martedì, novembre 30, 2010

Obama, il leader del Partito Comunista Americano

Martedì, 30 novembre 2010
«E’ un complotto!», un attacco senza precedenti ad un uomo probo e santo. Ma capire da chi sia sferrato non è cosa agevole.
Andando per tentativi, comunque, si può provare a indovinare. I comunisti sono sicuramente nella regia: quelli ci sono anche quando il buon Silvio soffre di stitichezza, quindi figurarsi Wikileaks, al soldo di Bersani e Vendola con ogni probabilità, visto la monnezza falsa e tendenziosa che ha pubblicato su internet. Il premier ne è certo, il signor Assange ha scopiazzato tutto come un alunno delle elementari dalla carta straccia che quotidianamente circola in edicola e che lo diffama. Anche “l’addetta di quarta categoria” che ha stilato i rapporti riservati pubblicati da Wikileaks non dev’essere una secchiona, ma una dedita a scopiazzare da certa stampa sovversiva. L’interessata, intervistata mentre faceva le pulizie dei locali dell’ambasciata, suo lavoro abituale, ha smentito imbarazzata di leggere o acquistare stampa sovversiva, quantunque abbia ricordato che in qualche occasione recatasi nella vicina rivendita di via Veneto, dirimpetto alla sede romana della delegazione diplomatica USA, le sia stato detto che Libero e il Giornale erano andati esauriti in quei giorni, a causa d’una epidemia di diarrea scoppiata nella zona. Ecco, in quel caso potrebbe aver sbirciato qualche giornale come Caballero, Le Ore, Prendimi, che non si può escludere parlassero del premier italiano. In ogni caso, lei è americana doc e non toccherebbe mai, manco con la scopa, un giornalaccio come la Repubblica, Corriere della Sera o, men che meno, Il fatto quotidiano.
Il mistero rimane fitto. Che sia stato Murdoch? Il patron di Sky, da sempre ostile al Silvio per ragioni inconfessabili, dopo tutti i favori che ha ricevuto. L’ultimo aumentargli l’IVA sugli abbonamenti, per evitargli guai con il fisco. Vatti a fidare delle persone cui fai del bene.
Resta il fatto che l’ingrato, Murdoch, s’è fatto venire in studio una zoccola di lusso, tale Nadia Macrì, e l’ha pagata profumatamente per farle dichiarare d’aver partecipato a festini a casa Berlusconi. Ma quale festini? Una bicchierata tra amici, dopo i consueti esercizi spirituali, scambiata per festino? Certo se qualcuno l’avesse messo in allerta, magari non avrebbe fatto organizzare il catering a quella società segnalatagli da Mubarak, della quale, gli era stato giurato, poteva fidarsi ciecamente, visto che ci lavorava persino la nipote, certa Ruby.
E Lele Mora? Non parliamo di quello. S’è spacciato per lungo tempo per un emissario della Santa Sede, uno che va in giro a reclutare ragazze con la voglia di far la missionaria, che con la crisi delle vocazioni è opera d’alto valore morale. Ma fidarsi non è mai sufficientemente saggio e lui, il presidente del consiglio, uomo navigato ed esposto alle invidie e ai tranelli degli avversari, quelle educande con la fede nel cuore e con il rosario al collo le ha sempre fatte intervistare prima dal fido Emilio Fede, - che con quel nome è ben strano non abbia fatto il cardinale invece che il frequentatore di circoli di poker. Comunque, sta D’Addario, sta Macrì, sta Ruby e sti residuati d’irriconoscenza umana pagheranno il fio delle loro colpe: se non ci riuscirà Niccolò Ghedini con un ben assestato morso sulla giugulare, ci penserà il buon Dio, suo papà, che tutto vede e a tutto provvede.
Ma l’infamia più grande è la storia di Putin, l’amico Vladimir, con il quale in più occasioni ha condiviso pellegrinaggi nei santuari più reconditi della Russia, dormendo in scomodissime dacie disperse nella tundra e nella neve, con una pelle d’orso sopra per sfuggire ai rigori del freddo. Tant’è che, memore di quelle tristi notti di penitenza al freddo e al gelo, ha sentito il dovere di dedicargli una stanza nella sua modesta villetta in Sardegna, con tanto di “lettone Putin” in ricordo di questa fratellanza e del riparo ospitale che Vladimir avrebbe potuto trovare in quella casa. Adesso si specula anche su affermazioni innocenti del tipo «aspettami nel lettone di Putin»? E’ una porcheria intollerabile. Quell’indizio serviva solo a far capire al personale di servizio, brasiliano, ucraino, bulgaro, comunque straniero e a corto di conoscenze della lingua italiana, dove doveva recarsi per preparargli il giaciglio per la notte, visto che la sua stanza da letto è limitrofa a quella dell’amico russo.
Gheddafi? Un gonzo, un pervertito con un debole per le Etiopi, le Somale e le Sudanesi, - mogli e buoi dei paesi tuoi!, - che ha cercato d’aiutare ad uscire dalla spirale del sesso ossessivo: forse Michael Douglas è stato abbandonato al suo destino quando ha confessato che la patonza era per lui come una droga? No. S’è cercato d’aiutarlo a disintossicarsi e con Gheddafi e stato lo stesso, proibendogli quelle di colore e facendolo passare alle biondine e alle rosse, che notoriamente hanno un altro gusto.
Infine, Bondi, quel pover’uomo sempre pronto a fargli da scendiletto, al punto d’avere ormai un tale olezzo di calzini sporchi quasi fastidioso. Questo fedelissimo servitore s’è infilato in una storia di redenzione, con una bulgara dal nome Dragomira Michelle Bonev, un tenero donnino con ambizioni per il varietà. Bene, le ha fatto avere un premiuccio, ingannando persino il perfido Tremonti; ha fatto acquistare dal samaritano Masi un cortometraggio per la RAI, dal titolo straziante Goodbye Mama, che la brava donna aveva confezionato in patria ricevendo pernacchie e coloriti “vaffan…”. Anche quest’opera caritatevole finisce ora per passare per indizio di perversione. Non c’è più mondo.
E chi non sarebbe in grado di comprendere l’avvilito stato d’animo di Silvio Berlusconi? Un uomo che da mane a sera prodiga a piene mani beneficenza agli afflitti e conforto alla gioventù diseredata. Persino la sua discesa in campo è stata motivata da quell’altissimo senso del dovere e dall’amore universale che nutre per il suo Pase e nessun ci vuol credere. E’ il martirio di Cristo che si rinnova.
Ma una cosa è emersa da questa disdicevole vicenda. Anche l’America finalmente ha mostrato il suo volto vero: è comunista a dispetto di ciò che si credeva, ed Obama, questo insospettabile principe nero fuori ma rosso dentro, - niente a che vedere con il Milan, - pare stia cambiando finalmente il nome al suo partito, da Partito Democratico in Partito Comunista Americano, per rimuovere ogni dubbio.

(nella foto, Dragomira Michelle Borov, la regista bulgara che ha commosso il ministro Bondi)

lunedì, novembre 29, 2010

La diplomazia dell’ipocrisia

Lunedì, 29 novembre 2010
Ne avevamo la convinzione, ma adesso è arrivata la conferma definitiva. Wikileaks, al secolo Julian Paul Assange, giornalista australiano con l’hobby della programmazione e di internet, ha rimosso ogni dubbio, anche ai più scettici, sulla natura poco nobile delle relazioni che governano il mondo.
Un mondo che non è affatto limpido, cristallino e onesto, ma che è governato dall’ipocrisia bieca e dall’inganno, dove le strette di mano, i baci e gli abbracci nascondono sistematicamente il disprezzo reciproco tra esseri umani, che del simulato rispetto e ammirazione fanno un arma per estorcere consenso, collaborazione e metodo di coltivazione del proprio tornaconto.
Ce n’è per tutti, da Dmitri Medvedev, il presidente della Confederazione Russa, che è Robin nel rapporto con Putin-Batman a Kim Jong-il, un ragazzo invecchiato e flaccido, anche per effetto dell'ictus che lo avrebbe colpito. Da Nicolas Sarkozy, autoritario e permaloso, prontissimo a bacchettare i membri del suo staff e il suo primo ministro Francois Fillon, ad Angela Merkel, tentennante e indecisa.
Sono alcuni dei giudizi dei diplomatici americani sui principali leader mondiali, come risultano da una prima lettura delle carte riservate diffuse da Wikileaks e pubblicate sul sito del quotidiano britannico The Guardian, tra i quali non potevano certo mancare il colonnello libico Gheddafi, un paranoico imbottito di botox (botulino contro le rughe) dedito al sesso maniacale con la sua infermiera ucraina, e Silvio Berlusconi, portavoce di Vladimir Putin, inaffidabile e vanitoso, inefficace per effetto della dissoluzione nella quale si dibatte a causa dei festini cui sistematicamente partecipa.
E questa inaffidabilità, che in qualche passaggio rasenta quasi la macchinazione, è considerata tale da costringere il segretario di stato Hillary Clinton a commissionare alla rete di spionaggio americana accertamenti approfonditi sugli affari eventuali tra il premier italiano e il capo del governo russo, sospettati di tresche tese a danneggiare gli interessi economici delle aziende statunitensi. Gli accordi ENI con Gazprom, piuttosto che le intese tra Finmeccanica e governo russo, sono stati passati al setaccio, con lo scopo di individuare tracce di malaffare da poter utilizzare per screditare gli accordi stessi e i loro registi.
In buona sostanza Wikileaks ci ha offerto uno spaccato vero e incontrovertibile di ciò che è la natura dei rapporti nella cosiddetta diplomazia. Un concentrato della diffidenza e del disprezzo mascherato da ipocrita formalismo, da un perbenismo di facciata, funzionale alla tecnica di manipolazione del consenso.
In questo, bisogna riconoscerlo, è indubbiamente più genuino Berlusconi, un uomo pieno di vizi e dalle virtù inesistenti, che ha il coraggio di fare le corna nelle foto ufficiali o di insidiare le colleghe straniere senza infingimenti. Ma è proprio questo stare fuori dal coro che lo rende inviso, questa modalità dissacrante di palesare le proprie debolezze senza un freno e il senso della dignità, non di se stesso, - che sarebbe suo personale problema, - ma il popolo italiano al cospetto del mondo.
La D’Addario, Ruby, la Macrì, la bulgara Bonev costata alle tasche degli italiani ben 400 mila euro, sarebbero solo fatti di vita privata se non ricadessero nella cornice descrittiva di un uomo pubblico che usa il potere ad esclusivo appagamento delle proprie pulsioni, sia di potere che sessuali. E qui non è in discussione ciò che rientra nei suoi inalienabili diritti personali di accompagnarsi a chi meglio crede. La storia dei padroni è seminata d’episodi di profittazione e abuso. Ne sono testimonianza le tante storie di operaie in fabbrica nel secolo scorso o delle mondine, o le avventure piccanti di tante donne impiegate come domestiche in famiglia o segretarie negli uffici.
Ciò che è comunque filo conduttore di queste vicende è lo stato d’abuso del potere che viene perpetrato dalla parte più forte, dal padrone, che ha molto spesso utilizzato lo stato di necessità per ottenere prestazioni aliene da ogni rapporto contrattuale e di subordinazione. Ma in questa prospettiva, l’abuso è rimasto e rimane un fatto privato, nulla a che vedere con l’immagine di una nazione che non può certo veder ridotti i propri cittadini ad un branco di satiri dissoluti a casusa delle irrefrenabili brame del suo capo di governo.
Qualcuno, ampollosamente e con il chiaro intento di drammatizzare, ha parlato delle carte di Wikileaks come di un 11 settembre della diplomazia. La similitudine francamente sembra assai impropria, poiché quella data ha rappresentato per l’umanità un tragico mutamento della propria esistenza, che ha seminato solo morte e distruzione, soprattutto lo stravolgimento delle regole di convivenza, evento dal quale non è che nata disperazione e sospetto. In questo caso è diverso. L’abbattimento di un muro d’omertosa riservatezza sulle ipocrisie che hanno governato il mondo non può che essere foriero di una rigenerazione, di una rivalutazione di sentimenti come il rispetto e la censura, che dovrebbero essere gli unici valori veri per accettare o tenere ai margini uomini indegni di se stessi, prim'ancora che di quel popolo che s’arrogano il diritto di rappresentare.

domenica, novembre 28, 2010

La morale del Caimano

Domenica, 28 novembre 2010
Parlare di vergogna a certi personaggi è come parlare di castità alle escort così di moda di questi tempi.
Il presidente del consiglio non sa neanche cosa sia la vergogna: Mangano è stato un eroe, Cosentino un uomo specchiato, Verdini un galantuomo. E che nessuno gli chieda di Dell’Utri, il noto senatore bibliografo, nonché amico e consigliere personale, ispiratore di tante avventure intraprese da Berlusconi, che c'è da star certi non esiterebbe a definirle un fedele onest’uomo e un grande interprete della cultura contemporanea.
Nel mazzo degli uomini cristallini, - ma sicuramente in questo caso sarebbe più appropriato parlare anche di donne, - ci sono anche Pierfrancesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, e la di lui consorte Marina Grossi, e amministratore delegato di Selex Sistemi Integrati, società della galassia della finanziaria pubblica. La questione è che entrambi sono indagati per una presunta attività di riciclaggio, che ruota attorno all'acquisizione della società Digint da parte dell'imprenditore Gennaro Mokbel, - ancora non assurto agli onori dell'altare, ma poco ci manca, - indagine che nelle ultime ore s’è allargata a macchia d’olio e che vede adesso coinvolti anche i vertici dell’ENAV, l’ente per l’aviazione civile, per una storia di appalti sospetti, affidati senza gara pubblica, e sovrafatturazioni per la creazioni di fondi neri.
«Mi auguro» - ha detto il premier - «che queste indagini portino a nulla come sono convinto che sia. Sarebbe suicida che un Paese proceda contro chi costituisce elemento della propria forza.......Finmeccanica ha recentemente siglato un accordo commerciale con la Confederazione Russa del valore di oltre un miliardo di euro....», che ha già sentito l’irrefrenabile necessità di far saper agli Italiani che lui e il suo governo hanno già assolto gli eventuali manigoldi che l’indagine dovesse svelare.
Ma è qua che si conferma il senso squallido della morale che anima il sedicente grande statista Silvio Berlusconi, il Caimano dai denti aguzzi e seghettati che non sa cosa sia lo scrupolo. La tesi è straordinariamente intuitiva, un sillogismo perfetto adatto per tutte le situazioni. Guarguaglini e soci gestiscono i vertici di importantissime società pubbliche d’interesse notevole per l’economia italiana e, pertanto, è assurdo che quattro magistrati, - non l’ha detto, ma certamente lo pensa, - comunisti procedano «contro chi costituisce la forza del Paese». E’ superfluo sottolineare che il ruolo di amministratore di una società vitale per l’economia dovrebbe garantire a qualsiasi delinquente la più assoluta impunità, la licenza di ladrare, di corrompere, d'arricchirsi indebitamente e qualunque altra ribalderia gli venga in mente.
La tesi, ancorché inammissibile sul piano della decenza, - visto che chi gestisce cosa pubblica dovrebbe avere il dovere supplementare di dare buona prova di onestà e trasparenza nell’utilizzo del denaro dei contribuenti, - è semplicemente scandalosa sul piano della logica, che, se applicata in modo generale, implicherebbe un’immediata presentazione di scuse ai tanti Barabba che hanno infestato l’esistenza e il vivere civile del Paese. Dai Gava ai Poggiolini, dai Consorte ai Gardini e così via.
Ma è qui che, se non si fosse ancora colto, scatta il sillogismo perverso. Il presidente del consiglio è da molto tempo nel mirino della magistratura per le innumerevoli operazioni poco limpide compiute per il tramite delle aziende che possiede, aziende che, - senza volerci soffermare sulle ragioni e le note vicissitudini, - sono divenute veri e propri pilastri del nostro sistema economico per redditività e i posti di lavoro che hanno messo in gioco. In questa prospettiva l’assoluzione incondizionata e preventiva dei personaggi oggetto dell’inchiesta Finmeccanica costituisce l’automatico movente per analoga assoluzione senza processo (inutile e superfluo) al Berlusconi imprenditore, che se ha commesso reati l’avrebbe fatto esclusivamente per il bene del Paese.
Francamente questo modo di pensare, peraltro dalle sortite di fiancheggiamento, condiviso anche da quella testa fine di Paolo Romani, neo-ministro dello Sviluppo Economico, ci pare semplicemente scandaloso se non addirittura figlio d’una concezione d’osteria del diritto e della legge, concezione che rendono sempre più evidente la pericolosità di questi personaggi in cariche istituzionali dall’alto delle quali potrebbero farsi tentare di qualunque corbelleria pur d’imporre il loro perverso punto di vista.
Quella di Berlusconi e del suo clan è una morale inaccettabile, è la morale in base alla quale anche Riina e Provenzano avrebbero diritto all’assoluzione, in quanto vertici di un’organizzazione che fattura miglia di miliardi e dà lavoro a schiere di “onesti operatori del crimine” che non avrebbero altrimenti opportunità d’occupazione alternativa. Un’organizzazione che con il riciclaggio in appalti pubblici, costruzioni, finanza e attività bancarie, s’innesta nello zoccolo duro dell’economia del Paese e contribuisce in qualche misura a migliorare la performance del PIL.
L’altro giorno, nel corso di un’intervista, l’ex governatore della Regione veneta, Giancarlo Galan, oggi ministro del governo Berlusconi, ha avuto l’ardire d’affermare che questo governo è stato il migliore della storia d’Italia (sic!), almeno sino a una certa data, s'è corretto mandando la palla in corner. Davanti a queste affermazioni di macabra comicità non ci si deve scandalizzare, non va infatti trascurato che Galan è veneto, regione nella quale “l’ombreta de vin bianco” è un ricorrente complemento nella vita quotidiana, come il caffè per tanti altri Italiani.

(nella foto, il ministro Giancarlo Galan, che non avrà disdegnato un buon bicchiere insieme con il cibo)

giovedì, novembre 25, 2010

Clima da Ballarò o da Kalsa?

Giovedì’, 25 novembre 2010
Pubblichiamo la lettera di un lettore indirizzata al presidente del consiglio, nella quale, prendendo spunto dall’intervento di Berlusconi alla nota trasmissione Ballarò di Giovanni Floris, si esprime un parere generale sull’immagine del premier e sull’operato del suo governo. La lettera contiene valutazioni condivisibili, sebbene chi scrive non si annoveri tra i sostenitori elettorali del PdL e, per questa ragione, sarebbe stato grato anche al suo estensore se già dal 2008, anno del reinsediamento dell’attuale governo, gli fosse stata risparmiata un’esperienza fallimentare della politica e della gestione del Paese, da ritenersi più che scontata alla luce di quanto era già accaduto nel 1994 con il primo esecutivo Berlusconi.

Egregio Presidente,
ieri sera ho assistito alla sua telefonata nel corso della trasmissione Ballarò di Giovanni Floris e, le confesso, sono rimasto basito dal tono del suo blitz, oltre che da un comportamento che, definire di esemplare cafonaggine, non credo renda sufficiente idea.
Contrariamente a ciò che lei pensa, non sono di sinistra, ma un elettore della sua area politica, che al tempo le ha dato fiducia convinto che nella sua prima esperienza di governo non l’avessero messa in condizione di governare quest’Italia, piccola ma assai complessa, e dunque avesse il diritto e la capacità di dimostrare la bontà del suo programma per trascinarci dignitosamente fuori da una crisi che ci ha messo nell’angolo.
La sua sortita di ieri, purtroppo, non è una novità, in quanto non è la prima volta che si preoccupa d’imbracciare il telefono, - mi consenta, ma non uso il verbo a caso, - per intervenire nel corso di trasmissioni televisive e, dichiarando di voler chiarire il suo punto di vista, finisce invece per sferrare aggressioni senza precedenti ai danni dei conduttori che considera nemici o manipolatori del suo pensiero, peraltro ad ogni tentativo di condurre il suo intervento in un alveo di civile confronto, con una veemenza che finisce non solo per offendere chi l’ascolta, ma tutti i cittadini abbonati, che non meritano d’assistere ad un’incomprensibile gazzarra che finisce per non chiarire assolutamente nulla.
Ha fatto assolutamente bene a rammentare al conduttore di turno che la televisione non è una sua proprietà privata, ma appartiene ai cittadini che pagano il canone. Ma non è condivisibile e giustificato che il primo a stracciare questo sacrosanto appello sia lei, che irrompe arrogandosi il diritto di dire la sua, tra l’altro nascondendosi dietro ad una cornetta telefonica anziché presenziare di persona, e negando al malcapitato di turno di precisare o motivare il senso delle affermazioni che l’hanno turbata. Questi blitz nulla hanno di par condicio, ma si somigliano più propriamente ad abusi d'autorità.
D’altra parte, quando come ieri si stava dibattendo sulla mancata realizzazione di impegni che lei s’era assunto in merito alla drammatica situazione dei rifiuti in Campania, non v’è alcun giustificato motivo per strillare o tacciare di sinistrismo preconcetto chi si sta solo limitando a prendere atto di ciò che mostrano tutti i servizi televisivi, anche delle sue televisioni. Che poi le sue promesse di far piazza pulita entro dieci giorni siano state travisate, come pare accada troppo spesso, non credo possa farsi colpa né a Floris né ai commissari comunitari che, dopo un sopralluogo, hanno dichiarato che a Napoli la situazione rifiuti è del tutto analoga a quella rilevata due anni or sono, se non peggiorata, visto che il tempo è passato e nulla o poco s’è fatto. Resta il fatto che la sua promessa di risolvere la questione entro dieci giorni è stata capita così da tutti gli Italiani che l’hanno sentita o hanno letto i giornali, i suoi compresi, pertanto il suo intervento teso a smentire non si sa bene cosa credo abbia solo nuociuto alla sua immagine, che è apparsa quella di un uomo divorato da faziosità arrogante e disperata.
Mi permetto di dirle, - e con questo facendomi anche portavoce di amici e conoscenti con i quali spesso dibattiamo di politica, - che il presidente che vorremmo non è certo un uomo che fa parlare di sé per gli eccessi della vita privata, che ha il diritto di gestirsi come le pare, ma che non può protestare per le censure che gli vengono mosse, né, tantomeno, per la sufficienza con la quale assume impegni che non è, nei fatti, in grado di onorare. Questo è un Paese nel quale 50 anni di DC e di governicchi vari hanno tirato avanti con gli specchietti per le allodole, ma è anche il Paese che non è più disposto a subire l’imposizione di sacrifici che non conducano ad una situazione di maggiore benessere per tutti e ad una normalizzazione delle condizioni di vita.
Oggi il presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, ha detto che la fase del “one man show” è finita e bisogna passare a quella nuova della gestione corale, di squadra. Non so se nel fare quest’affermazione Montezemolo si riferisse al suo governo, Presidente, ma è certo che la concezione di democrazia che hanno i cittadini è diversa dalla logica della caserma, con tanto di gerarchie militari che si arrogano il dritto di imporre la propria opinione o d’impartire ordini e comandi, che sembra presente nel PdL e di cui lei viene ritenuto più il scaposcuola, non è più condivisibile, così come non è più tollerabile l’evidente pochezza d’idee con la quale i suoi ministri affrontano le questioni della vita pubblica, dalle spinose alle banali. E a questo proposito, per fare un esempio su fatti recentissimi, dica al suo nuovo ministro Romani che di scemenze gli Italiani ne hanno sentite già troppe e, pertanto, avrebbe potuto risparmiarci l’ultima stupidità come l’obbligo di corrispondere il canone RAI sul semplice presupposto di usufruire di un contratto di fornitura d’energia elettrica. A quando l’obbligo di corrispondere una tassa di proprietà sull’auto, che magari non si possiede, sulla base del possesso di un garage possibilmente adibito a cantina?
Queste iniziative, caro Presidente, probabilmente per lei del tutto banali, ma per tanti spia di un’assoluta pochezza d’idee e di crescente confusione mentale del suo governo, le tolgono credibilità e rischiano di divenire macigni sotto i quali seppellire definitivamente la sua sfortunata esperienza.
Con la speranzosa certezza che vorrà tenere conto di quest’opinione d’un cittadino suo elettore, le rinnovo la stima più profonda.

m.p.

martedì, novembre 23, 2010

Lega pride

Martedì, 23 novembre 2010
Se si fosse ingenui resterebbe insoluto il quesito su ciò che ha voluto dimostrare Roberto Maroni con la sua presenza a Vieni vi con me, la trasmissione RAI nel corso della quale Roberto Saviano aveva svelato al grande pubblico che anche l’Antimafia da tempo aveva puntato il dito contro parecchie amministrazioni leghiste del Nord, indicandole come certamente colluse con le cosche affaristiche criminali, quelle che riciclano il danaro sporco in attività imprenditoriali redditizie.
Dopo minacce ridicole di querela e appelli al diritto al contraddittorio, alla fine, il ministro è stato accontentato e dal palco della trasmissione ha avuto la possibilità di esibirsi in un monologo di autodifesa, che nulla ha tolto alle verità denunciate da Saviano. Così, più che una "lista" di valori da difendere nella lotta contro le mafie, il suo è stato un mini-comizio, nel quale ha elencato tutto ciò che ha fatto il governo e il suo ministero contro la malavita organizzata, i successi nell’arresto di latitanti di primo piano, che hanno decapitato i vertici delle piovre.
Se avesse anche avuto l’umile accortezza di sottolineare che quei successi sono stati principalmente il frutto dell’impegno profuso dalle forze dell’ordine, forse avrebbe potuto conferire al suo intervento un significato più alto, ben al di là della melensa propaganda. Ma questa è cosa di statura del ministro, che naturalmente ha omesso di evidenziare come il suo partito in questa annosa guerra si sia schierato prontamente con il presidente del consiglio nel tentativo di far passare una legge contro le intercettazioni, strumento fondamentale d’indagine, fortunatamente finita su binario morto.
Nel finale è arrivato anche un riferimento diretto e polemico nei confronti di Saviano: «La 'ndrangheta interloquisce con la Lega? Affermazione falsa e offensiva per i tanti che come me contrastano da sempre ogni forma di illegalità, ed è soprattutto smentita dalle recenti operazioni fatte in Lombardia contro le organizzazioni criminali, che hanno portato al coinvolgimento e persino all'arresto di esponenti politici di altri partiti, ma non della Lega. Mi chiedo allora perché indicare proprio e solo la Lega?».
La domanda è retorica, ma non perché manchi una risposta. Il ministro finge di non capire che ciò che era stato oggetto di denuncia da parte di Saviano era la collusione tra malavita e potere e, a dispetto della falsa ingenuità di Maroni, il potere al Nord è diffusamente nelle mani della Lega, del suo partito, al quale non possono che addossarsi i conseguenti onori e oneri.
E a ben guardare Maroni deve esser grato a Saviano se ha limitato i suoi interventi per ragioni di copione e di obiettivi del programma alla sola questione delle infiltrazioni mafiose nel tessuto economico del nord Italia. Se l’analisi fosse stata più dettagliata e realmente si fosse voluto fare un programma che avesse come bersaglio le storture determinate con l’avvento del potere della Lega, la lista avrebbe potuto essere ben più corposa, così come la probabile polemica.
Il razzismo ostentato e crudele, lo sfruttamento delle condizioni degli immigrati, il vilipendio del senso dello stato e delle istituzioni, le buffonate provocatorie in difesa dei diritti della gente del nord, giusto per citarne alcuni, sono aspetti che dicono tanto sulle radici democratiche di questo partito, gestito come un’organizzazione di egoismi sfrenati da quattro sepolcri imbiancati, che hanno usato molto spesso gli stessi metodi considerati esecrandi per gli altri, per radicarsi sul territorio, pronti a sputare velenosamente nel piatto in cui hanno mangiato e continuano a gozzovigliare saporitamene.
Se così non fosse il capostipite del partito, Umberto Bossi, quel raro esempio di signorilità sempre pronto ad esibire il medio, unica cosa rimastagli dura, dovrebbe spiegare a furor di popolo i meriti politici per i quali suo figlio siede nel consiglio regionale della Lombardia. Dovrebbe spiegare la Lega, che per ben due mandati ha governato il Veneto in combutta con Galan le ragioni per le quali Vicenza, Padova e dintorni sono finite sott’acqua, nonostante toccasse a quella coalizione di governo regionale disporre gli interventi per la salvaguardia del territorio. Dovrebbero spiegare i leghisti le ragioni per le quali i rifiuti del Nord, quelli tossici, sono andati a Napoli e il loro smaltimento non è stato invece imposto a coloro nelle cui aree geografiche erano stati prodotti. E sono solo esempi di questioni alle quali sarebbe doveroso fornire chiarimenti.
Ma si sa, questi sono argomenti troppo impegnativi e fornire risposte a questi quesiti rischierebbe di mettere a nudo l’inconsistenza di un movimento che ha creato le sue fortune sulla bieca ignoranza di una melma egoistica, ubriaca di autocelebrazione e accecata dal miraggio di vuoti concetti di federalismo autonomista, ma incapace di sopravvivere senza le braccia della laboriosa gente del Sud e della disperazione dell’immigrazione.
Ha ragione Corrado Guzzanti quando con una battuta esilarante informa: «Il governo dei fatti..... catturato il pusher!»

(nella foto, Corrado Guzzanti)

sabato, novembre 20, 2010

Malaffare e potere

Sabato, 20 novembre 2010
«Sono portatore sano di cancro giudiziario», così s’è espresso il senatore Marcello Dell’Utri alla notizia del deposito delle motivazioni della sentenza con la quale è stato condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
La litania è la solita. Abbiamo imparato in questi anni che tutti gli inquisiti, anche se condannati, sono assolutamente innocenti e la loro colpevolezza è frutto delle teorizzazioni assassine di una magistratura accanita e malvagia con vocazione persecutoria, specialmente quando a cadere nelle sue grinfie sono politici militanti nell’area di centro destra.
Ma a leggere le 641 pagine della sentenza Dell’Utri emergono aspetti inquietanti, che confermano come lo stesso Silvio Berlusconi, al di là di ogni prova provata, sia stato non solo in contatto con la mafia, ma anche il beneficiario delle “mediazioni” condotte nel suo interesse da Dell’Utri.
Dell’Utri, l’amico di Bontade e di Cinà, il protettore dell’eroe Mangano, lo stalliere di Arcore morto in carcere dove soggiornava in seguito ad una condanna per una serie d’omicidi, di cui adesso il senatore dice di avere ignorato il passato. «È una favola che si è continuamente sviluppata fino ad arrivare a questa sentenza che per fortuna non è definitiva e io con tutta serenità mi aspetto che ci sia una sentenza finale diversa poi vedremo», ha commentato Dell’Utri in un'intervista rilasciata al Tg2 e rilanciata dal Tg1 a proposito dei presunti incontri negli uffici del Cavaliere, nel 1975, tra lui e alcuni boss mafiosi.
«È ormai accertato in sede giudiziaria che Berlusconi ha avuto rapporti con la mafia, non fosse altro perché ricattato dalla stessa mafia che lui ha comprato per stare bene», ha commentato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. «In una situazione di questo genere affidare il governo a un ricattato a me pare sia una cosa che non ha alcun senso», ha concluso.
Come ha detto ancora ieri il parlamentare tedesco Schultz, - quello che con esemplare eleganza verbale Silvio Berlusconi definì kapò nel corso di una sua movimentata audizione al parlamento europeo, - un presidente del consiglio come quello che c’è in Italia sarebbe già stato cacciato a furor di popolo da tempo in un altro Paese. Come dire, se non fosse che l’Italia non può che annoverarsi tra gli stati del terzo mondo, nei quali tutto è possibile agli arroganti di turno, un personaggio con le caratteristiche di Berlusconi non potrebbe mai sedersi alla guida di un governo in qualunque paese dell’Europa.
Un governo che nelle ultime ore sembra mostrare la corda oltre ogni limite, visto che anche Mara Carfagna, insignificante ministro delle Pari Opportunità, ha fatto sapere che intende lasciare l'esecutivo e, con ogni probabilità, anche il PdL a causa degli scontri che ha dovuto sostenere con la Mussolini e, evidentemente perdente, con gli affaristi e gli inquisiti che infestano come scarafaggi resistente ad ogni insetticida il governo di cui fa parte.
E poi Maroni finge d’offendersi quando Roberto Saviano parla riferendosi a documenti ufficiali dell’Antimafia di pericolosissime infiltrazioni della malavita organizzata anche nelle istituzioni locali del Nord. Il ministro degli Interni, invece di protestare come uno scolaretto che ha subito un torto dal compagno di banco, dovrebbe avere la dignità di ammettere, primariamente al popolo che si picca di rappresentare, che anche nel suo gregge risulta esserci qualche pecora nera e che anche nella Lega c’è qualche affarista o qualche poco di buono che usa il partito come copertura e passaporto per le sua malefatte. E che dire poi dell’alleanza difesa a spada tratta con un presidente del consiglio così compromesso in vicende così torbide?
Stesso discorso di Dell’Utri fa quello stinco di santo di Lombardo, erede di Cuffaro, lo sbafatore di cannoli, dalla presidenza della Regione siciliana. Il poveretto, anche lui raro se non unico esempio di «persecuzione mediatico-giudiziaria», come si è candidamente definito, dichiara di non aver mai preso né voti né soldi dalla mafia, quantunque giochino a suo sfavore le dichiarazioni di pentiti di spicco e di boss di primo piano. Chissà se gli inquirenti gli avranno chiesto a che pro la sua città natale, Catania, al tempo della sua elezione era tappezzata di santini con la sua immagine affissi in ogni negozio del centro e della periferia: solo un idiota non comprenderebbe che dietro questa ostentazione di fede c’era con probabilità il racket del pizzo e delle estorsioni, sceso in campo per sostenerlo. E non risulta che la malavita si spenda senza un tornaconto.
Fa comunque, specie, per non parlare di brividi veri e propri, l’atteggiamento del PD isolano, sconfitto da Lombardo, sceso in campo per sostenerlo dopo la rottura del politico inquisito con il PdL di Gianfranco Micciché. Parimenti molto da eccepire sul comportamento di Casini e soci, sempre pronti a far la predica ipocrita, ma balzati sul carro di Lombardo alla prima occasione. Si sarà cinicamente valutato che l’eredità Cuffaro non andava dispersa, come da insegnamento del grande Andreotti, caposcuola di quella DC disposta a tutto pur di occupare il potere: in certi casi turarsi il naso pur d’agguantare una poltrona.
L’Italia è sempre stata un paese di opportunismi e trasformismi gattopardiani, una terra di farabutti e affaristi senza scrupoli in collusione con la politica al punto da avere istituzionalizzato la propria diretta presenza in parlamento e nei gangli vitali della vita pubblica, ma mai come negli anni del berlusconismo s’è messo in evidenza come la delinquenzialità, la corruzione diffusa, il malaffare sfrontato siano divenuti fattori premianti e di successo.

(nella foto, il ministro Mara Carfagna)

venerdì, novembre 19, 2010

Quando la propaganda distrugge la convivenza

Venerdì, 19 novembre 2010
La vita è un film, hanno scritto in vario modo parecchi autori. Ma chi s’illudesse che ciascuno sia in grado di potersi scegliere una parte sarebbe in grosso errore, poiché i ruoli non sono consapevolmente selezionati, ma dipendono dagli eventi in cui si è coinvolti e dalle caratteristiche individuali che sollecitano una risposta agli stimoli esterni. A questo va sommata la volontà del potere dominante di condizionare in larga misura il contesto di vita, lo scenario sociale di riferimento, nel quale riversa messaggi e valori ritenuti veri e condivisibili e interpretati come modelli attendibili di riferimento.
Questo presupposto, che probabilmente richiederebbe un più lungo e articolato approfondimento, è ciò che costituisce l’essenza dell’ideologia della politica: la dichiarazione più o meno palese di un modello di socialità nel quale le caratteristiche individuali consentono di riconoscersi, con tutto ciò che da questo deriva.
Per rendersi maggiormente conto dell’importanza di questi assunti basterà osservare le contrapposizioni ideologiche alla base delle ideologie dominanti la fine del novecento e l’inizio del secolo in corso. Da una parte una visione del sociale fatto di cooperativismo, di sostanziale equilibrio nella distribuzione della ricchezza tra categorie, stabilità dell’occupazione e conseguente sicurezza nelle programmazione del futuro personale, equità della legge e certezza del diritto, sicurezza personale, eguaglianza delle opportunità e di accesso a servizi qualitativamente adeguati, giustizia fiscale ed amministrativa, riconoscimento del merito come elemento di emersione sociale, onestà e dedizione dell’esercizio della politica.
Questi sintetici presupposti sono il fondamento di una visione sociale improntata al cosiddetto liberismo progressista, nel quale ciascuno è in grado di interpretare un ruolo di promozione e affermazione di se stesso nell’ambito di regole di convivenza definite e tutelate da un sistema politico forte e credibile.
A questo sistema si contrappone l’ideologia che nell’ultimo decennio sembra essere attecchita con particolare vigore: quella della destrutturazione dei valori di convivenza e di un falso liberismo fatto di fatui modelli estetici sostanzialmente privi di contenuto etico. Quest’ideologia è quella improntata al Grande Fratello, alla Fattoria, all’Isola dei Famosi, nella quale i valori dominanti sono l’individualismo, la spaccature delle regole, la supremazia di un certo apparire sull’essere, la condanna al ghetto di quanti non riassumano i parametri estetici della propaganda, la precarietà spacciata per flessibilità, la supremazia della corporalità sul contenuto culturale, l’evanescenza sul merito.
Questo new deal, costantemente pubblicizzato dalla televisione commerciale e promosso a modello di sistema sociale con l’avvento del berlusconismo, se da un lato ha positivamente consentito di scrollarsi di dosso i retaggi di una cultura clericale contrasegnata ad un eccessivo bigottismo dei costumi, ha nello stesso tempo determinato disastri difficilmente recuperabili sul piano dell’etica, poiché ha finito per inculcare la convinzione che il futuro appartenga ad un mondo immaginario fatto di un benessere inesistente e, comunque, fortemente disuguale, dove è premiante la capacità di arrampicarsi con ogni mezzo, lecito e illecito, possibilmente forti d'una spintarella, dove la spregiudicatezza, l’annientamento delle regole è di per se stesso regola.
In questo modello, la giustizia, il godimento di servizi come scuola, sanità, trasporto, sono sostanzialmente di censo, cioè fruibili solo da coloro che, in modo non sempre trasparente, hanno acquisito una capacità di accedervi, con l’ovvia esclusione della maggioranza dei cittadini, trasformata in massa amorfa e con diritti minimali. L’affarismo, il nepotismo, la clientela, il mercimonio di se stessi sono i valori nuovi, i presupposti sui quali si fonda un modello definito liberale, ma che lascia nei fatti solo la libertà di scegliere il ghetto più congeniale nel quale collocarsi.
E così schiere di ballerine, escort, trafficanti della peggiore specie, delinquenti reiterati e conclamati, capaci di emergere dalla mefitica palude nella quale avevano vissuto grazie al sistema delle connivenze, le dubbie fortune accumulata o la disponibilità a concedersi materialmente al potere, sono assurti a leader di questa nuova maschera di modello sociale, determinando in concreto una rivoluzione dei costumi e del pensare che ha frantumato ogni parvenza residua di coesione.
Lo stesso linguaggio della politica s’è trasformato, divenendo da diplomatico ed elitario, si più accessibile e immediato, ma grossolano e truce, sino a rasentare i confini della volgarità.
Difficile, al di là di ogni considerazione di parte, valutare se questo modello possa ritenersi comunque portatore di un futuro. Certo è che il trauma che ha inferto e sta infliggendo al tessuto connettivo è tale da non consentirne lo sdoganamento, essendo le lacerazioni prodotte talmente profonde da non lasciare prevedere nel breve periodo una loro rapida rimarginazione.

giovedì, novembre 18, 2010

Sanculotti di giornata e traditori abituali

Giovedì, 18 novembre 2010
I canili del presidente del consiglio sono alquanto agitati in questi giorni. Latrati, ululati e guaiti si mescolano ad un abbaiare furioso che rende persino timorosi gli addetti alla loro custodia e alla loro cura, desiderosa come sembra la muta variegata di azzannare il primo malcapitato.
All’origine di questo nervosismo ci sarebbero le vicende che interessano il loro padrone, sempre più stretto tra una probabile sfiducia programmata, una Corte in procinto di gettarlo nelle grinfie di un esercito di comunisti togati e un corpo elettorale disincantato, preso a leccarsi le ferite inferte da una scellerata quanto propagandistica politica delle frottole, raccontata in svariate puntate da un Silvio Berlusconi sempre più svampito e ogni giorno meno credibile.
La RAI, poi, ultimamente ci ha messo di suo, assoldando un comunista dell’ultim’ora, tale Saviano, che da due settimane spara ad alzo zero sul premier, i suoi canili, i dog sitter e le truppe cammellate padane che, in omaggio alle intuizioni machiavelliane, sono tutto con lui e zero assoluto nella malaugurata ipotesi in cui la stella di Arcore dovesse precipitare come in una qualunque notte di San Lorenzo.
Saviano, questo sanculotto travestito da un inedito Savonarola rosso, ha prima sberleffato i successi del governo nella lotta alla criminalità organizzata, parlando delle coperture e delle connivenze della politica con certa malavita, - quelle che portarono a sbarazzarsi di Falcone e Borsellino e, molto prima, di tanti magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine che erano andati troppo vicini a verità inconfessabili, - poi ha spiegato come quella malavita si sia infiltrata stabilmente nelle aree del paese nelle quali girano i soldi e amministrano in maggioranza Lega e componenti politiche espressione del PdL. Naturalmente, il sanculotto ha sciorinato la sua narrazione non sulla base di maligne intuizioni o velenose ipotesi, ma sulla scorta di documenti ufficiali dell’Antimafia, che misteriosamente non erano andati in pasto al grande pubblico sino a quel momento.
Da lì, apriti cielo. Il musicista di Varese nonché ministro degli Interni Roberto Maroni, sentitosi direttamente offeso, ha sferrato un attacco di violentissimo al sanculotto, reclamando smentite, ritrattazioni, improbabili scuse e minacciando, - ma non si comprende perché non l’abbia fatto ancora, - querele e denunce e arrivando persino a chiedere l’intervento del Capo dello Stato di fronte all’invito ad andare “a ranare”, - come si direbbe dalle sue parti, - da parte del minacciato e delle strutture RAI responsabili del programma incriminato.
Come al solito, anziché attenersi ai fatti e condurre il doveroso approfondimento, i volantini di Arcore, quelli spacciati per quotidiani d’opinione, si sono immediatamente mobilitati in difesa del ministro, della Lega e delle amministrazioni locali di riferimento alla coalizione di governo, sparando fandonie allucinati del tipo «Il “sogno” di Saviano: leghisti assassini», «L’armata padana guidata da Bossi è un esercito pronto a usare il mitra contro immigrati, meridionali e negri» e così via e attribuendo al sanculotto la paternità di queste affermazioni. La sdegno del rottweiler Alessandro Sallusti, direttore de il Giornale, è stato tale da sentirsi in dovere di promuovere un referendum tra gli aficionados all’impiego del derivato di clorofilla che dirige, affinché esprimano il loro parere sull’allontanamento di Saviano dalla RAI, con esito, ovviamente, da girare ad un altro rarissimo esempio di equilibrio e democrazia di nome Mauro Masi, che, a quanto pare, darebbe la vita per difendere l’indipendenza dell’informazione fornita dall’ente che gestisce.
Sallusti è probabile non sapesse quando ha fatto la sua ridicola proposta che Mauro Masi, a sua volta, è stato oggetto di un referendum da parte dei giornalisti RAI, al quale ha partecipato pressoché l’unanimità degli iscritti all’Usigrai e degli addetti all’informazione dell’ente, che ha decretato con ben il 95% dei voti il pollice verso nei confronti del castigamatti. Né sarà stato al corrente del clamoroso arresto messo a segno dalle forze dell’ordine nelle ultimissime ore di Antonio Iovine, uno dei più feroci boss della camorra, latitante da 14 anni, che ha indotto Maroni a cercare di smorzare le polemiche con Saviano e a proporre «Continuiamo insieme la lotta alla criminalità», - come scrive oggi quell’altro scampolo di rotolone di nome Libero, diretto dal pitbull Belpietro.
Insomma, comunque si guardi la situazione il nervosismo impera, al punto che anche tra gli autori dello strappo nel PdL, i finiani, sembra evidenziarsi qualche pentimento.
Nel frattempo, il 29 prossimo si prepara il voto alla mozione di sfiducia presentata contro il ministro Bondi, quello della Cultura, ritenuto da più parti e ingiustamente a nostro avviso, l’autore dei clamorosi crolli di Pompei. Il povero Bondi, a nostro giudizio, sul quale grava un voto di completa insufficienza, è colpevole delle scelte discutibili di affidare a qualche consulente, profumatamente pagato, la supervisione dell’area archeologica in questione e di aver accettato, per evidente amore di poltrona, di restare al suo posto dopo gli improvvidi tagli al bilancio del suo ministero imposti da Tremonti, ma non certo di aver personalmente picconato l 'universalmente nota Casa dei Gladiatori. Dunque, chi ne ha proposto la sfiducia avrebbe forse dovuto meglio circostanziare l’atto in questione.
Certo, la preannunciata presa di distanza dalla partecipazione al voto da parte dei finiani di Fli non è un bel segnale di coerenza rispetto a quanto di più rilevante è previsto in materia di mozioni di sfiducia il prossimo 14 dicembre, ma, come direbbe qualcuno dell’entourage governativo, essere “traditori” è condizione genetica ed è una pratica alla quale si fa in fretta il callo.

(nella foto, Roberto Saviano)

mercoledì, novembre 17, 2010

Le conserve di Napolitano

Mercoledì, 17 novembre 2010
Adesso ne abbiamo imparato un’altra. Anche e crisi di governo hanno una scadenza. Si mettono in salamoia, come le olive di stagione o le melenzane sott’olio, e s’aspetta che “maturino” per poterle finalmente mangiare.
Così il buon Napolitano, che non è mai apparso un cuor di leone, ha momentaneamente risolto la questione della crisi di governo, allo stesso modo come Vissani suggerirebbe di conservare i funghi o i carciofini. Il 14 dicembre grande festa per l’apertura dei barattoli e verificare se il prodotto è venuto buono oppure è tutto da buttare e magari ricominciare la procedura secondo le prescrizioni della ricetta della nonna.
Ha ragione Crozza, Napolitano è come una mamma premurosa e buona: prima i compiti e poi la play station e se i compiti non li hai fatti, allora ti tolgo anche la memory card, così l’oggetto del divertimento è inutilizzabile. E i compiti sono impegnativi. Sono in quella finanziaria in formato europeo, che si chiama adesso legge di stabilità, che è un impegno ineludibile se non si vuole incorrere in sanzioni e, allo stesso tempo, se si vuole evitare di infliggere un ulteriore colpo di piccone in questa Unione Europea che fa acqua da più parti.
Nel frattempo sono in molti a chiedersi cosà succederà da qui al fatidico 14 dicembre, dovendo dare per scontato che in questa grottesca situazione il governo non governerà, una nuova legge, che sia anche sulla regolamentazione della quantità massima di gas che devono contenere i palloncini in vendita nei luna park, non sarà approvata e, dunque, tutto è impaludato in attesa del mitico Godot.
Intendiamoci, non è che si resterà con le mani in mano o con la bocca chiusa. Ci saranno le risse, possibilmente con toni ancor più accesi; le minacce e i proclami, visto che in questa finzione scenica l’unica certezza, - lo dice senza mezzi termini il Cavaliere e i suoi boys, - si andrà comunque a votare, anche se non prima del 27 marzo del prossimo anno.
E allora, campagna elettorale a tutto spiano, con tanto di accuse di tradimento, nuove promesse faraoniche, qualche probabile dossier a base di cucine e alcove più o meno segrete e, quel che rende più interessante ed eccitante la situazione, l’apertura sottobanco di qualche mercato di peones, per cercare di controbilanciare lo sfilacciamento nelle file della maggioranza e indebolire gli avversari.
Non sono in vendita, ma mi hanno offerto 500mila euro per tradire Fini”. La rivelazione è contenuta in un articolo di Amedeo La Mattina per la Stampa, che racconta le palpitazioni interne a Futuro e Libertà per l’Italia e le tentazioni che provengono dal PdL per cambiare cavallo in extremis e votare la fiducia a Silvio Berlusconi alla Camera. Rivelazione che non svelano il nome del potenziale vincitore di questo gratta&vinci pecoreccio, ma che anticipa come siano tanti i deputati di Futuro e Libertà contattati. Berlusconi, con l’ausilio di Daniela Santanché, - integerrima Bernadette della destra post fascista, - Denis Verdini, - comprovato esperto di operazioni finanziari borderline, - e Ignazio La Russa, - storico pidiellino camuffato da gerarca missino e infiltrato in AN, - sta cercando di sfilare onorevoli prima della fatidica data del 14 dicembre, quando si voterà la fiducia incrociata in Camera e Senato, e la Corte Costituzionale, - sempre in quella data, guarda il caso!, - deciderà anche sul legittimo impedimento. Magari i soggetti da peones market saranno pochi all’inizio, ma diventeranno tanti negli ultimi giorni, f- a sapere La Russa, - proprio perché il Cavaliere ha una decina di posti da assegnare tra ministri e sottosegretari, dopo l’addio dei finiani e del Mpa dell’inquisito Lombardo. E Saverio Romano, già passato dall’Udc al PdL, fa sapere che anche molti tra i centristi sarebbero pronti al salto della quaglia, se necessario, - sebbene bisognerebbe parlare di convenienza più che di necessità, salvo non alludere allo stato delle finanze degli interessati al trasloco. In ogni caso al Gallia sono pronte le sale, come per ogni buon mercato di carne umana che si rispetti.
Azzeccata anche la data dichiarata da Berlusconi come dead line per la fine della legislatura: stiano tranquilli i poveri disgraziati che dall’onesto lavoro parlamentare si attendono una giusta pensione. Avranno avuto il tempo di compiere un triennio e anche dal punto di vista pensionistico si saranno garantiti una confortata vecchia.
E mentre come ne Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo di Sergio Leone s’attende l’ultimo duello, cala la fiducia nel premier (-2%), ma cala del 3% anche quella nell'intero governo, al punto da far credere che, alla fine, per qualcuno, e soprattutto per il paese ,questa tragica farsa sarà stata solo una Caporetto.

(nella foto, Silvio Berlusconi fa il saluto romano)

lunedì, novembre 15, 2010

Informazione e libera carta straccia

Lunedì, 15 novembre 2010
Quando si parla di giornalismo, la mente va ad una visione ideale di un mestiere basato sulla capacità di trasmettere a terzi una notizia, un’informazione su fatti descritti con fedele riproposizione di come sono effettivamente accaduti, o un’opinione più o meno condivisibile su vicende del vivere quotidiano sulle quali è necessaria una riflessione o una lettura che ne sveli le implicazioni in relazione ad accadimenti di più ampia portata. Compito del giornalista non è dunque solo quello di informare, ma anche quello di stimolare un approfondimento critico da parte di chi legge, poiché è quell’approfondimento che sarà in grado di fornire un quadro valutativo di maggiore portata ad un fatto, che in sé, potrebbe da solo restare privo di significatività.
Nel fare quest’operazione non v’è dubbio che colui che pratica il mestiere sia in qualche misura condizionato dalla sua cultura, dallo schema di valori cui fa riferimento, elementi che certamente finiscono per “pilotare” la sua percezione e il suo giudizio sui fatti. Ma il giornalista conosce bene quest’aspetto e, in omaggio a ciò che considera il fondamento della sua deontologia, cercherà nel suo lavoro di attenersi quanto più è possibile ai fatti così come oggettivamente si rappresentano.
Quest’aspetto, tuttavia, si rivela sovente solo teorico, poiché è sempre più marcata la tendenza a fornire informazione con il chiaro intento di indirizzare verso una conclusione obbligata il giudizio del lettore e ciò è particolarmente riscontrabile nell’informazione politica, dove i fatti divengono quasi trascurabili elementi di spunto per imbastire complesse e colorite ipotesi prêt-à-porter per un pubblico ormai talmente preso dalle quotidiane occupazioni da non avere il tempo di costruirsi un’interpretazione personale degli eventi. E’ una sorta di trionfo del consumismo mediatico, nel quale anche la notizia è usa e getta ed è cosa sulla qual non vale la pena soffermarsi più di tanto a meditare. La maggior parte della gente morirebbe piuttosto che pensare, e molti fanno proprio così, diceva il grande filosofo e matematico Bertrand Russell, sintetizzando così un atteggiamento generalizzato sempre più teso a ricercare in fonti esterne la soluzione dei propri eventuali dubbi e sempre che sopravviva una volontà minimale di generarne qualcuno.
In un epoca di caduta verticale di valori etici e di trionfo dell’individualismo esasperato, nel quale la socialità di fatto è ridotta a ciò che è ludico e fatuo e in cui la politica, grazie ai pessimi esempi di cinico opportunismo offerti da chi la esercita, è stata definitivamente cancellata dall’elenco di ciò che costituisce impegno per il mantenimento del sistema democratico e per la libertà individuale, non v'è più spazio per l'approfondimento, per il quesito e, peggio, per la valutazione critica.
Tutto ciò costituisce un pericolo spaventoso per la democrazia, essendo stato nei fatti delegato ad un’oligarchia affaristica il governo delle regole della convivenza e della legalità, la quale a sua volta si avvale di un sistema asservito di banditori e araldi che manipolano i messaggi in direzione funzionale al potere, inoculando nelle menti ottuse ogni vergognosa fandonia, certi di non incontrare alcun contraddittorio. La stessa stampa d’interdizione, poca e costantemente sotto un massiccio fuoco di sbarramento, non è rappresentata come dissenso, ma come voce della sovversione e del nichilismo irriducibile.
Il popolo, reclama il potere, s'esprime affinché governi chi ha vinto e non chi è stato sconfito dal risultato delle urne. Ma quest'affermazione sacrosanta è ben lungi dal dover consentire l'esercizio di un potere corrotto, cinico e improntato all'invenzione di ogni espediente possibile per garantire impunità a chi "ha vinto" da ogni misfatto delittuoso compiuto anche prima di vincere. Una visione delle regole democratiche di questa natura è più vicina all'allucinazione prodotta dall'acido lisergico, che ai sacri principi della Carta Costituzionale.
E che queste non siano considerazioni teoriche è dimostrato dall’accanimento tenace con il quale il potere dominante svillaneggia costantemente la stampa avversa, la voce del dissenso, quanti richiamino il senso delle istituzioni, l’etica di massa, ricorrendo anche a sistemi delinquenziali, come la diffamazione e il dossieraggio scientifico per rendere legittimi gli abusi cui sistematicamente si abbandona; o si avvalga di tecniche paradossali, ma incisive, come la costante smentita di ciò che ha detto, l’accusa di manipolazione, la ritrattazione continuata, con lo scopo di ribaltare l’evidenza e confermare il proprio accreditamento.
Così ci sono montagne di rifiuti ad ammorbare l’aria delle città, nonostante si sia preso l’impegno solenne di risolvere il problema con rapidità. Aree terremotate dove non è stato fatto assolutamente nulla, ma che divengono palcoscenico per insignire sedicenti eroi che si sono sacrificati per l’aiuto profuso ad una ricostruzione immaginaria. Zone alluvionate che servono da passerella mediatica per dichiarare bugiarde promesse d'intervento e sostegno. Festini da basso impero spacciati per miracolose terapie antistress, con la partecipazione di massaggiatrici imparentate con importanti capi di stato. Innocui pisolini in lettoni ingombri di innocenti fanciulle al posto di teneri orsacchiotti di peluche. E così via.
Nel frattempo la gente assiste inerte a questo scempio, o al più storce il naso senza più disgusto, tanto pensare non serve. La stampa amica smentisce i pochi che osano avanzare qualche dubbio, certi che la loro versione sarà quella creduta. Gli interessati non lesinano aggettivi persino volgari contro coloro che osano indicare quei fatti come esempio della loro pochezza e dissoluzione. Gli stessi organi preposti a tutelare la dignità di una stampa oggettiva e onesta s’esprimono pilatescamente contro chi è in sorpreso in flagranza di violazione di quelle regole. E il Paese si trascina nell’attesa che una voce innocente, al di sopra d’ogni sospetto, finalmente gridi alla nudità del re.

(nella foto, esempio di manipolazione dell'informazione tratto da una recente prima pagina de Il Giornale, nella quale si ricostruisce "l'attentato" subito da Berlusconi a margine di un comizio a Milano, con una tesi dimostratasi assolutamente falsa)

domenica, novembre 07, 2010

L’oppio del popolo

Domenica, 7 novembre 2010
C’è chi scomoda Max Weber, per richiamare concetti che spaziano dall’etica della ragione all’etica della responsabilità, e chi s’appella ad Oscar Wilde, rammentando che il cinico è colui che conosce il prezzo delle cose ma ne ignora il valore. Ma queste dotte analisi non svelano le ragioni per le quali il nascente partito di Gianfranco Fini continui a restare nel guado e non decida quale debba essere la mossa decisiva nei confronti del moribondo governo Berlusconi.
E che la situazione politica sia confusa è dato di fatto innegabile. Le risse all’interno del governo si susseguono, mentre il Paese langue in assoluto abbandono con i suoi problemi reali, con i suoi drammi irrisolti per i quali non sembrano esserci rimedi anche di prima urgenza.
Nel frattempo crolla la Palestra dei Gladiatori a Pompei e si grida allo scandalo, all’intollerabile indifferenza con la quale la classe politica di governo tratta la storia e la cultura d’Italia e dell’umanità, complice un’amministrazione demenziale che ha tagliato i fondi per la conservazione del patrimonio artistico. E’ singolare dover prendere atto di come la decantata attenzione al contenimento della spesa pubblica abbia persino imposto la distruzione di ciò che per duemila anni era comunque sopravvissuto. E’ sconvolgente constatare che il contenimento degli sprechi impone il taglio vigoroso della spesa per la salvaguardia dell’aria che respiriamo e della prevenzione del territorio. Ma è ancor più stupefacente assistere all’ignavia di un Bondi e di una Prestigiacomo, ministri di questo incredibile governo, che non reagiscono sbattendo la porta di fronte a tagli ai loro ministeri privi di ogni logica e sensibilità.
Nello stesso tempo, sul fronte dell’opposizione, quattro sfasciacarrozze si riuniscono a Firenze e si danno l’obiettivo di rottamare quanto ci sia di vecchio nel PD, dalle idee alla leadership, quasi che nel tragico momento che viviamo sia più importante programmare l’acquisto dell’auto nuova e non la ricerca di qualche ricambio anche usato per far marciare la vecchia che si possiede.
Con il risultato che il cittadino è sempre più disorientato. Non capisce cosa c’entri la D’Addario a Perugia, - che con la sua presenza inopportuna finisce per dare ragione alle fantascientifiche illazioni di Berlusconi, che cioè, dietro alle sue vicende private, ci sia la mano di una congiura politica. Non capisce cosa voglia il pur bravo Renzi, sindaco di Firenze del PD, con il suo intempestivo discorso di rottamazione all’interno del partito, quando questi sono i momenti topici nei quali bisognerebbe dare esempio di coesione e coerenza ad una Paese dilaniato. Non capisce, ancora, quale priorità abbia assolto una legge che ha imposto norme più severe sulla prostituzione da strada, visto che non dà alcun contributo alle emergenze reali della gente. Per paradosso, nella situazione in cui ci troviamo è stata azzerata una discutibile, ma praticata, attività reddituale per qualcuno. E l’osservazione non è né provocatoria né inopportuna, visto che la prostituzione praticata in casa, quella delle escort d’alto bordo, è ipocritamente rimasta indenne.
Ma tutto ciò solleva una domanda, che non è affatto retorica come si vorrebbe far credere: perché si discute di lolite o di festini a casa Berlusconi, di lodi salva premier e di altre amenità quando la gente reclama ben altro da questa infingarda classe politica che la governa? La domanda sembra impegnativa, ma in verità la risposta è molto più semplice di quel che si potrebbe credere.
Premesso che a parlare d’amenità sono normalmente anche coloro che nei vari salotti mediatici fingono di porsi la domanda, dissimulando stupore e sconcerto, la risposta sta in due ordini di ragioni. Il primo è nel rischio connesso con l’azzardare ricette serie e credibili per far fronte ad una crisi in corso che non ha precedenti e che, - il crollo del gradimento di Obama ne è esempio, - impone una svolta così radicale nel modello di sociale in essere da costituire un serio pregiudizio per chi avanzasse ipotesi in qualche misura rivoluzionarie. L’assetto sociale corrente, basato su una sostanziale divisione tra lavoro subordinato, sul quale attraverso una tassazione che definire iniqua non fa giustizia del peso spaventoso, e lavoro autonomo, nel quale si annida oltre ogni tolleranza l’evasione, non regge più. E’ necessario che la politica, quella seria e responsabile, si faccia carico di un modello basato su un sistema contributivo più certo ed equo, dove il cittadino è tassato in base alle sue effettive disponibilità marginali, non certo su quelle potenziali. Al cittadino deve essere consentito di dedurre dall’imposizione quegli impieghi che non rappresentano arricchimento e che, peraltro, hanno sovente visto assolti gli oneri fiscali. L’esempio delle prestazioni professionali è il più evidente. Queste costituiscono un onere per chi le abbia sostenute, gravate già di IVA, mentre sono reddito per i percettori: chi volesse seriamente smantellare lo zoccolo duro dell’evasione deve consentire a chi le abbia sostenute di dedurre queste spese e si troverà automaticamente il nominativo del corrispondente percettore.
Analogo passo è necessario per le rendite da capitale e finanziarie, la cui tassazione è oggi risibile rispetto a quanto ricade su gli interessi maturati su un banale conto corrente. Decisivi, poi, dovrebbero essere gli interventi nel mercato del lavoro, che non può più sostenersi con la presenza di un precariato endemico e con il ricorso al lavoro irregolare.
L’altro aspetto che emargina l’attenzione sui problemi veri dei cittadini va ricercato nel ruolo dei media, trasformatisi nell’ultimo ventennio da veicolo di acculturazione e di sensibilizzazione della pubblica opinione, in collettori di spazzatura culturale a base di gossip, di fatue notizie pruriginose, scandali in cui siono implicate star della pubblica opinione e cronaca nera, una rincorsa alla pulp information che distorce la percezione e finisce per far sentire sempre più soli coloro che avvertono ben più gravi e immanenti malesseri sociali ed esistenziali.
Ma tutto ciò è il prodotto finale della cultura del reality, di quel grande fratello perenne senza il quale i giornali temono di non vendere ed al quale si adeguano mortificando sentimenti, coscienze e valori.
E’ un quadro amaro quello che emerge, ma soprattutto è un quadro di cui le future generazioni dovranno continuare a portare il peso, almeno sino a quando non ci sarà il necessario risveglio delle coscienze.

(nella foto, ciò che resta della Palestra dei Gladiatori a Pompei)

giovedì, novembre 04, 2010

La Chiesa dell’ipocrisia e del perdono

Giovedì, 4 novembre 2010
Mentre in Italia impazzano le storielle di casa Berlusconi e non si spengono le polemiche sulle sue inaudite parole discriminatorie contro gay e lesbiche, – adesso s’è associato alle parole del premier quella testa fina di Castelli, - dall’estero arrivano parole di solidarietà indiretta anche dalla Chiesa.
Ci ha pensato un alto prelato, l’arcivescovo di Bruxelles monsignor André Joseph Leonard, che di signor naturalmente ha molto poco, ma di “mona” dimostra d’avere veramente tanto.
L’arcivescovo, nel silenzio più totale del Vaticano, - che sempre più somiglia alla sede di una holding affaristica più che il centro della cristianità universale, - s’è fatto fama d’essere ministro illuminatissimo del culto, al punto d’aver sentito il bisogno di scendere nell’arena del dibattito sulla pedofilia dei preti.
Incapace di distinguere i suoi perversi interessi dal compito che gli deriverebbe dalla missione pastorale che dice di svolgere, qualche giorno fa aveva addirittura chiesto «clemenza per i preti pedofili anziani», considerando una ingiusta vendetta una loro eventuale condanna. La cosa aveva persino scandalizzato il suo portavoce, Juergen Mettepenningen, che senza mezzi termini, nel lasciare l’incarico, aveva dichiarato: «Monsignor Leonard si è comportato a volte come un guidatore che va contromano, convinto che siano tutti gli altri a sbagliarsi. Non voglio più continuare a lavorare come suo portavoce. Monsignor Leonard non prende sul serio la responsabilità di leadership che gli è stata affidata dalla sua funzione».
E cosa fa adesso il santo prelato per rincarare la dose? Esterna ancora una volta e racconta alle sue pecorelle smarrite che l’Aids sarebbe «una sorta di giustizia immanente» per l’omosessualità, - giudizio idiota ovviamente, non confortato da alcuna logica se non dall’evidente odio verso coloro che esprimono una diversa sessualità. Naturalmente, la sua affermazione non sarà stata il frutto di pura intuizione o di volgare e malevola discriminazione, quanto il risultato di un probabile colloquio telefonico con il Padre Eterno, che gli avrà svelato il triste e tragico segreto su una qualche montagnola nel circondario di Bruxelles.
Com'era augurabile, il portavoce di questo nuovo verbo rivelatore è stato denunciato alla procura di Bruges per omofobia da parte del Partito socialista fiammingo, che ha fatto sapere che, dopo lungo e approfondito consulto con eminenti giuristi, non vi sarebbero dubbi sul fatto che «Leonard ha violato la legge anti-discriminazione e con le sue dichiarazioni omofobiche ha commesso il reato di calunnia e diffamazione».
Quel che stupisce, comunque, non è tanto l’esternazione di un prelato che, in tutta evidenza e comunque si giri la frittata, soffre di qualche patologia tale da non renderlo più capace si esercitare il suo magistero, quanto il silenzio del suo headquarters romano, che sull’episodio non ha speso una parola, né risulta abbia assunto provvedimenti di sorta.
Il fatto in sé è grave, perché dimostra che nella Chiesa si annida ancora un pregiudizio vergognoso verso una fetta d’umanità che non corrisponde ai canoni che arbitrariamente ha fissato e, che, peggio ancora, ritiene che il rapporto contro natura o l’abuso su un minore esercitato da un suo rappresentante possa essere giustificato da altrettanto arbitrarie ragioni d’età. Questa modo di (s)ragionare è inaccettabile, ipocrita e collusivo, e conferma quanto in certi ambienti sia d’attualità lo slogan “fate quel che dico, non fate quel che faccio!”
E’ assurdo poter pensare che, in un epoca di forte sviluppo dell’istruzione e di modernizzazione dei costumi, sia ancora possibile aggrapparsi a fragili dogmi o imporre modelli di comportamento presuntivamente virtuosi ad uso e consumo della propria convenienza e della propria ipocrisia. Queste cose allontanano irrimediabilmente dalla chiesa e dal culto, dimostrando che anche nella casa di Dio si commettono le peggiori infamie in assoluta franchigia, qualificandole come peccati per gli altri.
Smetta la Chiesa d’essere il covo dei senza patria e dei senza legge, sede di affari sospetti e di disinvolte operazioni finanziarie, ed abbia il coraggio di darsi quelle regole che per prima nei secoli ha sempre vilipeso. Solo così chi le dà voce potrà avere il diritto d’alzare la mano e scagliare la prima pietra.

(nella foto, l'arcivescovo belga André Joseph Leonard)

mercoledì, novembre 03, 2010

Il percolato di palazzo Chigi

Mercoledì, 3 novembre 2010
Salone del ciclo e del motociclo. E’ l’ennesima occasione per il Cavaliere per trasformare in vetrina personale un evento e poter raccontare, senza contraddittorio alcuno, come invece reclama a squarciagola per sé, la propria verità su uno dei casi più avvilenti che lo riguardano.
E’ un Silvio Berlusconi tirato a fresco quello che appare agli Italiani dal palcoscenico della Fiera di Milano, che pur d’apparire spiritoso ad ogni costo e desideroso di sdrammatizzare la «tempesta di carta» che l’ha investito esordisce segnalando al presidente dell’evento di avere il problema di “sistemare” una signorina. Poi, come al solito, s’abbandona all’arringa, dice la sua sul caso Ruby: «Tutto si risolverà in una tempesta di carta: vedrete che alla fine verrà fuori che non è stato altro che un atto di solidarietà, che mi sarei vergognato di non fare, e invece l'ho fatto, lo faccio continuamente perché sono fatto così da sempre. Da sempre conduco un'attività ininterrotta di lavoro, se qualche volta mi succede di guardare in faccia qualche bella ragazza... meglio essere appassionati di belle ragazze che gay». Che poi le belle ragazze, come di ce lui, non si limiti a guardarle, – avrebbe commesso un errore concettuale in questo caso, visto che allora avrebbe dovuto distinguere tra gay e voyeur, - è fatto che si lascia alla libera interpretazione di chi lo ha ascoltato. Per lui è importante poter passare ancora una volta per il “trombatore” impenitente, incarnare il sogno segreto dei tanti galli nostrani e poter stimolare qualche prurito inconfessabili alle tante ipocrite di casa nostra, pronte a concedersi a chiunque incarni il successo e il potere.
Un tempo era stato Bossi a ricordare che «ce l’aveva duro», adesso c’è il presidente del consiglio che fa sapere che se gli altri lo sbandierano, lui lo usa, anche se a puro scopo benefico.
E’ incredibile come in quest’Italia del terzo millennio possano aver consenso personaggi così squallidi, che fanno della discriminazione verso chi è diverso per razza, religione e preferenze sessuali una bandiera della propria supremazia. E’ altrettanto incredibile che personaggi ormai buoni per l’ospizio si ostinino a contrabbandare al mondo una capacità, una potenza fisica, convinti che basti la parola del re per accreditarsi. E’ infine incredibile che certi personaggi si siano illusi che queste imbecillità da asilo Mariuccia possano oscurare o compensare le gravissime deficienze che i governanti manifestano nella capacità di dirigere il Paese.
Altrettanto stupefacente è poi la dichiarazione finale che Berlusconi ha fatto sul tema delle intercettazioni, che da sempre gli sta a cuore e che con l’occasione del bunga bunga è ritornata alla sua pressante attenzione. Secondo il Cavalier Viagra «siamo in uno stato di polizia», in una situazione nella quale si sarebbe spesso costretti a dire «questa cosa a telefono non posso dirtela» perché qualcuno potrebbe sentire.
L’affermazione è grave quanto è grave ciò che ha fatto e di cui tenta disperatamente di difendersi con argomentazioni sciocche. In primo luogo perché è lui che sta a capo di quel governo a cui toccherebbe rimuovere con mezzi e finalità lecite gli ostacoli alla democrazia. In secondo luogo, non crediamo che ci siano cittadini onesti preoccupati che qualcuno possa intercettare le loro oneste conversazioni. Certo, comprendiamo benissimo che Verdini, Bertolaso, Dell’Utri, Cosentino e lui per primo qualche timore possano anche nutrirlo, ma i loro timori sono conseguenti la dubbia liceità degli argomenti che trattano non il frutto di una preconcetta volontà di poteri oscuri di indagare sulle loro conversazioni tout court.
La smetta di comportarsi nel modo in cui fa e si accorgerà, come per incanto, che nessuno sarà più interessato a curiosare nelle sue innocenti conversazioni telefoniche su ciò che gli hanno preparato per pranzo o sul colore delle sue cravatte. E’ insopportabile che si tenti di far passare una grossolana bugia, usata anche a scopo di minaccia psicologica, inventata per tirare fuori di galera una presunta ladra minorenne frequentatrice del suo harem per esempio di indebita interferenza nella sua vita privata. Con quella telefonata, giusto per restare sull’esempio, il signor Berlusconi ha commesso un reato morale gravissimo, avendo tentato di costringere gli organi di polizia a contravvenire alle norme di pubblica sicurezza e, piaccia o meno e senza infingimenti, nella sua pozione non ci si può permettere di calpestare le regole con un evidente abuso d’autorità.
Fa sorridere anche quel poveraccio di Bossi, che nella vicenda gli ha rimproverato di non aver approfittato della sua complicità. Il leader della Lega, rarissimo esempio di come sia facile predicare bene e razzolare nel fango, gli ha mandato a dire che quella telefonata non andava fatta, ma non perché fosse un abuso inopportuno, quanto perché sarebbe bastato un fischio a lui o a Maroni per togliergli la castagna dal fuoco senza che s’esponesse lui.
Signor presidente del consiglio, lei continua a ripetere come un disco rotto di essere stato eletto dal popolo e che, dunque, ha il pieno e legittimo diritto di governare. La sua pretesa è sacrosanta e ineccepibile, ma non deve mai scordare che governare non significa spadroneggiare come pretende di far lei. Sappia inoltre che gli errori non li commettono solo i singoli, ma anche le collettività, e quando di questi errori si prende tristemente atto non c’è niente che possa giustificarne la perseveranza. Siamo oramai troppi, anche fra quelli che scelleratamente e in buona fede le hanno dato il voto, coloro che ritengono che se ne debba andare e non solo perché ha miseramente fallito nella sua azione, non solo perché ci ha reso lo zimbello del mondo con le sue gag d’avanspettacolo, ma perché con la sua concezione distorta della democrazia e dell’esercizio del potere lei ha distrutto il senso della morale di una nazione e ha tolto la speranza al suo patrimonio fondamentale: le giovani generazioni.

(nella foto, Nadia Macrì, un'altra escort che ha deciso di raccontare di certi festini in casa del premier)