino ha diritto ad un reddito che gli consenta di vivere in maniera dignitosa, specialmente nell’epoca dell’euro che, almeno nel nostro Paese, ha finito per importare un forte rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità, che ha limato ulteriormente l’assegno di quiescenza.
Ciò che non è accettabile, come accade spesso in questi casi, è il populismo con il quale s’infarciscono i discorsi su questi argomenti, finendo per innescare una sordida guerra tra poveri che nulla ha a che vedere con la giusta soluzione del problema.
«La distanza che separa un pilota da un co. co. co o co. co. pro qualunque, se misurata dall'entità della sua pensione, è davvero incolmabile: 3.500 euro contro 120 o poco più. Lordi, al mese. Raggelante, poi, se il confronto è con un dirigente: 3.800 euro contro i soliti 120», scrive Conte, offrendo così un flash del tutto distorto di una realtà, che ha le sue motivazioni in un sistema previdenziale sostanzialmente iniquo e vorace, che esige molto a livello contributivo e nel corso degli anni non ha fatto che tagliare i rendimenti dei contributi versati, sino a falcidiare le pensioni finali rispetto ai redditi effettivi in costanza di rapporto di lavoro.
Ciò è avvenuto con buona pace di tutti: sindacati, politici, associazioni di categoria datoriali, cittadini e, paradossalmente, i lavoratori, che hanno approvato le perverse norme sull’innalzamento dell’età pensionabile, la revisione dei coefficienti di rendimento e, ciò che più conta, le assurde norme sulla precarizzazione del lavoro e la revisione con il governo Dini del sistema pensionistico, con il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo. Nel primo caso la pensione si calcolava in base a due parametri: le retribuzioni ricevute negli anni che precedevano il pensionamento e l’anzianità contributiva, con evidente maggior beneficio per il percettore – tale calcolo, ad esaurimento, riguarda tutti colo che all’entrata in vigore della riforma del ’96 avevano almeno 18 anni di contributi versati. Nel secondo caso, la prestazione pensionistica è correlata ai contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa. Infine, v’è un calcolo di pensione che riguarda tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro non stabile (co.co.co, co.co.pro, stagionali, lavoratori in affitto, professionisti, ecc), che versano un contributo pensionistico ad una cosiddetta gestione separata INPS (legge 335/95), che ha meccanismi di funzionamento particolari. E’ evidente che le pensioni erogate a seguito di un rapporto di lavoro precario sono più basse di quelle maturate in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e continuativo e, dunque, qualunque raffronto tra categorie pensionistiche che non tenga conto di questi presupposti rischia di diventare fortemente fuorviante.
In questo senso Valentina Conte dimentica di precisare che i dirigenti che percepiscono la pensione da lei riportata sono coloro che hanno maturato il diritto in base al metodo retributivo, che vanno ad esaurimento, sebbene ciò nulla tolga allo sconcio di pensioni da 120 euro mensili come quelle previste per un precario. Tuttavia, occorre essere onesti e precisi quando si parla di queste cose, poiché il rischio è di fare un fascio unico di erba diversa e creare le condizioni per alimentare le radici di un odio sociale assai diffuso di questi tempi.
D’altra parte e qualora si volesse effettuare un’analisi più puntuale, emergerebbe che anche all’interno delle stesse categorie di pensionati esistono differenze macroscopiche dovute ai diversi regimi previdenziali in vigore in passato: tra dirigenti di enti soppressi e confluiti in INPS e dirigenti che hanno maturato la pensione all’interno di quest’istituto sussistono notevolissime differenze, dovute alla presenza di tetti contributivi poi rimossi o di meccanismi di congelamento degli importi maturati, che sarebbe assai complicato qui spiegare. Crediamo sia utile per il lettore comprendere che esistono importi pensionistici anche notevolmente differenziati come risultato di meccanismi di calcolo ormai in via d’esaurimento, in uno scenario preoccupante di precarietà del lavoro che nulla lascia presagire di buono per il futuro.
Infine, rileva Valentina Conte «In tema di pensioni, un'altra distanza ormai incancrenita, perché immutata da almeno cinque anni, è quella tra le aree del Paese. Le pensioni erogate al Sud, scrive l'Istat nel Rapporto annuale, sono più basse di quelle del Nord-ovest di quasi un quinto, ovvero del 19,5% e del 12,1% rispetto alla media nazionale. Per fare un esempio, nel 2009 un pensionato meridionale prendeva in media 9.501 euro lordi l'anno, una cifra di gran lunga inferiore se paragonata agli assegni erogati al Nord-ovest (11.805 euro), Nord-est (10.959 euro) e Centro (11.317 euro). E, ovviamente, alla media nazionale pari a 10.808 euro». Ma anche in questo caso la consistenza del dato va analizzata con riferimento alla natura dei rapporti da lavoro al Sud rispetto al Nord, al sottosalario ed al lavoro nero diffuso più nel Mezzogiorno che nel Settentrione del Paese.
In definitiva, ben venga un dibattito che metta a nudo le distorsioni presenti del sistema pensionistico italiano, ma l’evidenziazione di tali distorsioni non serva per alimentare le false ragioni di uno scontro tra categorie sociali basato esclusivamente sulla errata percezione della realtà di riferimento.

giovedì, maggio 26, 2011

«Chi vota la sinistra è senza cervello»

Giovedì, 26 maggio 2011
Se a Silvio Berlusconi possono imputarsi tanti difetti non può d’altra angolazione non riconoscersi una grande capacità, quella di rivelare al mondo delle grandi verità, frutto della sua immensa capacità d’intuizione e conoscenza delle debolezze umane.
Ieri sera, nel corso della trasmissione di Bruno Vespa, Porta a Porta, già da tempo ribattezzata Lo Zerbino di Arcore, ha svelato la sua verità sulla natura degli elettori di sinistra, i suoi avversari, definiti senza alcun beneficio di dubbio dei «senza cervello».
Certo, il giudizio è un’evidente evoluzione di quel «sono coglioni» che ebbe a proferire qualche hanno fa, che rappresenta un chiaro peggioramento d’immagine dell’elettore dissidente, ma che non muta la sostanza del valore che il premier attribuisce a chi non condivide il suo discutibile punto di vista politico, - assunto che ne abbia uno e che possa meritare d’esser considerato tale. E, naturalmente, il Pavone di Arcore nel fare questa dichiarazione non si è lasciato neanche sfiorare dal dubbio che affermazioni di questa natura confermano come il veleno che sistematicamente vomita sui suoi avversari è l’humus che alimenta il disprezzo crescente per la sua equivoca figura.
Ciò che non capisce il personaggio è che la democrazia è fatta di diversità e di dissenso, non certo del servilismo untuoso che esige esasperatamente dai suoi accoliti. Inoltre, credere che la ragione stia sempre dalla parte di chi fa la voce più grossa o si arroghi il diritto di offendere spregevolmente chi diverge dal proprio pensiero è un errore mortale, che alla lunga non può che condurre sulla strada dello scontro anche violento.
Il modello di governo del potere che ha in mente Berlusconi è fortemente viziato da una visione autoritaria, da una concezione verticistica, monarchica, che non pone limite alcuno a colui che lo esercita, mentre impone regole strettissime a coloro che lo subiscono, considerati alla stregua di servi privi di diritti, se non quelli che graziosamente siano concessi estemporaneamente a giudizio insindacabile del sovrano. Ciò rende Berlusconi pericolosissimo per la pacificazione e la civile convivenza, oltre che fuori da ogni percepibile dimensione di spazio tempo. Un anacronistico personaggio che genera perniciose tentazioni verso derive totalitarie, inimmaginabili in una radicata cultura liberista di stampo occidentale.
La radicalizzazione ideologica con la quale ha inteso qualificare la sua discesa in campo è priva di qualunque aderenza con i problemi reali della gente, sebbene agli albori della sua discesa in campo abbia giocato un ruolo non marginale il successo imprenditoriale ostentato e con il quale ha accumulato invidiabili ricchezze. Paradossalmente questo successo ha giocato un effetto boomerang sul suo gradimento, poiché ci si è resi conto che l’essenza della sua visione politica non si basava sulla liberalizzazione delle opportunità, sulla creazione di condizioni di un più “democratico” accesso al benessere diffuso, ma sulla creazione di barriere spartiacque sempre più invalicabili tra chi deteneva la ricchezza e coloro che non possedevano nulla. Questa consapevolezza, il crollo della grande illusione, la marginalizzazione di quote sempre più consistenti di fette della società, il ridimensionamento del ceto borghese ed il suo l’arretramento in categorie proletarie, hanno determinato una forte inversione di rotta ed hanno innescato un processo che sembra irreversibile di spostamento verso altre direzioni dei consensi a suo tempo espressi a Silvio Berlusconi, verso colui che s’è palesato alla fine solo come un grande imbonitore.
A Milano il processo ha avuto probabilmente la sua manifestazione più tragica e dirompente. D’altra parte sono anni che le amministrazioni succedutesi, da Albertini alla Moratti, hanno puntato sul progetto di conferire alla città un’immagine elitaria ed esclusiva Ne sono testimonianza le guerre contro gli immigrati, i provvedimenti limitativi e onerosi sul traffico, l’esasperante lievitazione dei prezzi degli affitti, il carovita generalizzato e fuori controllo, accadimenti che hanno costretto masse ingenti di cittadini ad emigrare verso le periferie dormitorio, con un crollo verticale delle loro condizioni di vita.
Ha che ben dire adesso Silvio Berlusconi che è senza cervello chi vota la sinistra, che il suo default è frutto di una congiura mediatica orchestrata dagli avversari e dalla scarsa qualità dei candidati proposti nella tornata elettorale. La triste verità, per l’arrogante Berlusconi, è che non esiste alcuna congiura mediatica a suo danno, non fosse perché lui incarna il conflitto d’interessi in campo mediatico e, dunque, semmai è sua la responsabilità di non essere più convincente, nonostante con i suoi giornali e televisioni abbia tentato disperatamente di manipolare la percezione della realtà e le coscienze dei cittadini; così come non è certo colpa della Moratti se i Milanesi gli hanno votato le spalle, dato che la modesta donna è stata da lui imposta in assenza di candidati alternativi e per non lasciare il campo alle ambiziose brame della Lega.
E allora, non è senza cervello chi vota a sinistra, ma, purtroppo per il bluff di Arcore, è senza cervello e dignità chi continua a dar credito alle balle predicate da un comatoso e astioso Re Travicello sempre più disperato.

mercoledì, maggio 25, 2011

Il valzer dei bugiardi

Mercoledì, 25 maggio 2011
La campagna elettorale in corso passerà certamente alla storia, ma non per le ricadute che il voto determinerà nell’assetto della politica nazionale, quanto per la montagna di spudorate bugie che si sono state inventate dalla fazione che si prevede uscire sconfitta.
A parte la mostruosa balla della Moratti sui precedenti penali del suo avversario Pisapia, amnistiato dal reato di furto d’auto, ma in verità assolto con formula piena dopo aver rinunciato ai benefici dell’amnistia, adesso nella disperazione più profonda per l’esito pressoché segnato del ballottaggio di domenica prossima, si sparano allucinanti bugie con l’obiettivo di correggere l’esito del voto, ammantando di paura la probabile vittoria della sinistra.
S’è inventato così, un assalto squadrista ad una vecchietta, madre di un assessore della giunta Moratti, al cui capezzale si sarebbe recato persino un affranto Silvio Berlusconi, per poi smentire davanti alle evidenze la notizia e ridurla ad una semplice caduta accidentale dell’interessata. Con la stessa finalità s’è inventata un’imminente marcia dell’Islam verso il centro di Milano, organizzata da un’orda di musulmani esaltati dalla gioia della notizia dell’altrettanto imminente avvio della costruzione di una moschea in città, in luogo non meglio precisato tra il Duomo e la stazione centrale. Mentre falangi di Rom, a piedi e con al seguito teorie di roulotte sgangherate imbottite di scarti umani armati sino ai denti e pronti a prendere d’assalto tutto e tutti, sarebbero in fibrillante attesa d’invadere la città come le truppe di Attila nella metà del 400. Mancano gli allarmi sugli eventuali stupri cui si abbandoneranno nord-africani, zingari, aderenti di centri sociali e altra umanità border line, che costituisce la presunta base dei supporter di Pisapia, per completare il quadro. Basterebbe comunque aver richiamato l’immagine di Stalingrado, con tutto ciò che evoca, per considerare più che sufficiente l’orizzonte di distruzione cruenta che colpirebbe Milano qualora la sinistra avesse il sopravvento sul demiurgo Moratti.
Scrive Barbara Spinelli a proposito di questo modo inconsueto di far propaganda politica: «Sostiene Berlusconi: "Con la sinistra Milano diverrebbe una città islamica". O "diverrebbe Zingaropoli". O cadrebbe nelle mani violente dei centri sociali. O peggio ancora, senza più condizionale: "Sarà Stalingrado". La campagna del premier non potrebbe essere più tossica, menzognera. Ancora una volta, tenta la seduzione degli elettori immettendoli in una bolla d'inganni: non idilliaca stavolta ma cupa, sinistra. Nella sua retorica, idillio e fiele combaciano, l'insulto si fa incontinente.»
Ma il vezzo della bugia non si ferma certo all’evento elettorale, nel quale la sua sperimentazione ha una finalità utilitaristica immediata. La bugia, la sordida menzogna, è ormai divenuta un’appendice essenziale della propaganda politica, una propaganda che, a corto d’argomenti, deve ricorrere alla panzana per screditare l’avversario o stravolgere la verità.
Un esempio? Ieri il baldo Tremonti, - a cui pesa il giudizio documentato dell’Istat che l’accusa d’aver messo l’Italia in mutande, - ad un convegno di banchieri, imprenditori ed economisti ha chiesto agli astanti d’alzare la mano se fra di loro vi fosse stato per caso un neo-povero, secondo le risultanze dell’istituto di statistica. Ovviamente nessuno ha sollevato la mano, dato che di poveri in quel consesso non ve n’erano di certo e comunque, qualora ve ne fosse stato qualcuno, c’è da credere che, non fosse che per dignità, non avrebbe risposto all’appello. Certo, al ministro suggeriamo in futuro di fare un altro test, magari con maggiori possibilità di successo: provi a chiedere se in sala siede un cornuto e stiamo a vedere il risultato.
D’altra parte cosa si può pretendere da una fazione politica talmente screditata che ha imparato dal suo leader a mentire anche di fronte all’evidenza: le signorine dell’Olgettina non sono donne di piacere, ma povere orfanelle bisognose d’affetto e d’assistenza, tanto quanto la povera “nipote di Mubarak”, con tanto di conto milionario, - giusto per citare le falsità più comiche.
E allora?, cosa costa promettere lo spostamento da Roma a Milano di qualche ministero se questo serve a convogliare simpatie a danno di chi queste promesse non può e, molto probabilmente per decenza, non farebbe mai?
Anche la Fincantieri, azienda pubblica di costruzioni navali, sostiene che la cantieristica non tira più e bisogna mandare a casa 2500 padri di famiglia: non viene mica a raccontare il ben pagato ad di Fincantieri che lo sperpero di pubblico denaro non consente di tirare avanti con bilanci marcescenti. Già il signor Romano Prodi negli anni ’90 aveva raccontato la balla mostruosa che la marineria non era strategica nel nostro Paese (sic!), - un paese bagnato per tre lati dal mare, - e dunque occorreva disarmare la flotta di stato e smantellare la Finmare. L’operazione riuscì perfettamente per l’insipienza di un parlamento servo al pari di quanto non lo sia l’attuale e d’una opinione pubblica che storicamente e presa d’assedio da mille problemi irrisolti e incancreniti che ne distraggono l’attenzione. Risultato?, il regalo di Italia di Navigazione e Lloyd Triestino, - due aziende storiche della marineria pubblica, - ai Cinesi della Evergreen e a D'Amico, armatore amico degli amici. E c’è da credere che riuscirà anche l’operazione Fincantieri, dato che passa il tempo, cambiano gli attori ma la tragedia e la distrazione sono sempre le stesse: alla fine, sotto l'onda della sollevazione di quanti stanno per perdere il posto di lavoro, verrà fuori il solito "salvatore", pronto a "farsi carico della pregiudicata situazione economica e finanziaria" degli stabilimenti da chiudere qualora gli vengano regalati gli impianti. Sembra un altro caso Alitalia, ma la storia d'Italia - Motta e Alemagna insegnano - è fatta di episodi analoghi.
Eh benedetto Berlusconi! Insulta tanto la sinistra, i comunisti e i loro metodi, ma nel raccontar bugie, nel dossieraggio, nello stravolgimento della realtà, nella negazione opportunistica dei problemi veri e nella magnificazione di improbabili situazioni di benessere, sembra sia stato a scuola alla Stasi dei tempi bui. E i suoi seguaci, come bravi allievi, non solo scimmiottano il capo, ma in qualche caso riescono a mentire persino meglio di lui in un degrado senza fondo.

(nella foto, Romano Prodi, autore negli anni '90 di menzogne meschine sulla non strategicità della marineria nazionale)

venerdì, maggio 20, 2011

I cialtroni disperati

Venerdì, 20 maggio 2011
I dati dicono che hanno perso almeno per il momento, salvo recuperare in parte le posizioni nei ballottaggi. Ma questa sconfitta, o almeno il modo come si è determinata, non è servita a far cambiare registro né alla Lega, né al PdL, che continuano imperterriti sull’onda dei metodi di campagna elettorale impostata per il primo turno.
Così Bossi dà del matto a Pisapia, sol perché nel suo programma elettorale è prevista una soluzione per Rom, luoghi di culto per i musulmani e cancellazione di parecchie iniziative dell’amministrazione Moratti e qualche voce del PdL, - leggi La Russa, Stracquadanio, l’indomabile Cicchitto o Rotondi, giusto per citarne alcuni, - continuano a lanciare frecciate al curaro nei confronti di quell’opposizione dietro la quale sono costretti ad arrancare nel disperato tentativo di sorpasso nel turno elettorale del 29 e 30 maggio. Ovviamente, sordi ad ogni consiglio sulla necessità di cambiare metodo e rotta, perseverano in una sterile quanto denigratoria campagna contro avversari che devono il loro successo alla capacità di aver saputo interpretare il montante malcontento dei cittadini, considerati dal duo Lega-PdL alla stregua di sudditi senza diritto al dissenso.
Ancora nella serata di ieri Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del Programma, ha dimostrato nel corso di un’intervista rilasciata a RAI News 24 di Corradino Mineo, quanto sia il livore ad avere la supremazia sulla razionalità nell’impostare la campagna per i ballottaggi. Così Giuliano Pisapia è stato spregevolmente definito un «comunista da salotto» contiguo all’area di Rifondazione Comunista, che nulla ha in comune con la cultura borghese di Milano.
Il consenso che Pisapia ha registrato secondo Rotondi sarebbe frutto della certezza della maggioranza dei Milanesi che non avrebbe mai prevalso nel confronto con Letizia Moratti e, dunque, con la diserzione delle urne per eccesso di ottimismo. La tesi è più che suggestiva e, se la vittoria al primo turno di Pisapia è derivata dall’atteggiamento di sufficienza spocchiosa dell’elettorato, la chiamata in massa alle armi che echeggia in questi giorni dirà se effettivamente s’è trattato di sottovalutazione o di una sentenza di condanna a morte per la giunta conservatrice del comune di Milano, decisa peraltro anche da quei ceti cui fa affidamento la leadership della destra.
Ma le intuizioni dell’illuminato ministro, scarto di quella vecchia DC drogata d’ottimismo opportunistico, non si fermano alla situazione milanese. Anche Napoli sarebbe già nell’archivio delle conquiste certe del PdL e il ballottaggio concesso a De Magistris sarebbe solo una sorta di illusione per tutta la sinistra. La dimostrazione, secondo Rotondi, starebbe nel risultato significativo registrato da una forza politica sconosciuta, alla prima prova elettorale e capeggiata da «un ragazzo di campagna» di nome Gianfranco Micciché, che con la sua Forza del Sud ha portato a casa oltre il 7% da sommare ai voti del PdL. Francamente le considerazione del ministro, - che sembrano strappate alle pagine più commoventi di un De Amicis in crisi d’ispirazione, - farebbero ridere di gusto, se non fosse che rappresentano l’ennesimo tentativo truffaldino di stravolgere la verità e d’ingannare quanti non conoscono la storia del “ragazzo” Micciché e la genesi furbetta della sua Forza del Sud.
Micciché, palermitano doc e amico inseparabile di Marcello Dell’Utri, e stato sottosegretario alle Finanze, dove è stato travolto da vicende di droga, e ricopre attualmente analogo incarico presso la Presidenza del Consiglio, - e già basterebbe questo per smontare l’immagine idilliaca che ne fornisce il ministro imbonitore. Parecchi ricorderanno la sua contrapposizione violenta alla candidatura dell’inquisito Lombardo nella corsa alle elezioni regionali in Sicilia e la regia nell’interdizione ai rimpasti nella giunta siciliana dovuti alla guerra intestina tra le correnti del PdL, che coinvolge ancora oggi Bufardeci, Prestigiacomo, Castiglione, Firrarello e un bel pacco di notabili isolani. La nascita di Forza del Sud, studiata a tavolino con Dell’Utri e Berlusconi risponde all’esigenza di convogliare nell’alveo dei supporter del Cavaliere i voti del dissenso del PdL cosiddetto lealista, rispetto alle correnti dissidenti e, dunque, il furbo Micciché tutto può essere definito tranne che un ingenuo parvenu della politica. Anzi, l’operazione napoletana è una conferma di quanto la guerra intestina della destra berlusconiana sia ancora in corso e di come si tenti d’uscire per i seguaci del Cavaliere da un’impasse che rischia di indebolirne complessivamente il peso. Basata su una fittissima rete di clientele spesso poco chiare, Forza del Sud è una compagine politica di cui si sentirà parlare ancora in futuro e che punta alla difesa di interessi di casta e di sottogoverno nell’intera area meridionale.
Certo è che i voti di Forza del Sud sommati a quelli del PdL non danno quel quorum che permette al momento di preventivare la vittoria di Lettieri su De Magistris, ma bisogna dare atto a Rotondi che in politica tutto è possibile e dare per scontato che anche Napoli possa vedere un’affermazione della sinistra è del tutto azzardato. In ogni caso a Napoli come a Milano va registrato che entrambi i candidati del centro-destra hanno riportato voti largamente al di sotto di quelli acquisiti dalle liste che li sostengono e questo dato è un campanello d’allarme assai preoccupante sull’esito dei ballottaggi.
In definitiva e al di là dei messaggi di speranza, è sconfortante constatare come la destra, questa destra infingarda e spocchiosa che ha governato il Paese negli ultimi tre anni, non abbia compreso che la gente ha definitivamente detto basta alla politica delle illusioni, alla politica dell’insulto e del dileggio del dissenso, alla politica basata sulla prevalenza degli interessi dell’inquisito di Arcore su quella con al centro gli interessi generali della collettività e il suo futuro di speranza.

(nella foto, il ministro Gianfranco Rotondi)

mercoledì, maggio 18, 2011

Le ragioni della sconfitta

Mercoledì, 18 maggio 2011
Il quadro venuto fuori dalla tornata elettorale appena conclusa dice alcune cose molto precise.
Innanzi tutto, certifica le astiose dichiarazioni preelettorali di Berlusconi come una bufala senza senso: quelli della sinistra non si lavano e dunque puzzano. Salvo che a Napoli l’olezzo di De Magistris non sia stato confuso con quello della spazzatura che ammorba la città, l’allarme del leader del PdL è caduto nel vuoto, anzi ad esser più precisi nel cestino della monnezza.
Sì, è vero. L’odioso linguaggio del premier è infarcito di simbolismi e di retorica, ma per quanto questa volta la canzone stonata sulle virtù della sinistra fosse chiaramente una forzatura costruita ad arte per attirare il voto di conservatori e dei simpatizzanti del Cavaliere, non ci sono stati abboccamenti e quel 43% di voti incassati da De Magistris e da Morcone, rispettivamente IdV e PD, contro il 40% di Lettieri, candidato del centro-destra, dimostrano come la gente sia fortemente disillusa delle chiacchiere ad effetto e delle promesse al vento.
Sul fronte opposto i risultati dicono che il PD da solo non va molto lontano: a Napoli il suo candidato è stato irrimediabilmente trombato a favore di quello dell’IdV; a Milano trionfa Pisapia che non è mai stato nei ranghi del partito di Bersani; a Bologna il candidato del PD si afferma per il rotto della cuffia, ma cede quasi il 10% ai giullari di Beppe Grillo; a Torino piazza Piero Fassino, ancora fresco di naftalina, e porta a casa un successo certamente importante, ma che è lontano dai numeri delle precedenti elezioni.
I dati consiglierebbero a Bersani e alla nomenklatura del PD di smettere il corteggiamento impossibile a Casini e Fini, quell’area di centro autodefinitasi terzo polo, che al voto non solo non ha sfondato, ma ha visto ridurre il proprio peso proprio in quel FLI che avrebbe dovuto erodere consensi al PdL. Sarebbe invece opportuno avvicinarsi a Vendola, la cui stima dell’elettorato sembra esponenzialmente aumentata: i risultati di Cagliari, dove il candidato del SEL, un emerito sconosciuto dal nome Zedda, ha portato a casa un sonoro 45%, che lo manda direttamente al ballottaggio con il centro-destra rappresentato da Fantoni confermano l'esistenza di una nuova strada per interpretare un ruolo progressista.
Ma i segnali più inquietanti sono arrivati per Lega e PdL, o se si preferisce per Bossi e Berlusconi. Il primo ridimensionato di brutto rispetto ai risultati delle regionali (- 3,5/4%), pur se in crescita rispetto alle precedenti comunali (+ 6% circa), il secondo clamorosamente in rotta (- 13/14% sulle precedenti regionali e – 7% circa sulle precedenti comunali), pur se occorre tener presene il peso dello strappo di Fini e dei suoi, che hanno eroso significativi consensi al partito del premier.
Adesso c’è la corsa ai ripari per tamponare le falle evidenziatesi e per sperare di ribaltare una situazione che sembra assai compromessa.
Mentre è abbastanza agevole cogliere le ragioni di una rinascita della coscienza d’opposizione, più frutto degli errori gravissimi compiuti da Lega, PdL e dall’armata sgangherata del Cavaliere che non dall’opera di ricostruzione di una sinistra ancora troppo divisa e a corto di idee, è più difficile elencare i demeriti del centro-destra e impostare con la rapidità richiesta dai ballottaggi previsti a breve le contromosse che possano minimizzare i danni.
La Lega, - al di là dei piagnistei e delle accuse lanciate ai soci del PdL, - perde e persino male in casa propria e deve questa débâcle all’equivoco atteggiamento tenuto in sede governativa, alle copertura sistematiche offerte alle lazzaronate del Cavaliere ed ai tentativi malriusciti di questo di ritagliarsi un abito su misura di impunità per le proprie malefatte. In questo Bossi e compagni hanno dimostrato un pericolosissimo distacco dalla gente, da quella gente che ha da sempre aderito al patto con il Carroccio sulla base della trasparenza e dell’onestà, veri valori di contrapposizione con la politica tradizionale. Gli equilibrismi bossiani improvvisati per portare a casa un federalismo che genererà più oneri che vantaggi, - il classico pugno di mosche, - non sono stati condivisi dal corpo elettorale e se la musica non cambia c’è il rischio che sul viale del tramonto parecchi esponenti dei vertici leghisti accompagneranno Silvio Berlusconi.
Per il PdL , - è inutile cincischiare ed edulcorare la pillola, - l’errore è Berlusconi, il suo modo ostinato di porsi, di perseverare senza risparmiare i toni in attacchi sconsiderati a destra e a manca, Quirinale compreso, le sbornie di consenso provenienti dalle quattro concioni ad una plebe prezzolata all’uscita dal tribunale, all’irrefrenabile pulsione sessuale soddisfatta con disprezzo verso l’off limits, con un linguaggio da scaricatore di porto verso magistratura, istituzioni e avversari. D’altra parte, è stato il suo delirio d’onnipotenza che lo ha portato a trasformare una competizione elettorale locale, pur se importante, in una sorta di referendum sul suo gradimento e che l’elettorato gli abbia solo dimezzato i consensi personali e non lo abbia inseguito, picconi e falci alla mano, è già qualcosa che lui per primo dovrebbe considerare un successo.
Certo, a questa fragorosa rovina del castello di don Silvio hanno dato una mano significativa i Ferrara, i Santanché, i Sallusti, i Belpietro, i Cicchitto, i La Russa e tutta quell’umanità frustrata salita sul suo carro nel momento della vittoria e messasi a scimmiottare i metodi del Capo, convinta che in una nazione piegata dalla crisi economica e ricattata sul lavoro, con un parco di giovani smidollati e sfruttati dalla precarietà incapaci di ribellarsi ad ogni abuso, con l’azzeramento dei diritti per i più e la creazione di prelibate opportunità per la catena degli amici e degli amici degli amici, si potesse consolidare la presenza di una classe dirigente spocchiosa, strafottente, vorace e impunita. E a nulla sono valsi gli allarmi lanciati sui pericoli che si nascondevano dietro un tale modo di governare il Paese.
Ecco, e se tutto questo è vero e riscontrabile con qualsiasi breve excursus si volesse fare nella storia recente dell’Italia, è altrettanto vero che la radicazione di questi metodi di governo è tale da rendere assai poco probabile un’inversione a 180 gradi, che ridia credibilità ad un sistema di potere screditato.
Adesso tregua apparente sino ai ballottaggi per poi assistere alla vera e cruenta resa dei conti.

(nella foto, il candidato sindaco di Cagliari Massimo Zedda, autore al primo turno di una performance sorprendente)

martedì, maggio 17, 2011

La Waterloo del Cavalier Silvio

Martedì, 17 maggio 2011
Ha perso. E ha perso nel peggiore dei modi, rimettendoci la faccia e subendo un colpo mortale alla smisurata arroganza con la quale si è sempre confrontato con gli avversari. Aveva creduto che trasformare una tornata elettorale amministrativa in un referendum che consacrasse il suo gradimento ai Milanesi ed agli Italiani fosse l’occasione definitiva per infliggere una sconfitta agli avversari, per dargli la legittimazione per assestare un colpo di maglio al sistema giustizia, per portare definitivamente a casa il consenso alla sua impunità, e così la sconfitta gli ha provocato ferite talmente gravi da far ritenere che difficilmente la sua sopravvivenza politica possa avere futuro.
La scommessa sulla giustizia è persa. Dopo il voto di Milano, supposto che il governo regga, per Berlusconi diventerà difficilissimo portare avanti la sua vendetta contro i giudici. Per una ragione semplice: Milano era diventato l’emblema del Cavaliere “vittima” delle toghe. Lì, in aula per i suoi tre processi (Mills, Mediaset, Mediatrade) solo strumentalmente per poi fare comizi in strada, il premier ha chiesto ai cittadini di dargli un plebiscito per andare avanti spedito contro la magistratura. Voti per fare le sue leggi salva Silvio. Lui, in lista alle comunali. Lui, bocciato. Lui a pavoneggiarsi con il ricordo di 53.000 voti di preferenza e ad incassarne appena la metà. Adesso la prescrizione breve, il processo lungo, la legge bavaglio sulle intercettazioni, la riforma costituzionale della giustizia devono andare in soffitta.
Probabilmente lo pretenderà la stessa Lega, - altro sconfitto senza appello dalle urne, - a cui i cittadini, i suoi elettori di Milano, di Varese di Gallarate non hanno certo perdonato l’appoggio pedissequo che Bossi e soci hanno offerto ai deliri d’onnipotenza di Berlusconi. E ciò nonostante nelle ultime settimane i maggiorenti del Carroccio abbiano fatto qualche timido tentativo per sganciarsi dal cliché che si sono costruiti in un triennio di governo con il PdL: quello di movimento politico disposto persino alla revisione dei propri principi fondanti, - l’onestà, la trasparenza, la coerenza, - pur di salvare la poltrona di governo. E così non si possono sostenere tutte le imbecillità di un leader squalificato e palesemente sopra le righe in ogni circostanza in nome di un federalismo più di facciata che di contenuto.
Com’era già nelle previsioni, con Berlusconi perdono in tanti, a cominciare da quello staff di invasati opportunisti, come la Santanché, Ferrara, Sallusti, Belpietro, Cicchitto, Capezzone e altra giullaresca umanità contraddistintasi per il disprezzo con il quale ha sempre svillaneggiato l’opposizione e per aver fomentato gli atteggiamenti più volgari e prevaricatori del loro leader, convinti che il disorientamento delle sinistre fosse tale da aver demolito ogni barriera per un salto nell’autoritarismo del passato e per la riedizione di neo-dittatorialismo cortigiano.
Ovviamente la sconfitta dovrà essere metabolizzata e non è affatto detto che serva da monito definitivo a chi l’ha subita al punto da ridurlo a miti consigli e suggerirgli se non d’invertire almeno di variare di parecchi gradi la rotta. Ci sono i ballottaggi tra quindici giorni e pur se sarà inevitabile abbassare i toni occorre non disorientare coloro che comunque hanno dato il loro consenso ad una campagna elettorale basata sullo scontro feroce, a chi s’è lasciato suggestionare dall’idea che un ducetto sbruffone e con un irrefrenabile debole per le sottane rappresentasse il modello di leader vincente del terzo millennio.
Questa operazione di correzione di rotta non sarà né facile né dall’esito scontato. In primo luogo perché cozzerà contro le “certezze” maturate da coloro che il Cavaliera hanno abbandonato, perché stufi o stomacati da un periodo troppo lungo di proclami, dichiarazioni, minacce, promesse di fare piazza pulita di toghe rosse e nemici costruiti ad arte per legittimare l’escalation dello scontro e della tensione, che ha ormai coinvolto anche i rapporti con lo stimatissimo Capo dello Stato. In secondo luogo perché il cavallo sul quale ha puntato Berlusconi per incassare una vittoria a Milano, Letizia Moratti, è evidentemente bolso e, - peggio ancora, - ha ceduto alle lusinghe del “metodo Boffo” nella speranza di vincere, così consacrando definitivamente un rapporto di disistima diffusa con i Milanesi, che non hanno mai digerito la sua alterigia, la sua timidezza e la sua incapacità di imporsi con una linea propria nella realizzazione di quelle opere necessarie per mantenere alla città quella supremazia economica nel sistema Italia e quella posizione di prestigio nel contesto europeo.
C’è infine da prendere atto degli effetti della cosiddetta onda lunga che ha interessato la tornata amministrativa: l’affermazione della sinistra a Torino e Bologna e la mancata affermazione della coalizione di governo in città come Napoli. E quando arriva l’onda di tsunami non è mai possibile prevedere i disastri che procurerà.

(nella foto, Giuliano Pisapia, che andrà al ballottaggio con Letizia Moratti per la poltrona di sindaco di Milano, dopo aver vinto, surclassando al primo turno la stessa Moratti con il 48% dei consensi )

giovedì, maggio 12, 2011

Elezioni tra puzza e Chanel n. 5

Mercoledì, 11 maggio 2011
Da oggi sarà più facile salendo su un tram o entrando in bar capire immediatamente chi abbiamo vicino. Basterà un olezzo, uno zefiro, un odorino lieve, ovviamene gradevole o di sterco, e qualche frizzo estetico per rivelarci se il tizio che ci sta al cospetto è di destra o di sinistra.
Non è l’ultimo ritrovato della tecnologia a regalarci questa opportunità di cui in tanti e da tanto sentivamo l’esigenza. Nessun gadget sotto forma di sniffer elettronico, ma il normale utilizzo delle narici, - del sistema olfattivo, se si preferisce una dizione più tecnica, - e lo sguardo, che come si sa non inganna mai, ci dirà se abbiamo di fronte un comunista o un liberale o un centrista.
A queste conclusioni, divulgate nel corso di un qualificatissimo comizio elettorale in Calabria, è giunto il nostro intelligentissimo presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che, a quanto pare, novello Cesare Lombroso, ha condotto studi approfonditi sulle caratteristiche del militante di sinistra, al punto da tracciarne un somatotipo puntuale.
Il militante di sinistra, secondo i risultati della dotta ricerca, è notoriamente un soggetto schivo dal sapone e da ogni tipologia di detergente, che, se maschio, non si rade se non in particolarissime occasioni, mentre, se femmina, oltre a trascurare deliberatamente il ricorso ad ogni tipo di abluzione, è portatore di deficienze fisico-estetiche generalmente gravi, al punto da qualificarla senza possibilità alcuna d’appello racchia. Questa conclusione relativa al militante di sinistra di sesso femminile è frutto delle attente ricerche condotte dall’assistente di Silvio Berlusconi, tal Ignazio La Russa, il quale grazie alla sua intuizione ed all’importante contributo offerto alla ricerca del suo maestro è stato proposto per un particolare riconoscimento accademico “Lobotomia Endemica”, attribuito ogni anno a colui che si sia particolarmente distinto nel proferire la minchiata più suggestiva.
Il somatotipo del militante di sinistra è dunque caratterizzato dalla presenza sul corpo di croste inequivoche di pattume consolidato, accompagnate da forfora estesa sul cuoio capelluto, che gli orna regolarmente la parte superiore della giacca e conferisce al capello del soggetto la tipica untuosità maleodorante. Va infine rilevato il cattivo odore che circonda come un’aura il soggetto in questione, al punto da renderlo immediatamente riconoscibile a distanza, e i tratti del viso, costantemente tesi o addirittura sfigurati in una smorfia deturpante, sintomo di "incazzatura persistente", come da dotta descrizione dell’esperto Berlusconi.
Si evince, per contrapposizione, che il militante di destra, - naturalmente con una accentuazione progressiva dei fattori che seguono in ragione della sua distanza dalla sinistra, - è soggetto uso alla scrupolosa pulizia, all’abuso di profumi e derivati ed alla giovialità talmente evidente da renderlo riconoscibile persino a un funerale, circostanza nella quale gli è impossibile assumere il contegno contrito atteso, al punto da farlo ritenere a chi non avvezzo a questo tipo d'analisi ad un emerito pirla fuori posto.
Anche in questo caso il soggetto è riconoscibile a distanza, poiché l’intensa profumazione che emana, variabile tra il mughetto e le prestigiose lavande inglesi, il sorriso a bocca di forno da pizzaiolo e la ricercatezza degli indumenti, lo rendono immediatamente individuabile. Se poi si tratta di soggetto di sesso femminile, la sua individuazione è quasi automatica, grazie alla folgorante bellezza, sostenuta da un seno generoso, da labbra modello bunga bunga e retrotreno a mandolino.
Ciò che da questa dottissima ricerca scientifica non è dato sapere è se le caratteristiche descritte siano antropologicamente reversibili, magari in virtù di un regresso graduale, poiché se così non fosse, non ci si spiegherebbero le ragioni per le quali l’ex ministro Sandro Bondi o Giuliano Ferrara, entrambi con un solido passato nelle file della sinistra, - per citare due eclatanti casi di transumanza politica, - siano stati accolti nei ranghi della destra berlusconiana, con presumibile modifica delle abitudini igieniche.
Allo stesso modo non è chiara la ragione, se non attribuendola al clima elettorale in corso, per la quale i risultati di una tanto illuminante scoperta scientifica, - che non pare dell’ultima ora, - sia stata rivelata al mondo solo adesso.
A modesto avviso di chi scrive, ci sembrerebbe che le sconvolgenti verità rivelate da Silvio Berlusconi, - provetto Josef Mengele, - facciano il paio con le tanti indecenti scemenze affermate a tutto spiano in queste ore dal popolo pidiellino, nel pieno rispetto dei principi della “macchina del fango” teorizzata da Roberto Saviano e divenuta ormai uno strumento consueto di disperato quanto meschino attacco agli avversari. La stessa Letizia Moratti, candidato sindaco a Milano per il partito del premier, non ha esitato qualche ora fa, - turandosi ovviamente il naso per i miasmi insopportabili emanati dal suo avversario presente negli studi televisivi di Sky TV, - ad accusare Giuliano Pisapia di reati da questo mai commessi, secondo i canoni del notissimo “metodo Boffo”, che pare abbia fatto scuola nell’immaginario malato dei costruttori di fango del PdL.
In buona sostanza appare sempre più evidente che, a corto d’argomenti seri, la cricca PdL, Berlusconi in testa, non trovi di meglio che utilizzare squallidi argomenti denigratori nella speranza di portare acqua al proprio mulino. E chissà che quest’escalation di volgarità idiota non costituisca la concretizzazione dell’auspicato ritorno ai metodi aggressivi e urlati sostenuti da Giuliano Ferrara alcune settimane or sono: non c’è che dire, se questi sono i risultati , si saprà almeno chi ringraziare del becero clima da angiporto in cui la destra sembra voler trascinare il confronto politico con gli avversari.
Che pena e che schifo per quanti voteranno destra, per ignoranza o per bieco tornaconto.

(nella foto, la "signora" Letizia Moratti, candidato sindaco a Milano)


martedì, maggio 10, 2011

Il covo BR di Porta Vittoria

Martedì, 10 maggio 2011
Sulla facciata del tribunale di Milano, in corso di Porta Vittoria, questa notte sono comparse tre maxi-foto di Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini e Guido Galli. Non si è trattato di un blitz delle Brigate Rosse o di altra sigla terroristica in vena di commemorazione dei propri caduti per la realizzazione dei loro folli ideali, ma di magistrati uccisi dal terrorismo (mafioso e politico).
La scelta di esporre queste immagini, non su un presunto covo brigatista, ma sulla facciata del palazzo nel quale la giustizia viene amministrata, è stata del presidente Livia Pomodoro, in occasione della giornata della memoria per le vittime del terrorismo, che si celebra dal 2008, in risposta indiretta ai manifesti di qualche settimana fa del Pdl milanese, che paragonavano i magistrati della procura meneghina alle BR, dunque ai loro aguzzini.
Ma le maxi-foto non hanno scoraggiato una nuova bordata di attacchi sconsiderati da parte di Silvio Berlusconi, che ieri mattina è stato in aula per il processo Mills dove è accusato di corruzione. I pm «sono un cancro», ha sostenuto Berlusconi a margine dell’udienza, trasformando ancora una volta l’appuntamento con la giustizia in una tribuna dalla quale istigare a delinquere e oltraggiare le istituzioni. A ruota, a dargli manforte, la zombie isterica Daniela Santanché, che riferendosi a Ilda Boccassini, pm nel processo Mills, ha dichiarato: «E’ una metastasi che fa male alle istituzioni».
Non c’è che dire. Un grand’esempio di finezza linguistica e di diplomazia, che fa onore allo sgangherato duetto di arroganti impuniti, convinti che la scelta di non esasperare il clima con una denuncia a loro danno per vilipendio, come si farebbe nei confronti di qualunque cittadino, costituisca oramai un passaporto per potersi abbandonare sconsideratamente a dichiarare qualunque vile idiozia e farla franca
La verità è che giorno dopo giorno si sta superando il limite della sopportazione – quello del buongusto è stato valicato da tempo - e si sta trascinando il Paese verso un baratro nel quale, una volta precipitati, difficilmente si potrà risalire e sempre che le ferite riportate non si siano rivelate mortali.
Dice bene Gianfranco Fini, che Berlusconi non vedrà mai realizzato il sogno di salire il Quirinale e insediarsi nello scranno di Presidente della Repubblica. Una tale ipotesi, tuttavia, difficilmente si realizzerà non per l’impossibilità del Cavaliere di continuare a controllare il parlamento già dalla prossima legislatura, ma per la probabile guerra civile che si originerebbe qualora la disgraziata ipotesi trovasse mai conferma.
Il vero cancro di questa allucinante fase della Repubblica è Silvio Berlusconi e la sua aggregazione di servi striscianti, che hanno gettato l’Italia nella disperazione più assoluta ed hanno distrutto ogni residuo di legalità, dignità, solidarietà e senso del rispetto per la comune convivenza. Da quando Berlusconi ha assunto il potere non assistiamo che a lotte spudorate fatte di dossier, azioni squadristiche di vecchio stampo, offese volgari a destra e a manca, calpestamento di ogni diritto, trionfo dell’arroganza e dell’impunità per i potenti e i suoi scagnozzi. Uno spettacolo di degrado sociale e morale che non offrono più neanche i più scalcinati Paesi terzomondisti, nei quali la democrazia è un termine da dizionario.
Paradossalmente chi ha capito quanto il gioco in atto rischi di trasformarsi in tragedia è la Lega di Bossi, timorosa che il responso delle urne milanesi possa rivelarsi negativo. Non tanto per ragioni politiche legate alla qualità del candidato Moratti, quanto per la pervicace volontà di Silvio Berlusconi di aver voluto trasformare le elezioni amministrative in una sorta di referendum pro o contro la magistratura, una sfida mortale in cui è in gioco ancora una volta il bieco interesse personale dell’inquilino di palazzo Chigi e il fardello delle sue vicende giudiziarie.
In questa vortice la Lega non può certo lasciarsi travolgere dalle eventuali sconfitte di Berlusconi, specialmente adesso che è riuscita a portare a casa una vittoria, - più di facciata che di sostanza, - come il federalismo, venduto come la panacea agli ostacoli al benessere del Nord. Se il popolo leghista ha sino ad oggi digerito la compagnia di Berlusconi nell’avventura di Bossi e Maroni è perché il leader del Carroccio è riuscito a far passare la convinzione, suffragata dai risultati, che la ricattabilità dell’uomo di Arcore era il punto di forza con cui incassare importantissimi crediti: la Lega garantiva il mantenimento di uno stato di impunità al premier in cambio dell’accondiscendenza di costui a far passare i provvedimenti che a quel partito stavano a cuore. Un sinallagma che rischierebbe di venir meno qualora il “terzo incomodo”, il Quirinale, stanco delle scorribande populiste e opportuniste della cricca berlusconiana, si mettesse di traverso e ostacolasse certi iter in atto o, peggio, ricorresse all’atto ultimo di sciogliere il parlamento.
E allora Bossi, in cui la stoffa dell’animale politico è ancora in grado di avere il sopravvento nei momenti topici, prova a smarcarsi, prendendo le distanze dal suo socio Berlusconi nella crociata contro i magistrati sgraditi o facendo addirittura suonare l’Inno di Mameli al suo comizio elettorale di Bologna, con ciò cercando recuperare con la demagogia politica sull’invettiva forsennata dall’esito dubbio.
Sullo sfondo troneggia la figura di Giorgio Napolitano, rimasto oramai l’unico baluardo a tutela di una Repubblica preda di continui attacchi talebani, a cui non resta che affidare la speranza che guidi la nazione fuori dall’incubo interminabile di un berlusconismo senza onore e dignità.

(nella foto, Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano)

venerdì, maggio 06, 2011

Tremonti e le gambe dei cani

Venerdì, 6 maggio 2011
Birichini. Non c’è modo diverso per definire gli ispettori del fisco che con troppa foga fanno le pulci a qualche contribuente in odore d’evasione. Gli stessi ispettori che da domani saranno puniti per il loro zelo e per la pervicacia con la quale insistono nelle loro indagini.
Lo ha detto Tremonti, quel Giulio noto per l’inflessibilità e per il rigore con i quali ha gestito sino ad oggi i conti del governo Berlusconi. Anzi, il novello Quintino Sella dell’economia italiana, ha fatto sapere di aver preso accordi con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, - che in quanto ad efficacia nel cavare sangue dalle rape ha persino oscurato la CIA di Obama, - che a breve sarà stilato un decalogo cui dovrà ispirarsi il comportamento del personale dell’Ente nell’esecuzione dei controlli e che implicherà sanzioni serie a carico dei dipendenti trasgressori.
Francamente confessiamo di non nutrire alcuna simpatia per l’Agenzia delle Entrate e per i metodi che utilizza da sempre per ingrassare le entrate fiscali. Tuttavia, è vero che spesso certi metodi lasciano percepire una sorta di accanimento terapeutico nei confronti del contribuente, ma da qui a concretizzare un intervento come quello in questione ne corre veramente.
In primo luogo l’iniziativa ci pare trascuri di prendere in considerazione il vero problema alla radice del complicato rapporto tra cittadino e fiscalità, eccessivamente basata sulla presunzione di una capacità contributiva dei singoli non sempre giustificata e supportata da una normativa che, definire demenziale, non rende del tutto giustizia al mostro giuridico tributario. C’è poi da rilevare che il complesso delle norme tributarie è stato costruito con una logica d’inversione della prova, che di per se stessa non può che ritenersi vessatoria e, dunque, costituire un palese abuso d’autorità dello stato sul cittadino.
Sino a quando il cittadino sarà ritenuto titolare di un reddito presunto del quale render conto all’ufficio tributario, dunque obbligato a dimostrare la propria innocenza, e non si passerà ad un sistema in cui competa allo stato dimostrare la fondatezza delle proprie pretese, non si potrà mai parlare di giustizia fiscale e non ci sarà mai alcun regolamento attendibile in grado di disincentivare i comportamenti che Tremonti interpreta come persecutori. Di fronte alla presunzione di colpevolezza ogni comportamento teso a certificarne la sussistenza non può che considerarsi “adeguato” e coerente, al di là di ciò che dichiara il ministro.
Ma ciò che preoccupa in questa ennesima vicenda, che denota semmai la propensione endemica alla comicità del governo incarica, è il significato e la ricaduta che avrà una tale iniziativa nella lotta all’evasione fiscale, che nel nostro Paese ha una consistenza rilevantissima. E’ più che prevedibile che saranno tanti coloro che grideranno all’accanimento inquisitorio, magari avvalendosi anche della protezione e dell’intervento di un qualche potentato, per scrollarsi di dosso fastidiosi quanto pericolosi controlli e verifiche del fisco e continuare così ad evadere allegramente.
Ed in questa più verosimile ipotesi non vorremmo che il ministro Tremonti, nel tentativo elettoralistico di ingraziarsi le imprese, abbia finito solo per fare un regalo alla schiera degli evasori occulti, che, - ripetiamo con forza, - sono tanti e il cui valore d’evasione è stimato aver raggiunto la cifra di 150 miliardi circa.
Ciò non significa non bisognasse intervenire sulla materia, peraltro con colpevole ritardo. Ma sull’argomento non è lecito pensare d’intervenire con la consueta demagogia e con i colpi di teatro ad effetto. A nostro avviso è tutta l’impalcatura fiscale che necessiterebbe d’una profonda riforma, a cominciare dall’obbligo esteso a tutti i comparti di emissione di un documento fiscale per qualunque servizio reso a terzi e con riconosciuto diritto al fruitore di quel servizio di detrarre dal proprio imponibile una quota significativa dell’onere sostenuto. Fino a quando non verrà concepito un sistema fiscale che incentivi la pretesa della fattura, sarà parimenti inefficace l’obbligo di rilascio di tale documento, dato che per il fruitore significherà solo aumentare il suo esborso del 20% senza alcun vantaggio tangibile.
Allo stesso tempo gli uffici tributari sanno assolutamente bene quali siano le categorie a maggior rischio d’evasione e non occorre certo una complicata architettura di controllo per stanare gli evasori incalliti o reprimere gli abusi cui giornalmente qualunque cittadino assiste o soggiace alla luce del sole. Certo, è chiaro che sino a quando per dimostrare la grande efficienza dei sistemi di repressione e controllo si andrà a perseguire con multe milionarie quanto ridicole i bambini che hanno acquistato un gelato o le caramelle senza essersi fatti rilasciare uno scontrino fiscale, allora non si potrà parlare di fisco credile ed equo, ma piuttosto di vero e proprio impianto criminale organizzato per perseguitare il cittadino, di meccanismo messo in piedi con l'obiettivo di offrire una distorta visione della propria efficienza grazie al rigore che impone sui più deboli.
Ma forse reclamare riforme fiscali in questa direzione significa non aver capito in che razza di Paese siamo condannati a vivere, Paese in cui la richiesta di giustizia sembra equivalere all’insensata pretesa di raddrizzare le gambe ai cani.

(nella foto, Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate)

mercoledì, maggio 04, 2011

Il fratellino di Sallusti

Mercoledì, 4 maggio 2011
C’è ancora chi è convinto in questi scorci di mini campagna elettorale per le amministrative che il vittimismo, vero cavallo di battaglia delle truppe pidielline, paghi e sia in grado di ribaltare il sentimento di rifiuto da che tempo serpeggia tra gli elettori di Berlusconi e della sua coalizione.
La tecnica è sempre quella: ribaltare l’evidenza ed attribuire agli avversari una volontà persecutoria, fatta di denigrazione e d’insulti che nulla ha di politico, ma che tende a screditare i vertici del PdL, con l’evidente obiettivo di battere il governo in carica con il vituperio e non con argomentazioni politiche in grado di rappresentarsi come un’alternativa.
Alle demenziali argomentazioni di Alessandro Sallusti e del suo il Giornale, - vero alfiere di una disinformazione sistematica quotidiana, - si associa questa settimana Giorgio Mulè, direttore di Panorama, settimanale Mondadori controllato dalla famiglia del premier e da tempo portavoce di una linea editoriale tesa a fiancheggiare l’azione della maggioranza di governo.
«In campagna elettorale è normale che i toni si alzino, che parole ed espressioni a effetto a volte prendano il sopravvento su ragionamenti altrimenti troppo arzigogolati e difficili quindi da trasmettere ai cittadini che spesso speso si rivelano più attenti agli slogan che ad approfondite analisi», scrive Giorgio Mulè sul numero 18 del settimanale. Ed usa queste argomentazioni non per esordire in un’autocritica sullo stile che da sempre contraddistingue le sortite del suo padrone Berlusconi, quanto per introdurre una serie di considerazioni sorprendenti sul modo con il quale gli avversari politici del Cavaliere, a suo giudizio, avrebbero impostato il metodo di confronto con l’asse Lega-PdL. Infatti, secondo Mulè, «Nel centrodestra questo atteggiamento è da addebitare soprattutto a un sentimento di frustrazione, a un continuo stillicidio di aggressione proveniente dal centrosinistra e soprattutto dai giornalisti militanti…… Nel marcare la differenza da quel fronte, Silvio Berlusconi ha spesso rivendicato alla propria parte politica il modo, certamente più tollerante e rispettoso, di considerare gli avversari. Tanto è vero che nessun “agguato” è stato mai organizzato durante i comizi della parte avversa, nessuna ingiuria (tranne che anche la definizione di comunisti non si debba annoverare tra queste) è stata mai lanciata all’indirizzo di chi si contrappone, nessuna offesa gratuita e men che mai si è fatto ricorso al dileggio personale».
Basterebbero già queste considerazioni per sollecitare il lettore di Panorama a chiudere il settimanale e ad archiviarlo lì dove si merita, nel cestino della carta straccia, poiché non è assolutamente ammissibile che, almeno per onestà intellettuale, si possa stravolgere la verità sino al punto da scrivere palesi menzogne. Né si può ammettere che siano sfuggiti al valente direttore Mulè le offese gratuite e sanguigne sputate addosso senza alcun ritegno da Silvio Berlusconi e dai suoi Bravi alla volta di Di Pietro, Bindi, magistrati vari e dissidenti, non ultimo quel Gianfranco Fini che ha osato attraversargli la strada. Salvo che dare sostanzialmente della racchia a Rosi Bindi, dell’analfabeta a Di Pietro o tacciare di perversione congenita gli omosessuali, per il signor Mulè non siano che affettuose espressioni di bonaria presa in giro e non piuttosto ignobili apostrofazioni di disprezzo. Sarebbe poi il caso di sentire Boffo, l’ex direttore di Avvenire, a proposito degli "innocenti" dossier costruiti dagli amici del perseguitato di Arcore per demolirne la credibilità e costringerlo alle dimissioni da un pulpito divento ormai scomodo per il senza macchia Silvio Berlusconi.
Rimane poi, ultima in ordine di tempo, la scandalosa campagna milanese contro i magistrati, a forza di infami tazebao che hanno assimilato la magistratura alle BR, - di cui, invece, per tanto tempo è rimasta vittima, pagando tributi di sangue non indifferenti.
«La formula più ricorrente è l’etichetta di servi o schiavi, di cani prezzolati per difendere il padrone, di vermi viscidi che strisciano ai piedi del capo….. E’ un metodo nazista, che insiste pervicacemente nella negazione della identità di una persona al solo scopo di annullarla. Questo martellamento indegno è oramai una prassi quotidiana sui giornali, nelle trasmissioni televisive, in Parlamento», si lamenta Mulè. E su questo forse è possibile riconoscergli un minimo di ragione, visto che se servi o schiavi sono qualifiche incontestabili per i gregari del gran capo, paragonare questa corte dei miracoli di venditori ambulanti di menzogne a soggetti faunistici, che una loro indiscussa utilità possiedono, è probabile significhi togliere valore a qualche elemento cui il buon Dio un compito utile comunque ha assegnato nell’equilibrio dei fattori naturali.
Il signor Mulè, che per difendere il suo dispensatore di croccantini usa argomenti più edulcorati del suo collega Sallusti, ma non per questo meno menzogneri e pericolosi, per rendere il lamento più credibile forse non avrebbe dovuto omettere di tenere nella giusta considerazione che Noemi Letizia, D’Addario, Ruby, Minetti e le tante galline del pollaio bunga bunga, nonché gli innumerevoli processi nei quali è coinvolto il suo idolo o i numerosissimi tentativi di stravolgere leggi ordinarie e costituzione pur di farla franca, non sono il frutto del malanimo degli avversari o di una magistratura con il vezzo della persecuzione, che s’inventa reati e prove di reato, ma sono il fardello criminale che si trascina dietro Silvio Berlusconi per fatti commessi anche prima di esordire in politica e che, anzi, rappresentano probabilmente la ragione vera per la quale s’è deciso d’investire in politica. Ecco, prima di prender penna ed ammannire un sermone ai gonzi, avrebbe dovuto avere il buon gusto di collocare le vicende che riguardano quelle persone nella giusta dimensione, magari dando qualche spiegazione di comodo, in qualche maniera credibile, che sgombrasse l'armadio dagli scheletri.
Senza dimenticare in ogni caso che quelli che gli si rammentano sono fatti dei quali il signor Mulè, se solo avesse la ventura di vedervisi coinvolto, sarebbe chiamato a rispondere senza “se” e senza “ma”, in quanto comune cittadino soggetto ai rigori della legge. Sostenere che i reati di cui Berlusconi è accusato siano solo invenzioni giuridiche volte a disarcionarlo e del tutto falso e chi gli regge il bordone in questa tragica e fantasiosa tesi è solo uno squallido complice, che non merita alcuna commiserazione per il dileggio cui è sottoposto dagli avversari a causa della sua palese malafede. Analoghe considerazioni valgono per chi fa prediche omettendo di commentare gli antefatti.
E in quanto a sentirsi «infinitamente superiori» grazie al «luccichio di libertà» cui ci si sente ispirati, - francamente ci pare più un abbaglio, - in contrapposizione al «tintinnio delle manette» che ispirerebbe i detrattori del suo capo, come il signor Mulè rammenta alla fine del suo melenso editoriale, concorrono i fatti e la loro certificazione storica, non le dichiarazioni emotive di chi comunque grufola nella greppia di villa S. Martino e, dunque, è di sospetta credibilità. Gli elettori non sono poi così idioti da farsi plagiare da lamentose argomentazioni di parte recitate da un fratellino di Sallusti.

(nella foto, Giorgio Mulè, direttore di Panorama)